Francesco Tonucci, ricercatore e ideatore del progetto del CNR La Città dei Bambini in un'intervista - sempre mettendo al centro il bambino - ci parla dei cambiamenti avvenuti negli ultimi decenni, delle nuove tecnologie, della città del futuro e soprattutto della maggiore attenzione verso l'infanzia e l'adolescenza da parte degli amministratori.
Secondo la sua esperienza quali cambiamenti ci sono stati da quando in Italia, alla fine degli anni '90, si è cominciato a parlare di sostenibilità urbana per l'infanzia?
In Italia si parla di sostenibilità urbana per l'infanzia da una decina di anni ma il nostro progetto La città dei bambini è nato nel 1991. Durante questi anni sono nate varie reti e diversi movimenti e che si occupano di questo tema. Tra questi: Le città educative, Le città dei bambini, Le città sostenibili, Agenda 21 e altre. Ma ciò che più di tutto è cambiato è l'attenzione al mondo infantile.
Tutto questo movimento ha provocato un'attenzione nuova dei politici e in particolare degli amministratori delle città. Credo che i 200 sindaci delle città che fanno parte della nostra rete, non avevano mai dedicato così tanto tempo al tema dei bambini nelle città. La novità è che in molti si stanno convincendo a parlare con i bambini, che valga la pena ascoltarli.
In che modo vi state muovendo?
Il progetto La Città dei Bambini sta portando avanti una proposta politica diretta ai sindaci: permettere che i bambini possano insegnare qualcosa agli adulti. Come tutte le proposte radicali è utopistica ma è un obiettivo che aiuta a fare scelte migliori. Tutto ciò è abbastanza innovativo perché i bambini nelle città - ma anche nella famiglia - sono percepiti come persone il cui ruolo è ascoltare gli adulti e di imparare da loro.
In questa proposta proponiamo di rovesciare il rapporto e sosteniamo che vale la pena ascoltarli. I bambini possono farci conoscere ciò che noi abbiamo dimenticato. Loro in qualche modo hanno la capacità di rappresentarci "l'altro" cioè tutti coloro che la pensano diversamente da chi decide.
Nella pratica come si traduce e con quali esempi?
I bravi amministratori che hanno creduto a questa ipotesi sono riusciti a tradurre questi suggerimenti e indicazioni. Per esempio affrontando il tema della mobilità e in modo particolare proteggendo le mobilità più deboli come i pedoni e i ciclisti. Oppure, riguardo al tema del diritto al gioco, hanno fatto togliere o ridurre le proibizioni che si trovano in quasi tutte le città e nei regolamenti condominiali che limitano o proibiscono il gioco dei bambini. Ciò che noi facciamo ha sicuramente avuto un concorso con suggerimenti che hanno portato promosso questi cambiamenti nelle città.
C'è poi la sicurezza e ciò che dico contrasta con le linee politiche governative e locali sia di destra che di sinistra. Per tutti è normale che la sicurezza si raggiunga aumentando la difesa, ma i bambini sanno che in questo modo diminuisce la loro autonomia perché aumenta la paura dei genitori.
Ciò che chiedono i bambini è alternativo. Pensiamo che la sicurezza non si ottienga con maggiore polizia, con le ronde, con l'esercito per strada o con le telecamere. Noi crediamo - e lo suggeriamo ai sindaci - che si ottiene coinvolgendo la gente e ricostruendo un senso di vicinato. Sono proposte molto concrete suggerite dai bambini.
Come vede le città del futuro?
Quando hanno fatto questa domanda all'architetto Renzo Piano ha risposto: «Spero che siano simili a quelle del passato». Secondo me non voleva dire che bisogna tornare indietro ma voleva ricordare che in Italia abbiamo le più belle città del mondo. Se studiassimo bene le caratteristiche di queste città, come sono pensate e per chi sono pensate, forse potremmo avere le indicazioni su come dovrebbe essere la città del futuro.
La cittò del futuro sarà un luogo molto diverso ma potrà approfittare di tutte le risorse strutturali che il futuro ci offre senza perdere alcune caratteristiche di fondo: essere luoghi di incontro e di scambio e non luoghi separati e settorializzati per ceti sociali.
Renzo Piano dice che gli urbanisti e architetti contemporanei dovrebbero vergognarsi perché nelle città non esistono le piazze. La piazza è un simbolo della città. È il luogo dove la gente si incontra. È lo spazio pubblico nel quale si affacciano la cattedrale e il palazzo del governo e dove si fa il mercato. Come dice Zaccaria nella Bibbia, «…nelle piazze di Gerusalemme i vecchi siederanno ciascuno col bastone nella mano e saranno piene di bambine e bambini che giocano…» Questa è un'immagine scritta qualche migliaio di anni fa e che mi piacerebbe possa valere per gli anni a venire.
Lasciamo però ai nostri figli l'immaginazione di un mondo diverso migliore del nostro ma che sappia mantenere queste caratteristiche sociali con un'adeguata struttura urbanistica.
Il futuro delle città sarà pieno di tecnologia. Che ne pensa?
Penso che tutto quello che siamo capaci di inventare può essere utile e si può usare bene o male. Le moderne tecnologie sono strumenti di conoscenza e di comunicazione che nel passato non potevamo immaginare. Sarebbe assurdo e stupido negarne l'importanza. Mettono paura quando diventano un'alternativa all'incontro e al rapporto personale fisico e relazionale autentico. Ma quando penso ai bambini la cosa diventa ancora più preoccupante. Ho paura che un giorno - e purtroppo qualcosa sta già avvenendo - degli adulti pensino che, vista la pericolosità della città, possiamo far giocare i bambini in modo telematico e farli incontrare telematicamente con i loro compagni. Non c'è allora più bisogno di uscire di giocare insieme e di incontrarsi fisicamente.
In un intervento ho accennato all'esperienza drammatica giapponese degli hikikomori. Riguarda oltre un milione di giovani tra 14 e 30 anni che vivono chiusi in camera davanti al monitor di un computer. Nel 2009 ne sono stati contati 32 mila che sono usciti per il rito del suicidio collettivo. Ovviamente non sono d'accordo su un uso della tecnologia in questo modo. Non possiamo accettarlo, non lo vogliamo e i nostri figli non lo meritano.
Un ragionamento simile possiamo farlo per le automobili. L'auto è utile e ci rende la vita più comoda ma se diventa padrona delle città, ne inquina l'aria, ne condiziona il suolo, impedisce ai bambini di giocare e ai vecchi di uscire di casa perché non riescono ad attraversare la strada, allora non va bene.
Chi è Francesco Tonucci
Dal 1966 è ricercatore all'Istituto di Psicologia del CNR-Consiglio Nazionale delle Ricerche dove è responsabile del progetto internazionale, nato nel 1991 nel Comune di Fano, La Città dei Bambini. Attraverso questo progetto ha proposto un nuovo modo di pensare la città avendo il bambino come punto di riferimento.
Le sue ricerche si muovono intorno allo studio del pensiero e del comportamento infantile e allo sviluppo cognitivo del bambino e alle metodologie educative.
Varie le pubblicazioni. Tra queste Bambini si diventa, Bambini si nasce, La solitudine del bambino, Se i bambini dicono: adesso basta!, La città sostenibile e i diritti delle bambine e dei bambini, La città dei bambini. Un modo nuovo di pensare la città.
(Sandro Pintus)
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