Minori fuori famiglia e affido, intervista al sottosegretario Guerra

Minori fuori famiglia e affido familiare. Due argomenti di grande attualità, che coinvolgono soggetti diversi e impongono una riflessione ampia che consideri i tanti aspetti in gioco. Proprio a questi temi il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha dedicato due iniziative, presentate il 22 novembre scorso, nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta a Roma: la sintesi dei primi risultati della ricerca Bambine e bambini temporaneamente fuori dalla famiglia di origine. Affidamenti familiari e collocamenti in comunità al 31 dicembre 2010 e le Linee guida per l'affidamento familiare. Partendo dalla ricerca e dal nuovo documento sull'affido abbiamo rivolto qualche domanda al sottosegretario di Stato con delega alle politiche sociali Maria Cecilia Guerra sulle principali tematiche al centro delle due iniziative.

La ricerca, realizzata dall'Istituto degli Innocenti di Firenze per conto del Ministero, vuole «favorire una conoscenza più ampia e puntuale del fenomeno, al fine di programmare politiche di settore sempre più appropriate», ha sottolineato Guerra durante la conferenza. Le Linee guida, invece, s'inseriscono nel progetto nazionale Un percorso nell'affido e contengono raccomandazioni tecnico-politiche finalizzate a promuovere e sostenere l'affidamento come modalità di tutela e protezione del bambino. Il progetto è stato avviato nel 2008 dal Ministero in collaborazione con il Coordinamento nazionale servizi affido, il Dipartimento per le politiche della famiglia, il Centro nazionale e altri soggetti.

Da quanto emerge dagli esiti della ricerca, quali sono in prospettiva i tre fattori chiave su cui puntare per prevenire l'allontanamento dei minori dalla famiglia di origine?

Gli elementi comuni ai temi presentati nel corso della conferenza stampa, la ricerca, le Linee di indirizzo e la sperimentazione Pippi sono riconducibili alla volontà di conoscere per poter meglio affrontare i temi e portare avanti le politiche giuste, ma anche all'esigenza di comprendere come avviene e come può avvenire l'integrazione fra una pluralità di soggetti che comunque devono essere chiamati a interagire fra di loro: la famiglia di origine, la famiglia affidataria, la comunità e il territorio in tutte le sue articolazioni sia pubbliche che private e quindi le scuole, le asl, gli operatori dei comuni e, molto spesso e in modo molto ricco, il terzo settore e il volontariato presente, appunto, sul territorio. Gli elementi comuni ai temi presentati nel corso della conferenza stampa, la ricerca, le Linee di indirizzo e la sperimentazione Pippi sono riconducibili, inoltre, alla volontà di portare avanti l'idea che ogni bambino è una persona a sé. Il punto cruciale da prendere in considerazione è infatti quello che viene definito il “supremo interesse del bambino”: per ogni bimbo, con la sua storia, occorre definire un intervento diverso. Ogni bambino ha bisogno di un progetto personalizzato, che va costruito in interazione con altri soggetti perché ciò consente di seguire i cambiamenti e di verificare se si realizzano le condizioni che consentono il superamento del problema, che non è mai ineluttabile.

La partecipazione dei bambini nei procedimenti amministrativi e giudiziari che li coinvolgono è un tema fondamentale sottolineato anche nelle convenzioni internazionali, non ultima la Convenzione di Lanzarote ratificata di recente dall'Italia, che declina il tema della partecipazione in termini di diritto all'ascolto e di adeguatezza delle condizioni in cui l'ascolto si verifica. In questa prospettiva come è possibile promuovere una maggior partecipazione dei bambini nei processi di cura affinché la loro opinione e la loro esperienza siano tenute in conto?

La partecipazione di bambini e ragazzi nei processi di cura è uno dei temi ai quali il Ministero del lavoro e delle politiche sociali dedica particolare attenzione, soprattutto alla luce delle più recenti esperienze di ricerca che confermano l'utilità di ascoltare la voce dei bambini che hanno fatto specifiche esperienze al fine di orientare meglio gli interventi. Siamo consapevoli dell'attenzione che ha dedicato il Consiglio d'Europa a tale pratica nell'approvazione delle nuove linee guida relative ad una giustizia (civile, amministrativa o penale) adatta ai bambini e delle linee guida per un servizio sociale a misura di bambino. Tant'è vero che, proprio nell'ambito della ricerca su bambini e adolescenti fuori della famiglia di origine, è stata condotta un'analisi di tipo qualitativo che ha inteso approfondire e comprendere la rappresentazione che bambini e ragazzi hanno del loro allontanamento dalla famiglia e della loro storia di presa in carico. Tale approfondimento ha avuto l'obiettivo di comprendere se, dalla rappresentazione di tale percorso possano nascere indicazioni e raccomandazioni per il sistema dei servizi, nonché il grado di partecipazione alla definizione del progetto che vede i ragazzi direttamente coinvolti. Target di questa indagine qualitativa sono stati minorenni di età ricompresa tra gli 11 e i 17 anni  accolti nei servizi residenziali e in affidamento familiare da almeno sei mesi, giovani tra i 18 ed i 21 anni partecipanti a interventi di prolungamento del progetto di accoglienza in comunità, figli minorenni di genitori affidatari, famiglie di origine dei bambini e ragazzi allontanati.

La personalizzazione del progetto di accoglienza e protezione presuppone il mantenimento a livello locale di un'ampia gamma di servizi diversificati. Il Ministero con le ultime iniziative sta invece puntando a uno sviluppo dell'affido familiare e a una riduzione dell'accoglienza in comunità oppure entrambe sono risposte da sviluppare?

L'azione del Ministero si realizza nella consapevolezza delle peculiarità caratterizzanti ciascuno degli strumenti citati: affidamento familiare ed accoglienza in comunità rispondono ad esigenze che spesso sono a loro volta diversificate. L’ampliamento in questi  ultimi 12 anni del ricorso all'affidamento familiare che risulta aumentato del 52 per cento, passando dai 10.200 casi del 1999 ai 14.528 del 2010 è certamente un elemento estremamente positivo che non possiamo che accogliere con soddisfazione, perché questo rappresenta una risposta capace di offrire una dimensione relazionale in cui è più facile riprodurre una vita “normale”, di tipo familiare. Tuttavia i dati emergenti dalla ricerca ci dimostrano che l'affidamento familiare non è e non può essere l’unica risposta alle esigenze differenziate di bambini, ma soprattutto di ragazzi che si trovano lontani dalla propria famiglia di origine. È il caso, ad esempio, dei minori stranieri, in particolare di quelli non accompagnati, così come degli adolescenti allontanati: per questi, molte volte, la soluzione di accoglienza che nell'immediato risulta più accessibile, è proprio quella della comunità che non deve essere letta in antitesi, bensì in affiancamento a quella dell'affidamento familiare.

All'adozione delle Linee guida nazionali per l'affidamento familiare seguiranno anche iniziative per favorirne l'effettivo utilizzo da parte degli operatori?

Il documento delle Linee di indirizzo è stato approvato con un accordo in Conferenza Unificata: al di là della valenza specifica per una pratica dei servizi così delicata quale quella dell'affido, si tratta di un accordo di portata storica per il nostro sistema dei servizi sociali. Con la riforma del Titolo V della Costituzione e con la competenza esclusiva delle Regioni sulla materia, il sistema è infatti rimasto orfano di strumenti di indirizzo e coordinamento a livello nazionale. Peraltro, lo strumento immaginato dal legislatore costituzionale per garantire uniformità di trattamento sul territorio – la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, rimasta l'unica competenza dello Stato – non ha trovato negli anni alcuna applicazione, fondamentalmente per l'assenza di risorse adeguate atte a garantire diritti esigibili o livelli di copertura territorialmente adeguati dei servizi. Da questo punto di vista, per quanto evidentemente con una portata molto più limitata e molto meno cogente dei livelli essenziali, le linee di indirizzo comunque rappresentano un potente strumento di orientamento nazionale delle pratiche dei territori, cui non solo gli amministratori possono far riferimento, ma anche i cittadini. Uno strumento, seppur robusto, ma che certamente necessita di un impegno specifico per evitare di incorrere nel rischio che rimanga inapplicato. Dunque è stata prevista, in primo luogo, la redazione e conseguente messa a disposizione degli operatori di un Sussidiario con l'obiettivo di facilitare l'applicazione delle Linee di indirizzo stesse, caratterizzato da un  linguaggio concreto e  a portata degli operatori che valorizzi ulteriormente le esperienze condivise nel corso dei seminari e degli incontri realizzati localmente nell'ambito del progetto Un percorso nell'affido. Inoltre, al fine di diffondere la conoscenza delle Linee di indirizzo e di promuoverne l'effettiva attuazione, il Ministero, di concerto con le altre istituzioni coinvolte nel percorso, si sta attualmente adoperando per garantirne la disseminazione sui territori, attraverso l’organizzazione di seminari e giornate formative, e sta programmando un intervento strutturato di monitoraggio dell'attuazione di tale documento, anche grazie ad una sperimentazione atta a verificarne le ricadute pratiche da realizzare su alcuni territori al fine di evidenziarne indicazioni ed eventuali criticità.

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