Parte l'iter per il nuovo apprendistato

06/06/2011

È iniziato l'iter che riforma l'apprendistato a partire dai 15 anni di età. La bozza di Testo unico è stata approvata dal Consiglio dei ministri e passa ora all'esame delle Regioni e delle parti, per un'approvazione auspicata entro luglio. «Il lavoro minorile non equivale solo a sfruttamento», è l'opinione del sociologo Valerio Belotti. Nelle intenzioni del governo, il contratto di apprendistato dovrà diventare la porta d'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e «riportare il lavoro a componente essenziale del processo formativo ed educativo di una persona». La novità più importante di questa bozza in discussione riguarda la natura del rapporto di lavoro: «l’apprendistato è un contratto a tempo indeterminato finalizzato all’occupazione dei giovani», si legge nella bozza, che si può interrompere solo per giusta causa o giustificato motivo e, alla fine del previsto periodo di formazione, diventa automaticamente rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato se non viene esercitata la facoltà di recesso. La bozza di Testo unico prevede tre tipologie di contratto. Quella riservata ai minorenni è il contratto di apprendistato per la qualifica professionale, rivolto ai ragazzi a partire dai 15 anni di età. Prescrive che possano essere assunti in tutti i settori di attività, anche per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione, i giovani che abbiano compiuto 15 anni. La durata del contratto è determinata in considerazione della qualifica e del titolo di studio da conseguire e non può essere superiore a tre anni. La regolamentazione dei profili formativi sarà attuata d’intesa tra le regioni e province autonome e i ministeri del lavoro e politiche sociali e dell’istruzione, dell’università e della ricerca. L'iniziativa del governo ha rinnovato la discussione sull'opportunità e la regolamentazione delle forme di lavoro minorile. «Oggi, in Italia, un adolescente che voglia lavorare anche solo nei mesi estivi, liberi dal lavoro scolastico, incontra difficoltà sempre più insormontabili e possibilità sempre più confinate nel lavoro irregolare e sommerso», osserva il sociologo Valerio Belotti, che lo scorso anno ha pubblicato un contributo dal titolo «Il lavoro come necessità e come scelta» nella rivista Minorigiustizia. Infatti, la condizione dei minori nei paesi occidentali, «è segnata da un obbligo perentorio e da un divieto assoluto: l’obbligo della scolarizzazione, almeno fino all’età adulta e il divieto sempre più in là nella fase del corso di vita a qualsiasi forma di lavoro regolamentato per la produzione di reddito individuale e familiare». Secondo Belotti nella formulazione delle norme internazionali riferite ai diritti umani, «il lavoro dei bambini equivale a sfruttamento lavorativo dei bambini e non ci sono vie di mezzo o, meglio, vie alternative: per estirpare la piaga dello sfruttamento del lavoro dei bambini, presente in diverse aree del pianeta, si è estirpato tout court il lavoro dalle possibili esperienze di vita quotidiana dei bambini». Insomma, «per affermare un diritto se ne è negato temporaneamente un altro». Le azioni contro le peggiori forme di sfruttamento minorile, aggiunge il sociologo veneto, «non possono ridurre la questione a una sorta di radicale contrapposizione tra lunga e obbligata scolarizzazione e divieto a svolgere attività lavorative regolamentate». Sarebbe invece utile, prendendo anche spunto dalle interessanti esperienze dei movimenti dei bambini lavoratori nei paesi in via di sviluppo, interrogarsi «sull’utilità del pressante divieto dei bambini e dei ragazzi al lavoro per il mercato e sulle possibili opportunità di vita e di esperienza che la sua parziale deregolazione potrebbe favorire». Infatti, «una volta definito che non si tratti di lavoro sfruttato e di una alternativamascherata alla scolarizzazione, il divieto non appare più comprensibile se non alla luce di generali pregiudizi sulle capacità dei bambini e dei ragazzi di vivere in forma consapevole e da protagonisti la propria vita quotidiana, anche in campo economico e non solo scolastico». Perciò, continua Valerio Belotti, nelle normative internazionali e nazionali che riguardano i bambini è riconoscibile «un forte squilibrio verso il polo della protezione dell’infanzia a scapito diquello della promozione». Tuttavia, nel nostro paese, «se è pur vero che è sempre più difficile, dal punto di vista normativo e nei fatti, che nel nostro Paese i ragazzi minorenni lavorino legalmente per il mercato, nei fatti non sono pochi quelli che lo fanno nel lavoro cosiddetto sommerso». Belotti si riferisce soprattutto «ai mille lavori saltuari o più o meno stabili nel tempo che vedono coinvolti volontariamente i ragazzi e le ragazze come aiuto baristi, commessi, baby sitter, gelatai, aiuto pizzaioli, ad- detti al volantinaggio, aiuto operai, animatori estivi di piccoli gruppi parrocchiali e di quartiere e altro ancora»: occorre «dare dignità e spazio sociale a questa “voglia” di lavorare, a questa volontà di esprimere la propria autonomia e capacità di svolgere attività di responsabilità attraverso il lavoro retribuito». Mai, sia ben chiaro, in alternativa al “lavoro” scolastico e a quello formativo. Significherebbe, conclude lo studioso, «dare riconoscimento e generare un'opportunità di vita quotidiana richiesta e sentita dai dati di fatto». (mf)