Mense scolastiche, rapporto Save the children

14/09/2017 Tipo di risorsa: Temi: Titoli:

Quasi la metà degli alunni delle scuole primarie e secondarie di primo grado (il 48%) non ha accesso alla mensa scolastica. È quanto emerge dal rapporto di Save the children (Non) Tutti a Mensa 2017, quarta edizione del monitoraggio realizzato nell’ambito della campagna Illuminiamo il futuro.
Il rapporto offre un’analisi delle mense scolastiche in Italia, con un focus sui 45 comuni capoluoghi di provincia con più di 100.000 abitanti che prende in considerazione diverse variabili: la percentuale di accesso degli alunni al servizio, quella dei costi previsti da bilancio a carico delle famiglie, le tariffe, i criteri di agevolazione ed esenzione, le restrizioni e le eventuali esclusioni dei bambini dal servizio in caso di morosità dei genitori.
Secondo quanto rilevato nell’indagine, l’assenza di regole condivise contribuisce all’ampia disparità nelle modalità di accesso e di erogazione del servizio, anche laddove presente, con molti istituti che non assicurano ai bambini e alle loro famiglie condizioni adatte ad avvalersi in modo adeguato di un importante strumento di educazione alimentare e inclusione.
I dati del rapporto evidenziano che in 8 regioni italiane oltre il 50% degli alunni, più di un bambino su 2, non ha la possibilità di accedere al servizio mensa. La forbice tra Nord e Sud continua a essere ampia, con cinque regioni del Meridione che registrano il numero più alto di alunni che non usufruiscono della refezione scolastica: Sicilia (80%), Puglia (73%), Molise (69%), Campania (65%) e Calabria (63%).
Altri dati rivelano che il servizio mensa è disponibile in tutti gli istituti primari solo in 17 comuni e le città in cui la refezione scolastica è presente in un numero di scuole inferiore al 10% sono Reggio Calabria, Siracusa e Palermo.
Le agevolazioni e le tariffe applicate per il servizio mensa sono molto variabili, con differenze che interessano in modo trasversale tutto il Paese e non garantiscono un equo accesso. Anche la compartecipazione delle famiglie ai costi è disomogenea: varia da un massimo nei comuni di Bergamo, Forlì e Parma, che riferiscono di caricare sulle famiglie il 100% circa del costo, a un minimo dichiarato da Bari (30%), Cagliari, Napoli e Perugia (35%).