Prosegue il nostro viaggio nelle 13 città riservatarie coinvolte nel Progetto nazionale per l'inclusione e l'integrazione dei bambini rom, sinti e caminanti, che oggi fa tappa a Bari. A parlarci del contesto barese è Antonio Casarola, operatore scuola.
Il progetto - promosso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con la collaborazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e la partecipazione dell'Istituto degli Innocenti di Firenze – ha coinvolto le 13 città (oltre a Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia) in varie attività realizzate nelle scuole e nei campi, con l'obiettivo di favorire l'integrazione scolastica e l'inclusione sociale dei bambini e degli adolescenti rom, sinti e caminanti. Per approfondimenti sui suoi contenuti si rinvia alla sezione dedicata di questo sito.
Qual è la condizione abitativa e sociale delle famiglie rom che vivono a Bari?
Vivono in baracche e roulottes in un campo autorizzato dal Comune, aperto circa 7-8 anni fa. Al suo interno c'è anche una struttura un po' più stabile, un ambiente comune che abbiamo utilizzato per lo svolgimento delle attività con i bambini previste dal progetto. In questa struttura abbiamo cercato di creare uno spazio dedicato sia ai giochi sia ad altre iniziative.
Il progetto ha previsto, fra le altre cose, laboratori e altre attività nelle scuole incentrate sul cooperative learning. Lavori di gruppo che hanno coinvolto tutti gli studenti, rom e non rom. C'è integrazione fra i bambini in classe?
Le classi target sono due prime della scuola primaria del plesso Don Orione dell'Istituto comprensivo Japigia 1 – Verga. I bambini rom coinvolti nel progetto sono in tutto 7: 5 in una classe e 2 nell'altra. Inizialmente erano 11, ma gli altri 4 si sono ritirati. Nel complesso c'è integrazione fra gli alunni, anche se alcuni sono molto più inseriti rispetto ad altri.
Quali sono le attività svolte nei laboratori?
I laboratori in classe sono stati dedicati a varie attività. Durante il primo, incentrato sul cooperative learning, siamo partiti dalla visione del cartone animato Lilli e il vagabondo per avviare una riflessione sul rispetto delle regole e sull'educazione stradale. Il secondo laboratorio, intitolato L'isola che c'è, ha previsto la realizzazione di alcuni oggetti da parte dei bambini (fra i quali un tavolino, una poltrona e delle librerie), che sono stati collocati nello spazio comune di cui parlavo prima, all'interno del campo. Il terzo laboratorio in classe ha previsto la realizzazione di un cortometraggio, dal titolo Al di sopra delle nuvole. Le attività nel campo sono state dedicate al sostegno scolastico, alla creazione di momenti ludici e ad altre iniziative.
Gli studenti hanno incontrato difficoltà nello svolgimento dei lavori di gruppo?
Alcuni bambini rom hanno incontrato delle difficoltà maggiori, dovute al fatto che non parlano bene la nostra lingua.
Com'è il rapporto tra le famiglie rom e le altre famiglie?
Sicuramente ci sono pregiudizi da entrambe le parti, ma nei momenti di condivisione c'è un buon livello di integrazione. Uno degli obiettivi che ci siamo prefissi con il progetto è stato quello di promuovere la partecipazione dei genitori rom alla vita scolastica: andare a ritirare le pagelle, interagire con gli insegnanti, ecc. Per incentivare il loro coinvolgimento abbiamo creato momenti di socializzazione ed eventi ludici. Qualche giorno fa abbiamo organizzato la festa di fine anno, a cui hanno partecipato anche i genitori rom, che hanno cantato, suonato e ballato.
Il progetto ha coinvolto figure professionali diverse: operatori, insegnanti, dirigenti scolastici, docenti e altri esperti. Com'è andato il lavoro di rete tra tutti questi soggetti?
Non è stato facile mettere insieme tutte le figure professionali che partecipano al progetto, che parlano linguaggi differenti. Un grande punto di forza della sperimentazione è proprio questo: creare rete tra gli insegnanti, gli operatori e tutti gli altri attori. C'è stata molta collaborazione tra i vari soggetti, anche perché la scuola coinvolta ha già portato avanti in passato progetti di sensibilizzazione sul tema. Mi preme sottolineare, a questo proposito, che le attività di formazione rivolte ai soggetti coinvolti sono state occasioni preziose di conoscenza e confronto che hanno agevolato molto il lavoro.
Quali sono i principali punti di forza e le criticità della sperimentazione?
Un punto di forza, a cui ho già accennato prima, è il lavoro di rete tra i vari soggetti coinvolti. Nonostante ci sia stata molta collaborazione, occorre, a mio avviso, intensificare il coordinamento e la condivisione. Un altro aspetto su cui lavorare in futuro riguarda il rapporto con i genitori rom: bisogna dedicare risorse ed energie maggiori nella costruzione di relazioni più importanti con loro.
(Barbara Guastella)