"Genitori colpevoli se non insegnano i sentimenti"

05/02/2010

Cresce l'attenzione della giurisprudenza sul tema della responsabilità dei genitori nell'educazione dei figli, un tema delicato, che invita a riflettere su un “mestiere” difficile. A dimostrarlo è una recente sentenza del tribunale civile di Milano, che ha condannato i genitori di un gruppo di adolescenti autori di violenze sessuali nei confronti di una dodicenne a un risarcimento di 450 mila euro. La colpa di questi genitori, secondo il giudice, non sta nel non aver “seguito” adeguatamente i propri figli, ma nel non aver dato loro un'educazione ai sentimenti e alle emozioni nel rapporto con l'altro sesso.

«La novità della sentenza – commenta Piercarlo Pazè, già procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del Piemonte e Valle d'Aosta e direttore della rivista Minori e giustizia – è proprio nella motivazione: i genitori sono stati condannati al risarcimento non per non aver insegnato delle regole ai figli ma per non aver dato loro un'educazione ai sentimenti e al rispetto dell'altro. Si mette in evidenza, così, il tema della qualità dell'educazione, che non si esaurisce nel controllo o nell'imposizione di regole».

Secondo il direttore della rivista, però, il risarcimento del danno non basta. «La sofferenza non è monetizzabile, il danno fisico, morale ed esistenziale persiste, con conseguenze gravissime sulla vita della ragazza. Occorre intervenire con un adeguato trattamento psicologico, sia nei confronti della vittima che degli autori della violenza».

Sull'argomento riportiamo un articolo da Il Sole 24 ore di oggi. Ogni giorno su Minori.it è disponibile la rassegna stampa tematica dedicata ai temi dell'infanzia e dell'adolescenza.
 

Genitori colpevoli se non insegnano i sentimenti

Milano - Per mettersi al riparo dalle conseguenze dei reati commessi dai figli, ai genitori non basta dimostrare di aver fatto il possibile vigilando su vita, frequentazioni e abitudini degli eredi minorenni, ma devono dare anche prova di averli educati in modo appropriato.

Il tribunale di Milano (decima sezione, giudice Bianca La Monica) nell'applicare l'articolo 2048 del codice civile - che afferma pacificamente la responsabilità dei genitori per il fatto illecito dei figli - reinterpreta e attualizza l'ultimo comma sulla prova liberatoria, il «non avere potuto impedire» i fatti. Fatti che, nella citazione a giudizio depositata dai genitori di una ragazzina di scuola media, erano particolarmente crudeli: la figlia tra il 2001 e il 2003 era stata ripetutamente violentata da un gruppo di compagni di classe e ricattata per anni con la minaccia di divulgare foto dei loro momenti intimi. Non bastasse, tra i fatti contestati c'era anche il tentativo di una spedizione punitiva a casa della vittima, presenti i genitori, sventata dall'arrivo dei carabinieri.

Sulla responsabilità delle famiglie dei ragazzi trascinate a processo, il giudice non ha avuto alcun dubbio: escluse le difese sui fatti (che avevano cercato di tratteggiare atteggiamenti e abbigliamenti provocatori della piccola, e alcuni messaggi a contenuto vagamente allusivo da lei inviati agli amichetti del gruppo ritenuto "vip" in cui aspirava a entrare) per il ristoro dei danni, poi quantificati in 450 mila euro, bastava applicare l'articolo 2048 del codice civile. Secondo il giudice, richiamando la Cassazione più recente (9556/2009), la prova liberatoria deve consistere in una serie di fatti «positivi», e non solo nell'esclusione della possibilità di impedire materialmente il fatto illecito con testato nel processo. Nel caso specifico, i genitori avrebbero dovuto non solo insegnare regole e modelli di comportamento, ma anche fornire ai figli «gli strumenti indispensabili da utilizzare nelle relazioni, anche di sentimento e di sesso (...). L'educazione sessuale di un ragazzo non si esaurisce nelle spiegazioni tecniche prima, e delle indicazioni precauzionali dopo, ma deve connotarsi, innanzitutto, come educazione al rispetto dell'altra/o, come educazione alla relazione non con altro corpo, ma con altra persona». In sostanza, aggiunge il magistrato citando il filosofo Umberto Galimberti, «occorre mettere in gioco connessioni emotive, ossia "mettere in contatto il cuore con la mente e la mente con il comportamento"». Di tutto ciò, invece, «non vi è traccia nel comportamento dei minori», che anzi hanno parlato della vittima usando termini e verbi che «evidenziano come non vi fosse alcuna considerazione per la persona».

Il giudice non esclude che i genitori abbiano cercato di educare i propri figli, quantomeno per evitare che si comportassero come veri asociali, «ma se messaggi educativi vi sono stati, non sono stati adeguati o non sono stati assimilati». Con l'aggravante di non aver nemmeno intuito il disagio di ragazzini che lentamente si stavano trasformando in cinici violentatori seriali. Colpa di mamme e papa distratti, anche di quelli separati su cui però resta il dovere inderogabile di educare al rispetto.

Alessandro Galimberti