Una percentuale rilevante di donne oggi inattive (il 45,9 per cento) si è allontanata dal lavoro per prendersi cura dei figli, ma oltre la metà sarebbe disponibile a lavorare fino a 25 ore settimanali: sono alcuni dati che emergono dall'indagine Isfol Perchè non lavori?, realizzata su proposta del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
L'indagine, condotta su un campione di seimila donne tra i 25 e i 45 anni, mira a far luce sulle cause della bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro ed evidenzia, inoltre, gli aspetti e le condizioni che inciderebbero in modo positivo sulla possibilità di rientro nel mercato del lavoro.
Dal quadro tracciato dall'Isfol (l'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori) emerge che le donne inattive con figli sono ancora totalmente dedite alla gestione degli impegni familiari. I risultati dello studio – si legge nella presentazione, sul sito dell'Istituto – «indicano che la cause dell'inattività femminile ruotano principalmente attorno alla famiglia (divisione dei compiti tra i coniugi e carichi di lavoro legati alla cura dei figli e dei parenti non autosufficienti), al modello di welfare (carenza di servizi per l'infanzia, presenza di reti familiari e informali) e all'organizzazione del lavoro (bassi livelli di conciliazione tra lavoro e famiglia, rigidità degli orari di lavoro)».
Tra i fattori che incidono sulla bassa partecipazione al lavoro, il livello d'istruzione e il luogo di residenza. I dati mostrano che le donne più istruite sono meno inattive, ma l'incidenza dell'inattività rispetto al titolo di studio varia nelle diverse aree territoriali: al nord è più bassa fra le donne che non hanno titolo di studio o hanno la licenza elementare (17,2 per cento) e fra quelle che sono in possesso della laurea o di specializzazione post laurea (10,9 per cento). Nelle altre aree geografiche la quota di donne inattive diminuisce al crescere del livello di studi conseguito, pur rimanendo sempre sensibilmente più elevata - a parità di livello di istruzione - al sud. I dati confermano, inoltre, l'importanza dei modelli culturali: le occupate, infatti, sono soprattutto figlie di madri lavoratrici.
Se il motivo principale che induce le donne ad allontanarsi dal lavoro è la cura dei figli, altre ragioni sono il licenziamento o la chiusura dell'azienda (così risponde il 14 per cento delle donne intervistate) e la scadenza di un contratto a termine o stagionale (23,8 per cento). Dall'indagine emerge inoltre l'elevata presenza fra le donne inattive di inattività non scelta, in particolare fra le donne non coniugate o non conviventi (in media il 55 per cento). Fra le coniugate o conviventi la percentuale delle inattive non per scelta è in media del 34 per cento.
Una delle condizioni che renderebbe disponibili le donne inattive al rientro nel mercato del lavoro è la possibilità di un'attività lavorativa che comporti un orario ridotto o flessibile. Circa il 38 per cento delle donne inattive disponibili a lavorare fino a 25 ore settimanali accetterebbe un impiego per un reddito netto fra i 501 e i 1000 euro al mese.
«Elemento di novità dell'indagine – spiega Francesca Bergamante, sociologa che ha curato la ricerca insieme all'antropologa Myriam Trevisan, alle economiste Tindara Addabbo e Donata Favaro e agli statistici Valentina Gualtieri e Andrea Cutillo – è il suo carattere multidisciplinare. L'inattività femminile è stata infatti considerata da tutti i punti di vista: sociologico, statistico, economico e antropologico-culturale». Bergamante evidenzia, inoltre, due fenomeni rilevanti messi in luce dall'indagine: «da un lato esistono donne potenzialmente attive, che rientrerebbero nel mercato del lavoro, dall'altro ci sono donne in cerca di occupazione che non riescono a inserirsi nel mercato del lavoro e rischiano, a causa di un “effetto scoraggiamento” dovuto alle difficoltà incontrate nella ricerca di un impiego, di diventare inattive».
Fra le soluzioni individuate nell'indagine per ridurre l'inattività femminile, lo sviluppo di politiche in grado di ridurre il peso dei carichi di lavoro domestici e di cura che gravano sulle donne inattive e la disponibilità di lavori con orario ridotto o flessibile che non risultino penalizzanti per le prospettive di carriera. Lo studio dell'Isfol, coordinato dalla ricercatrice Roberta Pistagni e realizzato nel 2007, è in corso di pubblicazione. (bg)
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