Servizi per l'infanzia: Rapporto di monitoraggio del Piano nidi

Aumentano i posti nei nidi, che passano da 210.541 nel 2008 a 282.670 nel 2014, mentre i servizi integrativi sono protagonisti di uno sviluppo più contenuto (i posti nelle unità di offerta di servizi educativi integrativi passano da 24.162 nel 2008 a 25.163 nel 2014, con un calo rispetto all'anno precedente). È quanto emerge dal nuovo Rapporto di monitoraggio del Piano di sviluppo dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, presentato oggi a Roma.

Il rapporto - realizzato da un gruppo di esperti costituito a cura dell'Istituto degli Innocenti di Firenze, nell'ambito dei programmi del Centro nazionale definiti da parte del Dipartimento per le politiche della famiglia d'intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali - offre un quadro dello sviluppo dei servizi educativi per la prima infanzia aggiornato al 31 dicembre 2014, oltre ad approfondimenti su aspetti specifici, fra i quali, ad esempio, la qualità dei servizi, la programmazione e l'attuazione delle politiche di sviluppo dei servizi da parte di regioni e province autonome, le sezioni primavera e gli anticipi nella scuola dell'infanzia.

Nell'intervista che segue Aldo Fortunati, direttore dell'area educativa dell'Istituto degli Innocenti, illustra alcuni dei principali contenuti dell'indagine.

Il rapporto contiene una riflessione sul quadro europeo del sistema dei servizi per l'infanzia: come si colloca il nostro Paese all'interno di questa cornice?

La situazione del sistema dei servizi di educazione e cura per i bambini da 0 a 6 anni si presta intanto a un primo commento. In quest'area possiamo distinguere due segmenti: i servizi che si occupano dei bambini nei primi 3 anni di vita e i servizi che si occupano dei bambini da 3 a 6 anni. In quest'ultimo segmento si registra, non in forma del tutto pacifica, una prevalenza di una diffusione tendenzialmente generalizzata, anche se si tratta di servizi che non rientrano nella sfera dell'obbligo (riconosciuti come educativi, si muovono in continuità con la scuola primaria, nel bene e nel male). Il caso dei servizi educativi per i bambini da 0 a 3 anni è molto diverso, da due punti di vista: sia perché si tratta di servizi che sono prevalentemente non generalizzati, sia perché non è ancora del tutto conclamata, soprattutto nei fatti, la loro connotazione di servizi educativi (sembrano servizi che in parte sono assistenziali e in parte sono funzionali al benessere della famiglia e soprattutto delle madri lavoratrici, e quindi in qualche modo tardano a individuare i bambini come soggetti primariamente centrali nel loro progetto). La diffusione dei servizi in Italia, per quanto riguarda la scuola dell'infanzia, è sostanzialmente generalizzata, con percentuali di copertura superiori al 90-95 per cento e con qualche differenziazione territoriale; nel caso dei servizi 0-3 il nostro Paese si colloca in una posizione intermedia - che grosso modo corrisponde alla media del comportamento della Comunità europea -, ma è certamente indietro rispetto alle situazioni più avanzate dell'Europa Nord-Occidentale e agli obiettivi comunitari già definiti per il 2010. Questo scenario, però, non interessa l'Italia in maniera omogenea, perché il nostro Paese continua ad avere al suo interno un quadro molto diversificato per quanto riguarda i livelli di copertura quantitativa e anche di qualità dei servizi 0-3. Questi ultimi, infatti, hanno un notevole grado di diffusione e livello di qualità in alcune regioni del Centro-Nord (fra le quali Toscana, Emilia-Romagna, Liguria, Umbria, Marche), hanno un buon grado di tenuta ma devono ancora svilupparsi nelle altre aree del Centro-Nord e sono poco presenti nell'Italia meridionale.

Quali sono le principali evidenze che emergono dal rapporto?

Le evidenze più significative nel quadro dei cambiamenti che si sono realizzati negli ultimi 8 anni sono due: l'aumento dei posti nei servizi 0-3 e il fenomeno degli anticipi. Il primo elemento è concomitante a tutti i provvedimenti incentivanti che il Governo ha assunto a partire dal Piano straordinario nidi 2007-2009, per proseguire con altri finanziamenti che sono stati erogati a favore delle regioni per lo sviluppo di questo settore. Si tratta, però, di un dato che paradossalmente non risalta se comparato con il fenomeno degli anticipi, reso possibile dai provvedimenti che hanno consentito di iscrivere alla scuola dell'infanzia bambini non ancora in età da scuola dell'infanzia: una “fessura” aperta nelle scuole dell'infanzia che ha prodotto come risultato il fatto che oltre 80.000 bambini frequentano prima del tempo le scuole dell'infanzia. Il primo ci deve confortare, perché si è rafforzata la rete dell'offerta dei servizi destinati ai bambini da 0 a 3 anni; il fenomeno degli anticipi, invece, ci preoccupa, perché costituisce l'esempio di come un'istituzione che è organizzata per bambini più grandi si presti ad accogliere bambini più piccoli in situazioni non adeguate rispetto alla loro età. I posti in più nei nidi, infine, in parte non sono utilizzati.

Il fenomeno degli anticipi è aumentato nel 2014?

Non è aumentato nell'ultimo anno, ma è stato molto rilevante negli anni precedenti. L'incremento nei posti nido riguarda il Centro-Nord; il fenomeno degli anticipi riguarda il 5 per cento dei bambini in Italia (percentuale che diminuisce al 3 nel Centro-Nord e aumenta anche intorno al 10 nel Mezzogiorno). Le scuole dell'infanzia hanno, nelle regioni meridionali, una funzione surrogatoria nell'accoglienza di bambini che avrebbero l'età per essere accolti nei nidi, che non ci sono. La ragione della “stabilità” del fenomeno degli anticipi è, a mio avviso, questa: sono già stati accolti molti bambini nelle scuole dell'infanzia. C'è un altro elemento importante da considerare: allarma il fatto che i bambini anticipatari accolti nelle scuole dell'infanzia non sono solo quelli che compiono i 3 anni entro aprile, come prescrive la norma sull'anticipo, ma sono anche anche i bambini che compiono i 3 anni dopo aprile. Assistiamo, dunque, a un fenomeno che apre le porte verso il basso nelle scuole dell'infanzia in un modo scarsamente governato e non iscritto dentro a un progetto attento ai bambini. È evidente che le famiglie hanno bisogno di un servizio educativo anche quando i figli sono piccoli; non trovando quello appropriato, li portano nelle scuole dell'infanzia.

Il rapporto rivela qualche elemento di novità rispetto alle edizioni precedenti sul tema della diversa distribuzione territoriale dell'offerta di servizi nel nostro Paese?

Per la prima volta il rapporto si sofferma su un aspetto sul quale occorre fare qualche considerazione. Il dato che cerchiamo di registrare è quanto i territori siano capaci di programmare e attuare politiche di sviluppo. Chi è indietro va aiutato, si è sempre detto su questo punto; la prima cosa che viene in mente è la seguente: bisogna dargli più risorse. In questi ultimi 8 anni proprio alcune delle regioni che hanno avuto una misura di incentivazione economica molto più forte di altre non solo non l'hanno trasformata nell'incremento del sistema dei servizi ma in certi casi il livello di copertura si è abbassato. Si rende evidente, quindi, che la situazione italiana è molto diversificata e che i meccanismi incentivanti di natura esclusivamente economica non hanno un effetto perequativo. Quello che manca non sono solo le risorse, ma è la cultura politico-amministrativa e tecnica per programmare e realizzare le politiche. Per colmare questa lacuna bisogna attivare dei processi di tutoraggio e accompagnamento che sono diversi da quelli dei poteri sostitutivi.

Anche questa edizione sottolinea l'incidenza del calo demografico e della crisi economica sul sistema dei servizi per l'infanzia: quali sono le sue considerazioni a riguardo?

Sono convinto che la presenza di servizi educativi sia un fattore incentivante rispetto a una partecipazione più equilibrata degli uomini e delle donne al mercato del lavoro e anche rispetto alla possibilità che ci sia un immaginario di futuro all'interno del quale le coppie decidono di avere dei figli, ma sono meccanismi complessi quelli che portano le persone a decidere di avere bambini. Credo che la curva demografica negativa nella quale l'Italia persiste da tanti anni sia destinata a mantenersi tale e a modificare il profilo culturale di chi abiterà questo Paese fra 10 o 20 anni in maniera decisamente più accelerata e consistente di quanto temiamo possa accadere per l'arrivo di persone di altre culture. Indipendentemente da quello che succederà credo che sia importante sviluppare politiche strutturali per lo sviluppo di questi servizi, non per antagonizzare il calo demografico, né per incentivare l'inserimento delle donne nel mondo del lavoro o antagonizzare i processi di esclusione sociale, ma perché dobbiamo riconoscere che i bambini hanno diritto che la loro educazione sia assunta come un tema di natura e responsabilità pubblica. Per quanto riguarda il fattore crisi economica: la spesa da parte pubblica dei comuni non cresce, dopo esser cresciuta per tanti anni in maniera regolare e progressiva, e questo blocca le possibilità del sistema di essere più diffuso e più accessibile. Occorre che la parte pubblica copra la maggior parte dei costi dei servizi, affinché gli stessi siano accessibili. I nidi comunali o convenzionati con i comuni hanno i propri costi coperti per l'81 per cento dai comuni e per il 19 per cento dalle tariffe a carico delle famiglie. Le rinunce al posto, le dimissioni e la morosità sono fenomeni che si confermano stabilmente presenti nello scenario, certamente derivanti dalla crisi economica. Per individuare una strategia utile al benessere e allo sviluppo economico della nostra società (nonostante la crisi economica) bisognerebbe considerare l'investimento sullo sviluppo dei servizi educativi per l'infanzia come investimento prioritario.

Quali sono le prospettive per un rilancio delle politiche di settore?

Non si può pensare che questo sia un settore che si consolida continuando a pensare per questo settore provvedimenti straordinari e deboli dal punto di vista complessivo dell'impegno di risorse messe in gioco. L'investimento dello Stato in funzione incentivante è estremamente leggero rispetto a quello che dovrebbe essere messo in gioco ed è di fatto uno dei punti critici della legge 107/2015.

(Barbara Guastella)