Non di solo videogames vivono i bambini

11/12/2009

Giochi tradizionali e videogames convivono nei momenti di svago dei bambini, anche se pc e console si affermano come la compagnia domestica preferita. Sono alcune tra le osservazioni che si possono trarre, con qualche riserva, dalla ricerca A che gioco giochiamo, presentata qualche giorno fa dal Cremit dell'Università cattolica.

L'indagine, realizzata dal Centro di ricerca sull'educazione ai media, all'informazione e alla tecnologia con la collaborazione della cooperativa sociale Pepita e ripresa anche sugli organi di stampa, ha interpellato 2 mila giovanissimi di Milano, Como, Monza, Varese e delle rispettive province, equamente ripartiti tra bambini e preadolescenti dagli 8 ai 13 anni e adolescenti dai 14 ai 17 anni. Per intercettare il campione e trovare le migliori condizioni per svolgere la ricerca si è scelto di battere l'ambiente degli oratori estivi. Come strumenti di ricerca sono stati utilizzati due questionari a risposta multipla calibrati sulle due diverse fasce d'età interpellate più l'osservazione dei sottocampioni durante l'attività di alcuni laboratori.

Le ragioni vengono spiegate dai ricercatori nell'introduzione metodologica: gli oratori e i mesi estivi infatti «forniscono la possibilità di utilizzare gli spazi aperti, contro una certa sedentarietà che (almeno a parole) sembra caratterizzare i consumi ludici dei più piccoli, di proporre giochi alternativi, di attivare competizioni a squadre». Inoltre raccolgono «bambini di diversa provenienza, contando sulla necessità di tante famiglie di collocare i propri figli in un ambiente sicuro, ma allo stesso tempo significativo dal punto di vista delle relazioni e della possibilità di fare esperienze positive».

Gli obiettivi di Cremit e Pepita sono molteplici: prima di tutto «studiare il significato del gioco e del tempo libero per bambini, preadolescenti e adolescenti (indagando a proposito di questi ultimi tanto le loro pratiche di “giocatori” che le loro consapevolezze educative rispetto ai soggetti più giovani nel momento in cui vengano coinvolti in funzione di animatori all’interno di gruppi o comunità educative); conoscere le modalità con cui i bambini e i ragazzi si rapportano con il gioco, indagandone tempi e modi, spazi e modelli; attivare riflessioni critiche sul valore del gioco, soprattutto in relazione alla possibilità di integrarlo all’interno dei contesti educativi informali».

Prima di soffermarsi sui risultati che emergono dalla ricerca del Cremit, occorre però premettere alcune osservazioni sul metodo. Infatti, pur trattandosi di una indagine molto curata, va tenuto presente che il campione utilizzato non era statisticamente strutturato. Perciò non è possibile allargare il risultato alla totalità dei bambini e ragazzi della Lombardia, men che meno a livello nazionale. Anche la scelta dell'ambiente limita la portata della ricerca: l'oratorio, infatti,  può esprimere le abitudini e i comportamenti di una fascia limitata di bambini e ragazzi (soprattutto nella fascia 14-17 anni) e non può essere considerato un luogo di aggregazione omogeneo così come lo è una scuola. Inoltre manca la distinzione di genere tra maschi e femmine che, nelle fasce d'età prese in considerazione, costituisce un forte elemento differenziale del comportamento nell'ambito del gioco.

A che gioco giochiamo conferma la persistenza dei tradizionali comportamenti nel sottocampione fino ai 13 anni: il gioco occupa gran parte del tempo di bambini e bambine (più di 4 ore al giorno per oltre il 31% del campione) ed è importante perché permette di divertirsi (83%) e di stare con gli amici (71%). Si gioca prevalentemente a casa propria o in quella di amici (il oltre 71% del campione). Il 44% del campione dice di giocare spesso a casa in solitudine oppure (il 47%) con fratelli e sorelle.

Nella fascia fino ai 13 anni, i videogiochi piacciono a quasi il 95% degli interpellati e sono il gioco preferito per il 54% del campione: stravincono Playstation e il Nintendo portatile, i giochi di sport e avventura. Il mondo virtuale è quello in cui ci si rifugia quando si è soli a casa, con la coscienza che per il 72% degli interpellati esistono limiti imposti dai genitori. Ma resistono i giochi di squadra (47%), nascondino (29%) e giochi di carte (26%) e soprattutto resiste il gioco all'aria aperta: un'opzione scelta molto spesso dal 33% e spesso dal 30%, dove prevale l'interazione con amici e compagni di scuola. Nel sottocampione fino ai 17 anni, prevale invece il carattere del divertimento di gruppo: prevalgono i giochi di squadra (72%) e quelli di carte (39%) sui videogiochi. Le squadre sfruttano gli spazi aperti (il 91% del campione) o si divertono con canti e quiz (34% e 30%).

Tra le tante evidenze, nelle conclusioni i ricercatori si soffermano  sulla convivenza neanche troppo forzata tra videogames e giochi di squadra, apparentemente antitetici, e individuano due possibili spiegazioni. In primo luogo, pur con diverse caratteristiche si tratta di attività «facili, familiari», costruite su regolamenti o su sceneggiature che indirizzano la partecipazione del giocatore. Sono poi entrambe costruite sulla «competizione, si vince e si perde, ci si confronta, c’è il senso della sfida e della lotta».
Poi, osservano ancora quelli del Cremit, «il videogioco non toglie spazio agli altri giochi: si compone con essi assumendo la configurazione di tutti gli altri consumi giovanili secondo la nota immagine della “coda lunga”, cioè di un grafi co che distribuisce le abitudini di consumo su una vasta tipologia di giochi diversi invece di concentrarle solo su alcuni». È come se gli under 18 di oggi disponessero di «una tastiera multi–gioco variegata in cui trovano posto tanti giochi diversi». (mf)