Le storie dei bambini, veicolo per l'integrazione

08/07/2014 Tipo di risorsa: Temi: Titoli:

Prosegue il nostro viaggio nelle 13 città riservatarie coinvolte nel Progetto nazionale per l'inclusione e l'integrazione dei bambini rom, sinti e caminanti. A Maria Giovanna Granata, dirigente scolastico della scuola Alcide De Gasperi di Palermo, abbiamo rivolto qualche domanda sullo svolgimento della sperimentazione nella città capoluogo della Sicilia.

Il progetto - promosso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con la collaborazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e la partecipazione dell'Istituto degli Innocenti di Firenze – ha coinvolto le 13 città (oltre a Palermo, Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia) in varie attività realizzate nelle scuole e nei campi, con l'obiettivo di favorire l'integrazione scolastica e l'inclusione sociale dei bambini e degli adolescenti rom, sinti e caminanti. Per approfondimenti sui suoi contenuti si rinvia alla sezione dedicata di questo sito.

Qual è la condizione abitativa e sociale delle famiglie rom che vivono a Palermo?

I bambini rom che frequentano la nostra scuola vivono in gran parte nel campo autorizzato che si trova all'interno del Parco della Favorita, in condizioni igienico-sanitarie molto precarie, mentre altre famiglie vivono in alloggi popolari e altre ancora in campi spontanei, in condizioni igienico-sanitarie peggiori di quelle del campo autorizzato. Ci sono anche alcune famiglie che si sono stabilite in abitazioni del centro storico e pagano l'affitto.

Il progetto ha previsto, fra le altre cose, laboratori e altre attività nelle scuole incentrate sul cooperative learning. Lavori di gruppo che hanno coinvolto tutti gli studenti, rom e non rom. C'è  integrazione fra i bambini in classe?

La novità di questa sperimentazione rispetto alle iniziative attivate in precedenza è proprio questa: aver coinvolto tutti gli alunni. Il progetto ha favorito l'interazione tra i bambini, ha migliorato il clima della classe e l'apprendimento, e ha agevolato il confronto tra lingue e culture diverse. C'è un buon livello di integrazione.

Qual è l'atteggiamento degli alunni verso gli stereotipi?

La nostra scuola si è sempre mossa in una certa direzione riguardo alla comunità romanì, non solo nei confronti degli alunni, ma anche nei confronti delle famiglie, organizzando, ad esempio, corsi di formazione rivolti ai genitori, sia autoctoni che rom. Siamo in una zona dalle caratteristiche socio-culturali abbastanza elevate: c'è una certa consapevolezza, e per questo è più facile dissimulare, anche se non del tutto. In quest'ultimo periodo, infatti, ci siamo accorti che c'è una recrudescenza di atteggiamenti discriminatori, anche se gli alunni vengono invitati alle feste di compleanno dei compagni.

Quali attività hanno svolto i ragazzi in classe?

I quattro laboratori che si sono svolti in classe hanno avuto come filo conduttore la narrazione: il raccontare e il raccontarsi. Il primo è stato mirato alla costruzione dell'identità; nel secondo laboratorio, artistico-creativo, i bambini hanno costruito una valigia come metafora del viaggio e contenitore delle cose a cui tengono, che è servita come scenografia dell'attività teatrale del laboratorio successivo, basata sul racconto delle storie. Il quarto laboratorio ha previsto un percorso sensoriale attraverso l'ortodidattica.

Com'è il rapporto tra le famiglie rom e le altre famiglie?

Il rapporto tra le famiglie rom e non rom è uno dei punti critici del progetto: non siamo riusciti a creare un'interazione tra le famiglie e momenti di incontro significativi, che vadano oltre la scuola. L'esperienza migliore è stata quella di un corso di formazione rivolto a genitori rom e non rom, grazie al quale si sono create relazioni significative. Su questo aspetto, comunque, occorre lavorare di più.

Il progetto ha coinvolto figure professionali diverse: operatori, insegnanti, dirigenti scolastici, docenti e altri esperti. Com'è andato il lavoro di rete tra tutti questi soggetti?

Fra insegnanti e operatori si è creato un ottimo clima collaborativo, mentre altri soggetti non si sono lasciati coinvolgere.

Quali sono i principali punti di forza e le criticità della sperimentazione?

Punti di forza sono il fatto che l'intervento si è rivolto all'intera classe e alle prime classi, il sostegno dell'operatore scuola all'insegnante e l'approccio metodologico innovativo, sia per il processo di apprendimento che per il processo di inclusione. Le criticità, a cui ho già accennato prima, riguardano il rapporto tra le famiglie rom e non rom e la collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti: in riferimento al primo punto, occorre lavorare di più sulla costruzione di relazioni significative tra le famiglie, mentre riguardo al secondo è necessario un maggiore coordinamento tra le figure professionali coinvolte.

(Barbara Guastella)