Politiche per l'infanzia, intervista a Lorena Rambaudi

28/04/2014 Tipo di risorsa: Temi: Titoli:

La Commissione politiche sociali della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, istituita nel 2005 insieme ad altre dieci commissioni per «assicurare efficienza all'attività della Conferenza» e «accelerare e semplificare l'esame delle questioni», si occupa di servizi sociali, politiche dell'infanzia, dei giovani e degli anziani e di previdenza complementare e integrativa. Il suo coordinamento è affidato, dal maggio 2010, a Lorena Rambaudi, intervenuta di recente alla Quarta Conferenza nazionale sull'infanzia e sull'adolescenza sottolineando, fra le altre cose, la necessità di tradurre tutte le buone prassi realizzate sul territorio nazionale in un sistema unitario ed efficiente.

A lei abbiamo rivolto qualche domanda sul lavoro della Commissione sul tema delle politiche per l'infanzia.

Quali sono le priorità individuate dalla Commissione?

Intanto la questione dei nidi e dei servizi alla prima infanzia. Per anni abbiamo avuto risorse per gli investimenti, abbiamo stimolato i territori ad aprire nuovi asili nido e oggi siamo in difficoltà sulle gestioni. Tre anni fa siamo riusciti a vincere la battaglia di avere le risorse nazionali spendibili sulle gestioni, ma poi i soldi non ci sono stati. Oggi la difficoltà è anche per le regioni più avanzate, non solo per quelle che sono indietro rispetto ai parametri di Lisbona. Per le prime il rischio è questo: ci sono anche asili molto belli dal punto di vista strutturale, che cominciano, però, ad avere posti vuoti. Perché i Comuni non hanno i soldi. A livello nazionale i soldi non arrivano; le regioni fanno quello che possono; con la crisi le famiglie hanno meno risorse per pagare le rette. Quindi rischiamo di avere asili nido vuoti quando invece ce n'è bisogno. Se non sosteniamo i costi di gestione anche gli investimenti strutturali che sono stati fatti diventano soldi sprecati.

Ci sono esempi di buone prassi che potrebbero diventare modelli da diffondere su tutto il territorio?

Le buone prassi sono tantissime. Ne sono esempi quelle realizzate nel periodo di sperimentazione della legge 285, esperienze di crescita molto importanti. C'è stata una grande creatività in quel periodo, c'è stato un grande fermento. Quando si sperimenta alcune cose possono poi rivelarsi poco utili o meno utili di altre, ma per la maggior parte quelle esperienze sono state positive. In questi anni ci siamo trovati a sperimentare delle cose che hanno funzionato e poi abbiamo dovuto chiudere per mancanza di risorse: è un'assurdità. Non manca la progettualità in questo settore, manca la stabilità delle risorse.

Come tradurre le buone prassi in un sistema unitario ed efficiente?

Con la programmazione territoriale. Quasi tutte le regioni hanno una legge regionale che organizza i servizi. Si sta spingendo ovunque sull'associazionismo comunale, anche perché ormai un singolo comune non può più pensare di rispondere a tutta la filiera dei bisogni. Occorre lavorare insieme in modo associato. Ci sono per esempio le azioni del Piano per l'infanzia precedente, che abbiamo approvato: sono tutte cose importanti, condivisibili e condivise, ma poi non ci sono state le risorse per attuarle. Perché le buone prassi si traducano in un sistema unitario ed efficiente bisogna sapere che ci sono un po' di risorse, sostenibili, da inserire nella programmazione, dando loro una certa stabilità. E occorre individuare regione per regione le priorità, perché le varie realtà territoriali sono diverse. Abbiamo questa bella esperienza della Commissione politiche sociali. Su tutti gli argomenti troviamo l'accordo, al di là del tema delle risorse. Siamo anche d'accordo sull'idea di fare intese, anche tra regioni. Non siamo contrari a linee guida nazionali approvate in Conferenza unificata, perché questo ci aiuta a rendere il sistema omogeneo. C'è la necessità di dare uniformità, nel rispetto delle competenze, in un rapporto leale tra i vari livelli istituzionali.

(Barbara Guastella)

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