Minori stranieri soli, dossier Caritas

07/01/2019 Tipo di risorsa: Temi: Titoli:

Negli ultimi sei anni in Italia sono giunti oltre 60 mila minorenni, di cui il 90% non accompagnati. Nel 2017 la maggior parte delle richieste di asilo di bambini e ragazzi stranieri soli è stata presentata in Italia, che ha ricevuto il 32% del totale delle domande di asilo fatte in Europa; seguono Germania (novemila domande, il 29%), Grecia (8%), Regno Unito (7%), Austria, Svezia e Olanda (4%). Sono alcuni dati del dossier della Caritas Italiana Minori migranti, maggiori rischi, un approfondimento sul fenomeno che presenta dati, testimonianze e proposte, evidenziando in particolare i flussi verso l’Unione Europea e la situazione dei Balcani.
Secondo i dati Eurostat citati nel dossier, negli Stati membri dell’Unione Europea i minori stranieri non accompagnati rappresentano in generale il 15% di tutti i richiedenti asilo under 18; nel 2017 oltre due terzi avevano un’età compresa tra i 16 e i 17 anni (77%, ovvero circa 24.200 persone), mentre quelli tra i 14 e 15 anni erano il 16% (circa 5.000 persone) e quelli con meno di 14 anni il 6% (quasi 2.000 persone).
I dati del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di novembre 2018 riportati nella pubblicazione rivelano che i minori non accompagnati censiti che si trovano in Italia, perlopiù giunti sulle coste italiane, sono 11.339; di questi, il 92% è di sesso maschile, il 29% ha 16 anni, il 59% 17 anni. La maggior parte dei bambini e dei ragazzi stranieri soli presenti nel nostro Paese proviene dall’Albania (13,7%), l’8,8% dal Gambia, l’8,5% dall’Egitto.
Nel dossier si fa riferimento anche a un recente studio dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, secondo il quale il 91% dei minori intervistati in Italia nei primi mesi del 2017 ha dichiarato di essere stato vittima di violenza, contro il 75% nel 2016.
«Nell’accoglienza dei MSNA – si legge nel dossier - rimangono ancora criticità legate soprattutto all’eccessiva durata della permanenza nei centri di prima accoglienza e all’esiguo numero sia di strutture dedicate alla prima accoglienza che di posti nello SPRAR, nonché alle difficoltà dei Comuni di attivare una presa in carico economicamente sostenibile».