Esperienze internazionali di studio del benessere di bambini e adolescenti a confronto nella cornice del IX congresso dell'Isqols, la società che promuove e incoraggia la ricerca nel campo degli studi sulla qualità della vita. Nella sessione plenaria ospitata martedì 21 luglio all'Istituto degli Innocenti di Firenze (sede del congresso), si è dibattuto uno dei dilemmi principali che caratterizzano la ricerca in questo campo: la definizione e l'utilizzo degli indicatori statistici di benessere legati alle percezioni soggettive dei minori. La mattina di studio si è articolata attraverso quattro relazioni poi discusse alle osservazioni della platea in una breve coda finale. Nella prima, Kenneth C. Land della Duke University (North Carolina) ha portato l'esempio del Child and youth Well-being Index (Cwi) per spiegare «cosa abbiamo imparato sui bambini americani nei 10 anni in cui abbiamo misurato i cambiamenti». Land ha introdotto il Cwi come «una misura basata sull'evidenza delle tendenze nel corso del tempo della qualità della vita dei minori americani» che restituisce «il senso della complessiva direzione dei cambiamenti positivi o negativi relazionati a due anni base per gli indicatori, il 1975 e il 1985». L'indice composito comprende 28 indicatori assemblati in 7 dimensioni (benessere economico/familiare, salute, sicurezza, istruzione, inserimento nella comunità, relazioni sociali, benessere morale/spirituale), parametri organizzati attraverso il confronto con trent'anni di letteratura accademica. Il Cwi, secondo Land, permette di fare confronti tra diversi gruppi razziali, di disaggregare i dati su base territoriale e, esteso a una forma con 44 indicatori, di differenziare i trend in tre fasce d'età (0-5; 6-11; 12-17). Infine, dalla serie degli indici compositi è possibile trarre previsioni a breve termine sulle condizioni di vita di bambini e adolescenti. È toccato poi a William O'Hare della Annie O'Casey Foundation presentare l'esperienza di Kids Count, il progetto nazionale che registra la condizione dei bambini americani. L'intervento dello studioso americano è partito dal motto della fondazione, che dice: «Le decisioni prese grazie a dati scientificamente ben fatti porteranno buoni risultati per i bambini». Partendo da questo slogan, O'Hare ha spiegato la filosofia del progetto Kids Count: «Vogliamo accrescere la consapevolezza pubblica nel dare sempre la priorità ai bambini», ha detto. Kids Count, poi, «promuove l'uso di buoni dati nel settore pubblico». Per ottenere questo, il progetto fa un grande sforzo comunicativo attraverso la pubblicazione annuale di un libro di statistiche, disponibili anche sul sito internet della fondazione: questo però consente a Kids Count di avere peso sui media e di essere consultato da un gran numero di policy makers statunitensi. O'Hare ha insistito molto sull'importanza della comunicazione e sul lavoro per portarla al «difficile matrimonio con la scienza». Uno dei cardini di Kids Count, perciò è «keep it simple», in modo da permettere ai dati di raggiungere l'audience più ampia possibile e perciò di essere tenuta in considerazione dagli amministratori. Uno dei problemi di fondo - si è lamentato infine lo studioso americano - è che «giornalisti e politici siano interessati solo ai risultati finali e non alla qualità dei risultati, ovvero alla metodologia e al peso statistico dei numeri elaborati». Il catalano Ferran Casas, dell'università di Girona, si è interrogato principalmente sul valore da assegnare ai dati soggetti raccolti da bambini e adolescenti. «Non possiamo cogliere la qualità della loro vita se non teniamo in conto le loro percezioni e le loro opinioni – ha detto – Però spesso capita che i dati raccolti non vengano ritenuti affidabili perché riportano elementi inaspettati o che non rientrano nella percezione che gli adulti hanno della vita dei ragazzi». Così, per esempio, se ai 16-17enni europei si chiede per quale qualità vorrebbero essere apprezzati da maggiorenni, le risposte più frequenti dei ragazzi sono “gentilezza” e “cortesia”, mentre genitori e insegnanti puntano su “gioia di vivere”, “educazione” e “personalità”. Casas ha perciò sottolineato l'importanza di trovare nuovi indicatori sociali che sappiano misurare sia le condizioni di vita materiale sia quelle psico-sociali, abbiano una migliore comprensione dell'influenza dei contesti sociali e culturali e colgano la grande influenza che la società esercita dai 14 anni in poi. Ha chiuso il giro delle relazioni Enrico Moretti, responsabile dei servizi statistici all'Istituto degli Innocenti di Firenze, che ha presentato il documento redatto insieme a Valerio Belotti del Comitato tecnico scientifico del Centro nazionale e già illustrato alle Giornate della ricerca sociale di Roma. Premettendo l'obiettivo finale di creare un sistema nazionale di indicatori di contesto e benessere relativi alla condizione di bambini e ragazzi, Moretti ha esposto i risultati della ricognizione sugli indicatori statistici disponibili nell'ultimo decennio sui bambini in Italia, che sono stati riaggregati in dimensioni che rispettino i principi dei diritti umani contemplati dalla Convenzione sui diritti dei bambini del 1989. Le dimensioni scelte sono nove: relazioni e legàmi; benessere/deprivazione materiale e culturale; benessere soggettivo; partecipazione sociale; salute; inclusione scolastica; sicurezza e pericolo; diffusione ed uso dei servizi; struttura sociale. Queste sono state a loro volta articolate in 38 sottodimensioni, composte da complessivi 326 indicatori. «Questa mappa rappresenta un insieme in divenire – ha concluso Moretti – ma possiamo dire che si caratterizza già per l'utilizzo di una messe di indicatori di discrete dimensioni; in secondo luogo non trascura quelli riferiti alle politiche e infine integra le informazioni relative al benessere coi dati di contesto». (mf)
