Famiglie rom vicine alla scuola con l'aiuto degli operatori

02/07/2014 Tipo di risorsa: Temi: Titoli:

Il nostro viaggio nelle 13 città riservatarie coinvolte nel Progetto nazionale per l'inclusione e l'integrazione dei bambini rom, sinti e caminanti fa tappa a Reggio Calabria. Katia Colica, operatrice campo, racconta come si è svolta la sperimentazione nella città calabrese.

Il progetto - promosso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con la collaborazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e la partecipazione dell'Istituto degli Innocenti di Firenze – ha coinvolto le 13 città (oltre a Reggio Calabria, Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia) in varie attività realizzate nelle scuole e nei campi, con l'obiettivo di favorire l'integrazione scolastica e l'inclusione sociale dei bambini e degli adolescenti rom, sinti e caminanti. Per approfondimenti sui suoi contenuti si rinvia alla sezione dedicata di questo sito.

Qual è la condizione abitativa e sociale delle famiglie rom che vivono a Reggio Calabria?

Le famiglie rom sono dislocate in tre zone della città: Arghillà, insediamento abitativo caratterizzato dalla presenza di case popolari; un'altra zona della città dove sono presenti perlopiù case popolari e una terza zona, che si chiama Polveriera, dove le famiglie rom vivono in baracche. Alcune famiglie che vivono ad Arghillà sono assegnatarie di alloggi, altre vi abitano abusivamente; una coesistenza, questa, di situazioni diverse che ha creato problematiche relazionali e sociali, una sorta di ghetto abbastanza isolato e ricco di soggetti critici, di cui alcuni pericolosi. Tutti gli insediamenti abitativi delle tre zone sono diversi tra loro, e presentano, quindi, problematiche differenti.

Il progetto ha previsto, fra le altre cose, laboratori e altre attività nelle scuole incentrate sul cooperative learning. Lavori di gruppo che hanno coinvolto tutti gli studenti, rom e non rom. C'è integrazione fra i bambini in classe?

I risultati ottenuti in classe sono abbastanza buoni, anche perché c'è stata un'apertura molto importante da parte delle famiglie reggine. Reggio Calabria, per fortuna, non pecca molto di razzismo: c'è una buona predisposizione verso le altre culture. Il fatto che il progetto si sia concentrato verso tutti i bambini, sia rom che non rom, è un grande punto di forza di questa sperimentazione, perché tutti gli alunni sono stati coinvolti nelle attività scolastiche e hanno avuto modo di relazionarsi tra loro.

Qual è l'atteggiamento degli alunni verso gli stereotipi?

I bambini rom partono con un atteggiamento di chiusura, determinato dalla loro cultura. Non c'è un vero e proprio pregiudizio, c'è una sorta di chiusura tout court: i bambini rom difficilmente mangiano o giocano insieme agli altri bambini. I lavori di gruppo e i laboratori previsti dal progetto sono stati molto importanti, perché li hanno aiutati a superare questo atteggiamento. I bambini reggini hanno reagito bene al nuovo modello di integrazione e si sono messi in gioco; molti si sono impegnati per cercare di superare la barriera della chiusura.

Quali attività hanno svolto i bambini in classe e nei contesti abitativi?

Le attività svolte in classe sono state mirate all'interazione grazie a metodologie nuove e laboratori pratici, che hanno previsto, fra l'altro, la costruzione di vari oggetti da parte degli alunni. Nei campi e negli altri contesti abitativi, dove i bambini necessitano di risposte più operative, sono state  realizzate attività di supporto didattico e altre attività, finalizzate, ad esempio, alla tutela della salute. L'operatore campo ha creato una sorta di rete tra le famiglie rom e i servizi e ha facilitato l'accesso ai servizi rispetto a situazioni di particolare disagio. All'inizio le famiglie rom erano molto chiuse, ma a fine progetto abbiamo riscontrato ottimi risultati da questo punto di vista: le famiglie si sono fidate e affidate, hanno capito che potevano fidarsi dell'operatore campo. Alcune madri rom, ad esempio, per la prima volta hanno partecipato alle feste organizzate a scuola.

Quali effetti ha avuto il progetto sulla frequenza scolastica dei bambini rom?

Grazie al progetto e al sostegno degli operatori molti bambini rom che all'inizio non andavano a scuola hanno cominciato a frequentarla, con buoni risultati. La mancata presenza iniziale non è riconducibile a difficoltà logistiche, ma a motivi culturali.

Gli studenti hanno incontrato difficoltà nello svolgimento dei lavori di gruppo?

La difficoltà principale è stata quella di trovare spazio e tempo all'interno delle attività scolastiche.

Com'è il rapporto tra le famiglie rom e le altre famiglie?

Dopo un momento iniziale di assenza di momenti di incontro, c'è stato un avvicinamento e si è creato un clima di fiducia. Le feste, ad esempio, hanno rappresentato momenti di condivisione molto importanti tra le famiglie rom e le famiglie reggine.

Il progetto ha coinvolto figure professionali diverse: operatori, insegnanti, dirigenti scolastici, docenti e altri esperti. Com'è andato il lavoro di rete tra tutti questi soggetti?

Questo aspetto poteva essere sviluppato meglio. La rete tra le varie figure coinvolte si è creata ma poi si è spezzata. Tra le operatrici e le maestre si è creato un bel clima di fiducia; anche grazie al loro supporto ho potuto svolgere al meglio il mio lavoro. La parte che non ha funzionato è stata la rete a livello comunale, che a un certo punto si è spezzata: il nostro è un Comune commissariato, quindi è mancato il sostegno amministrativo. Se avessimo avuto alle spalle un'altra situazione da questo punto di vista, i risultati sarebbero stati migliori. Faccio un esempio: una bambina rom è stata bocciata perché ha preso la scabbia. All'inizio non frequentava la scuola, poi è stata inserita con ottimi risultati perché molto brillante, ma a metà dell'anno scolastico ha preso la scabbia e non ha più potuto frequentare. Questo episodio ha rappresentato una sconfitta per noi operatori, perché eravamo riusciti a inserire la bambina, ma a livello amministrativo non siamo stati seguiti.

Quali sono i principali punti di forza e le criticità della sperimentazione?

I punti critici sono stati la mancanza di supporto amministrativo a cui accennavo prima e il ritardo con cui il progetto è partito. Questi, invece, i punti di forza: l'integrazione delle famiglie rom per quanto riguarda, ad esempio, l'iter scolastico dei figli e la collaborazione tra operatori e insegnanti.

(Barbara Guastella)