Kiki, film di animazione del maestro Hayao Miyazaki

Esce il 24 aprile nei cinema italiani – grazie ad un fenomeno di riscoperta dell’opera di Miyazaki Hayao che, seppur con parecchio ritardo, ha investito il nostro paese grazie alla encomiabile attività della Lucky Red – Kiki, Consegne a domicilio, un titolo che il grande maestro dell’animazione giapponese ha disegnato e realizzato addirittura nel lontano 1989. Non si spaventi il lettore/spettatore nuovista, perché Kiki, come gli altri capolavori di Miyazaki, non lamenta i segni del tempo, grazie a quella sorta di limbo atemporale in cui è collocata e  protegge tutto ciò che assurge, per stile, tematiche, forme narrative, a una qualche forma di classicità. E chi conosce i film di Miyazaki sa che in tutti i suoi lavori – da Il mio vicino TotoroLa principessa Mononoke, da La città incantata al più recente Ponyo sulla scogliera - si possono trovare contrassegni, prerogative, caratteristiche fortemente coerenti e coagulanti, tali ormai da farsi riconoscere e amare dagli spettatori di tutto il mondo.

La storia è semplice e lineare. La piccola Kiki, compiuti 13 anni, si appresta a passare un anno lontano dalla famiglia per completare il suo tirocinio da strega. Salutati i genitori, cavalcata una scopa di saggina e preso con sé il gatto nero Jiji, Kiki si dirige in volo verso Colico, una bella città di mare dalle fattezze europee, se non addirittura italiane. Dopo un primo traumatico adattamento alla vita di città, la piccola strega inizia ad organizzare le sue giornate sfruttando le poche abilità possedute: la gentilezza e il volo. Sistematasi, infatti, a casa di Otono, un’affabile panettiera, Kiki avvia un servizio di consegne volanti per i clienti del negozio e per gli abitanti del quartiere. Il lavoro non è semplice: molti sono gli imprevisti che deve risolvere, a cominciare dall’improvvisa scoperta che le sue doti magiche possono svanire senza apparente motivo. È solo grazie all’amicizia con alcuni inaspettati compagni di viaggio (il coetaneo Tonbo, un ragazzo appassionato di aeronautica, Bertha, una giovane pittrice che vive isolata nella foresta, una nonnina abbandonata da nipoti e figli) e alla necessità di aver fiducia nei propri mezzi che Kiki riuscirà a affrontare con risolutezza tutte le prove che la vita le chiede di superare.

Siamo innanzi a un’opera che si propone come perfetta metafora del passaggio dall’infanzia all’età adulta. Kiki trascorre un anno fuori casa durante il quale è costretta a contare solo sulle proprie forze per sopravvivere: deve costruirsi una rete sociale di amici e di affetti e accudire Jiji, il gatto di famiglia. Il percorso di formazione ha le sue inevitabili tappe, ognuna delle quali è vissuta dalla protagonista con stati d’animo sempre diversi: l’iniziale entusiasmo per un’esperienza da affrontare senza l’aiuto dei genitori (si veda la felicità e la cieca fiducia con cui si appresta a vivere il suo tirocinio), lo sconforto per un’accoglienza molto diversa da quella immaginata (gli abitanti di Colico ignorano la ragazzina o la prendono in giro), la sorpresa di incontrare persone disposte ad aiutare il prossimo senza nulla in cambio (la panettiera Otono), la paura e, insieme, il desiderio di diventare indipendente attraverso il lavoro alla società di consegne, la preoccupazione di non riuscire a soddisfare le grandi aspettative dei clienti (si veda la divertente sequenza della consegna del gatto di peluche), la tristezza dovuta alla consapevolezza che il mondo è molto meno “umano” di quel che dovrebbe essere (nella scena della nipotina che non sopporta le torte cucinate con tanto amore dalla nonna), la gioia di un’amicizia che sboccia inaspettata (quella con Tonbo che corteggia teneramente la streghetta), il terrore della crescita e della perdita della fanciullezza (simboleggiata dalla momentanea incapacità di volare e da quella definitiva di parlare con il gatto Jiji), la fierezza di aver salvato l’amico Tonbo.

L’interesse dello spettatore viene indirizzato non tanto sull’azione o sulla comicità delle gag quanto sull’ampio ventaglio di sentimenti che può esperire un’adolescente negli anni della sua crescita. La magia non rappresenta, come in altri film (vedi ad esempio la saga di Harry Potter), un potere che pervade ogni aspetto della vita, che viene utilizzato con estrema maestria e contro nemici pericolosissimi e moralmente ignobili, ma una dote come tante che non concede scorciatoie, non offre privilegi rispetto ai coetanei e non costringe ad affrontare mostri o altre creature orribili. In Kiki la magia è un talento essenziale, ma questo non basta a sottrarla dalle difficoltà e dalle sofferenze tipiche della sua età anzi, per certi versi, la costringe all’auto-emarginazione e alla solitudine a causa della grande responsabilità che i suoi poteri le richiedono.

Benché assenti per larga parte del film, i genitori di Kiki assumono un ruolo educativo fondamentale, tanto che il loro relazionarsi con la figlia appare, ai nostri occhi, l’eredità più originale della pellicola. A differenza di molti cartoni animati, film o telefilm contemporanei, la mamma e il papà di Kiki non sono in crisi, assenti, separati, divorziati o deceduti, ma sono partecipi alla vita della figlia, sia nel dare il buon esempio e offrirle modelli di comportamento precisi (si pensi all’inizio del film), sia nell’offrire affetto (si veda la scena della partenza), sia nel lasciarla libera di esperire la propria vita in un’altra città. È questo terzo fattore ad apparire più controcorrente rispetto ai canoni educativi “tradizionali”, almeno quelli proposti dai modelli di famiglia contemporanea e occidentale: per proteggere i propri figli, suggerisce quasi paradossalmente la morale della favola, bisogna lasciarli soli, pur senza abbandonarli, concedere loro l’opportunità di imparare dai propri errori, di capire autonomamente quali sono i propri limiti e le potenzialità per acquisire in consapevolezza e stima di sé. Questa è probabilmente la magia più sorprendente del film.

Per ulteriori approfondimenti sul film rimandiamo alla scheda filmica, dove si possono trovare altri approfondimenti su Miyazaki, al sito italiano del film, curato dalla Lucky Red e ad un interessante speciale (in francese) dedicato al film, presente su buta-connection.com, sito consacrato interamente al regista giapponese.  

Quanto a possibili altri film utili da fare dialogare con quello di Miyazaki, oltre ovviamente agli altri suoi lavori già distribuiti in Italia, come Il mio vicino Totoro, La città incantata o Il castello errante di Howl, ricordiamo anche altri film dove la ricerca del proprio talento gioca un ruolo importante nella crescita e maturazione di un adolescente come in Prova a prendermi di Steven Spielberg, Alla ricerca di Nemo di A. Stanton, L. Unkrich, Un ragazzo di Calabria di Luigi Comencini, 8 Mile di Curtis Hunson, Billy Elliott di Stephen Daldry, tanto per citare solo alcuni titoli tra i tanti possibili.  

 

Marco Dalla Gassa