Laboratori in classe per favorire l'integrazione dei minori rom

23/06/2014 Tipo di risorsa: Temi: Titoli:

Il nostro viaggio nelle 13 città riservatarie coinvolte nel Progetto nazionale per l'inclusione e l'integrazione dei bambini rom, sinti e caminanti fa tappa a Catania. A raccontarci lo svolgimento della sperimentazione nella realtà locale è Silvana Ragusa, insegnante della scuola primaria dell'Istituto comprensivo Livio Tempesta.

Il progetto - promosso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con la collaborazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e la partecipazione dell'Istituto degli Innocenti di Firenze – ha coinvolto le 13 città (oltre a Catania, Bari, Bologna, Cagliari, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia) in varie attività realizzate nelle scuole e nei campi, con l'obiettivo di favorire l'integrazione scolastica e l'inclusione sociale dei bambini e degli adolescenti rom, sinti e caminanti. Per approfondimenti sui suoi contenuti si rinvia alla sezione dedicata di questo sito.

Qual è la condizione abitativa e sociale delle famiglie rom che vivono a Catania?

Vivono in un campo non autorizzato, in condizioni igienico-sanitarie molto precarie.

Il progetto ha previsto, fra le altre cose, laboratori e altre attività nelle scuole incentrate sul cooperative learning. Lavori di gruppo che hanno coinvolto tutti gli studenti, rom e non rom. C'è integrazione fra i bambini in classe?

Nella classe che seguo i bambini rom coinvolti nel progetto sono 12, su un totale di 30 alunni. All'inizio non c'era integrazione, perché gli studenti rom tendevano a isolarsi e fare gruppo fra loro, ma poi, grazie al lavoro di cooperative learning, le cose sono migliorate. Ho notato che i bambini rom sono molto generosi nei confronti dei compagni. Adesso c'è un livello di integrazione discreto.

Quali sono le attività svolte nei laboratori?

I bambini hanno partecipato ad alcuni laboratori musicali e ad un laboratorio di teatro, che ha previsto la messa in scena di una favola inventata dagli alunni.

Gli studenti hanno incontrato difficoltà nello svolgimento dei lavori di gruppo?

I bambini rom all'inizio non parlavano bene la nostra lingua: per superare questa difficoltà sarebbe stata necessaria, a mio avviso, la presenza di un mediatore linguistico, soprattutto nella fase di avvio delle attività. Tuttavia, con il passare del tempo le competenze linguistiche degli studenti rom sono migliorate e adesso non ci sono più gli ostacoli iniziali. Tutti gli alunni hanno mostrato grande entusiasmo durante i laboratori previsti dal progetto.

Quali effetti ha avuto il progetto sulla frequenza scolastica degli alunni rom?

Ha avuto effetti molto positivi. Alcuni bambini rom frequentano la scuola con più regolarità rispetto ad alcuni coetanei catanesi.

Com'è il rapporto tra le famiglie rom e le altre famiglie?

Abbiamo cercato di favorire l'integrazione delle famiglie rom, incentivando la loro partecipazione a momenti di socializzazione, ma vedo molta più diffidenza da parte delle famiglie catanesi.

Il progetto ha coinvolto figure professionali diverse: operatori, insegnanti, dirigenti scolastici, docenti e altri esperti. Com'è andato il lavoro di rete tra tutti questi soggetti?

Il lavoro di rete è andato bene. Fra operatori e insegnanti, in particolare, c'è stato uno scambio molto prezioso: i primi hanno fornito costantemente ai docenti notizie sulle famiglie rom e su eventuali difficoltà dei bambini, offrendo un supporto importante.

Quali sono i principali punti di forza e le criticità della sperimentazione?

Un punto critico, di cui ho già parlato prima, è rappresentato dal fatto che non c'è stato un mediatore linguistico, che avrebbe potuto agevolare lo svolgimento delle attività. Un altro punto critico è il numero elevato di bambini rom da seguire in classe. Punti di forza sono il lavoro di rete fra i vari soggetti coinvolti e l'influenza molto positiva sul clima della classe.

(Barbara Guastella)