Ddl sull'accesso alle origini, sì della Camera

È del 18 giugno il primo via libera nell’Aula della Camera alla proposta di legge che amplia la possibilità per il figlio adottato, o comunque non riconosciuto alla nascita, di avere informazioni sulle proprie origini biologiche. Il testo unico è stato approvato a Montecitorio a larghissima maggioranza, 307 voti a favore, 22 contrari e 38 astenuti.

Il sì alla legge arriva dopo un lungo iter parlamentare e profonde modifiche apportate in aula con emendamenti della Commissione. Giunge anche in maniera pressochè “obbligata”, dopo la condanna dell'Italia da parte della Commissione Europea sui Diritti Umani (nel 2012) per violazione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la sentenza della Consulta che ha dichiarato l'incostituzionalità della normativa attuale sull’adozione, nella parte in cui non prevede la possibilità di interpellare la madre biologica per chiedere se intenda revocare la volontà di anonimato.

Attualmente infatti l’adottato può, al compimento dei 25 anni, accedere alle informazioni sui genitori biologici a meno che la madre non si sia avvalsa del cosiddetto “parto in anonimato”, chiedendo quindi di non essere nominata negli atti di stato civile. La situazione si complica con il Codice della privacy il quale prevede che siano passati almeno 100 anni per accedere al certificato di assistenza al parto o alla cartella clinica contenenti i dati personali che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata. Il testo approvato a Montecitorio (ddl C. 784 e abb.) cambia profondamente le cose, equiparando i due diritti fondamentali: quello dell'anonimato per la madre, quello dell'accesso alle origini per il figlio.

Accesso all'identità biologica: il figlio non riconosciuto alla nascita, quando compie 18 anni, può chiedere al tribunale dei minori di accedere alle informazioni sulle proprie origini e sull’identità dei genitori biologici qualora la madre naturale abbia revocato l’anonimato o sia deceduta.

Revoca o conferma anonimato: fermo restando il diritto della donna all’anonimato nel momento del parto, è sempre possibile la successiva rinuncia. La revoca va però resa dalla madre con dichiarazione autenticata dall’ufficiale di stato civile e deve contenere indicazioni per risalire a luogo e data del parto e all’identità del nato. La dichiarazione andrà trasmessa senza ritardo al tribunale dei minori del luogo di nascita del figlio. Al contrario, la madre che ha partorito in anonimato, decorsi 18 anni dalla nascita del figlio, può invece confermare la propria volontà comunicandola al tribunale dei minori.

Diritto all'interpello: in mancanza di revoca, il figlio non riconosciuto può comunque chiedere al tribunale dei minori di contattare la madre per verificare se intende mantenere l’anonimato. L’interpello può essere chiesto una sola volta e va assicurata la massima riservatezza (vige l’obbligo del segreto) tenendo conto di età, stato di salute psico-fisica e condizioni familiari e socio-ambientali della donna. Per l’interpello si ricorre preferibilmente ai servizi sociali. Di fronte all’interpello, la madre può revocare l’anonimato o confermarlo. In quest’ultimo caso, rimarrà definitivamente sconosciuta e il tribunale autorizzerà solo l’accesso alle informazioni di carattere sanitario. L’interpello varrà solo per le informazioni sanitarie anche nel caso in cui la madre, alla maggiore età del figlio, abbia riconfermato di non voler essere nominata.

Il parto anonimo: la partoriente che non vuole essere nominata va informata, anche per iscritto, della facoltà di revoca senza limiti di tempo o di conferma dopo 18 anni e in futuro del diritto del figlio all’interpello. I medici comunque raccoglieranno tutti i dati sanitari non identificativi e li comunicheranno al tribunale dei minori dove è nato il figlio.

Nessun diritto patrimoniale: l’accesso all’identità biologica non legittima né azioni di stato né il diritto a rivendicazioni di carattere patrimoniale o successorio.

Regime transitorio: nel caso di parto anonimo precedente all’entrata in vigore della legge, se entro un anno la madre conferma davanti al tribunale la propria volontà non sarà più possibile l’interpello salvo che per l’accesso alle sole informazioni sanitarie. (fr. cop)

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