Il viaggio nelle 13 città riservatarie coinvolte nel Progetto nazionale per l'inclusione e l'integrazione dei bambini rom, sinti e caminanti fa tappa a Genova. A raccontarci lo svolgimento della sperimentazione nella realtà locale è Federico Pedullà, dirigente scolastico dell'Istituto comprensivo Bolzaneto del capoluogo ligure.
Il progetto - promosso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con la collaborazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e la partecipazione dell'Istituto degli Innocenti di Firenze – ha coinvolto le 13 città (oltre a Genova, Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia) in varie attività realizzate nelle scuole e nei campi, con l'obiettivo di favorire l'integrazione scolastica e l'inclusione sociale dei bambini e degli adolescenti rom, sinti e caminanti. Per approfondimenti sui suoi contenuti si rinvia alla sezione dedicata di questo sito.
Qual è la condizione abitativa e sociale delle famiglie rom, sinte e caminanti che vivono a Genova?
La maggior parte delle famiglie sinte vive in un campo autorizzato, mentre i gruppi rom vivono perlopiù in insediamenti spontanei. Alcune famiglie, sinte e rom, abitano in alloggi popolari del Comune.
Il progetto ha previsto, fra le altre cose, laboratori e altre attività nelle scuole incentrate sul cooperative learning. Lavori di gruppo che hanno coinvolto tutti gli studenti, rom, sinti e caminanti e non. C'è integrazione fra i bambini in classe?
Il progetto ha coinvolto formalmente due ragazzi sinti che frequentano la scuola secondaria di primo grado Gaslini dell'Istituto comprensivo Bolzaneto, ma di fatto soltanto uno di questi studenti ha partecipato alle attività. Quindi posso fare un discorso generale, che riguarda tutti gli alunni rom e sinti che frequentano l'Istituto comprensivo. Nelle varie classi c'è un buon livello di integrazione.
Qual è l'atteggiamento degli alunni verso gli stereotipi?
Ci sono alcuni pregiudizi. La condizione abitativa di queste comunità, in particolare di quelle sinte, è precaria, quindi sconfina spesso nell'illegalità: è un dato di fatto. Le situazioni di disagio sono legate a vari motivi, fra cui la mancanza di lavoro. Vero è che non si conoscono i diversi modi di vita dei campi. Le comunità rom e sinte sono coese e solidali, si aiutano fra loro. Se i genovesi conoscessero la loro realtà potrebbero ricavarne qualche spunto di riflessione. Da parte di queste comunità, invece, e in particolare di quelle sinte, c'è un sospetto verso l'esterno, soprattutto per quanto riguarda i bambini: i sinti temono molto il rapimento dei loro figli; ce li affidano a scuola perché ci sono rapporti di fiducia con gli insegnanti, ma c'è sempre, da parte loro, qualche timore per quello che riguarda le uscite da scuola. Alcuni bambini fanno fatica a staccarsi dal loro contesto.
Quali attività hanno svolto i ragazzi in classe?
Ciascun docente, nell'ambito della propria materia, ha messo in campo attività di apprendimento cooperativo e ha utilizzato gli spunti offerti dalla formazione per modificare la didattica. Si è trattato di un primo approccio al cooperative learning, che a mio avviso è risultato utilissimo. Questa metodologia, infatti, può aiutare molto i ragazzi a superare le difficoltà insite nel passaggio dalla scuola primaria alla scuola secondaria di primo grado.
Com'è il rapporto tra le famiglie rom, sinte e caminanti e le altre famiglie?
Il rapporto è inesistente e mancano inviti reciproci: nessun bambino genovese è andato a trovare i compagni rom e viceversa. Il progetto ha sicuramente favorito occasioni di incontro e di conoscenza e ha rafforzato il clima di fiducia tra le famiglie rom e la scuola.
Il progetto ha coinvolto figure professionali diverse: operatori, insegnanti, dirigenti scolastici, docenti e altri esperti. Com'è andato il lavoro di rete tra tutti questi soggetti?
L'interazione tra soggetti che appartengono ad amministrazioni diverse, insegnanti, operatori e referenti esterni non è facile; la collaborazione c'è stata ma il lavoro di rete può sicuramente migliorare. Il rapporto più delicato è quello tra il mondo della scuola e i servizi comunali, non solo per alcune difficoltà legate alle occasioni di incontro, ma anche per la gestione di qualche piccola questione burocratica. Se il progetto proseguirà avremo bisogno di maggiori chiarimenti da parte del Comune sugli aspetti organizzativi e tecnici.
Quali sono i principali punti di forza e le criticità della sperimentazione?
I punti di forza: aver coinvolto l'intero gruppo classe e aver offerto l'opportunità di una conoscenza diretta tra il mondo della scuola e le famiglie rom, che non può non portare buoni frutti. Una criticità, a cui ho già accennato prima, riguarda i rapporti con il Comune (l'aspetto finanziario e altri aspetti da chiarire); un'altra criticità è il fatto di non aver potuto coinvolgere nel progetto anche la scuola primaria.
(Barbara Guastella)