Cinque giorni di cinema antropologico sull'infanzia e il simposio Percepire i bambini sulla comprensione che i bambini e gli adulti hanno dell'infanzia e dell'adolescenza. Una trentina di film provenienti da 24 paesi di quattro continenti. Si è concluso con successo il 1° settembre il 30° Festival Internazionale del Film Etnografico di Århus.
Fra la trentina di film provenienti da 24 paesi di quattro continenti, alcuni sono senza dubbio da segnalare. Tra questi Kites (Aquiloni) girato dalla polacca Beata Dzianowicz, che in 80 minuti racconta la storia del gruppo di apprendisti registi. Dodici adolescenti afghani della Art School di Kabul, (tra di loro anche una ragazza) portano avanti un lavoro sperimentale e unico in Afghanistan. Li guida Jacek Szaranski, un giovane regista polacco che crede nel talento e nella fantasia dei giovani studenti.
I ragazzi documentano la vita quotidiana della gente, i bambini che vivono in strada, i negozianti, gli anziani e riescono a consegnare allo spettatore una narrazione della storia dell'Afghanistan attuale che, nonostante il conflitto che dura ormai da sette anni, riesce a vivere in una parvenza di normalità. Il tutto realizzato attraverso gli occhi degli adolescenti che vivono quotidianamente le difficoltà di un paese in guerra.
Il Festival del Film Etnografico di Århus ha però voluto anche rendere omaggio all'antropologo americano John Marshall - deceduto nel 2005 - con una retrospettiva sui boscimani del Kalahari, area dell'Africa australe nella quale l'antropologo ha lavorato per quarant'anni. Sono stati rivisitati una serie di corti sulla vita della popolazione africana nei quali Marshall mostra, con estrema delicatezza, vari momenti del gioco dei bambini e la solidarietà delle donne in un territorio ostile come il deserto e la savana. I documenti, girati tra gli anni '50 e '60, sono stati messi a confronto con un film Vermont Kids (Bambini del Vermont), girato negli Stati Uniti dallo stesso Marshall e da Roger Hart nel 1975, con un un gruppo di bambini che giocano alla costruzione di una capanna su un albero.
L'antropologo David MacDougall ha invece presentato il suo Gandhi's children (I bambini di Gandhi), un film che narra la vita di 350 bambini di Delhi, orfani o abbandonati che vivono di microcriminalità per la strada e la notte trovano riparo in una monolitica costruzione abbandonata della periferia della città. L'organizzazione dei ragazzi viene però messa in discussione dall'arrivo di 180 bambini lavoratori. Il film mostra le contraddizioni del subcontinente indiano ma anche, nonostante le difficoltà, forza di carattere e resilienza dei ragazzini.
Lo svizzero Tommi Mendel ha proposto al pubblico Bunong's Birth Practices Between Tradiction and Change (Pratiche della nascita della popolazione Bunong fra tradizione e cambiamento) realizzato in Cambogia con l'antropologa Brigitte Nikles. I due autori documentano il lavoro delle ostetriche tradizionali e e la preparazione al parto delle donne che lentamente stanno passando da un parto tradizionale, alla nascita dei loro bambini nei Centri di salute territoriali che non sono alla portata economica della maggior parte delle famiglie Bunong.
Il Festival comprendeva anche il simposio Percepire i bambini - L'antropologia visuale dell'infanzia al quale è stata invitata la scuola fiorentina guidata da Paolo Chiozzi, antropologo visuale dell'Università di Firenze. La delegazione italiana ha presentato vari progetti tra i quali la sezione filmica sull'infanzia e l'adolescenza della Biblioteca Innocenti Library Alfredo Carlo Moro di Firenze e il progetto pilota Teen press del Centro nazionale. Quest'ultimo è portato avanti con una trentina di adolescenti di sei città italiane che raccontano la storia dei luoghi che visitano attraverso i racconti e le esperienze delle persone che ci abitano. Un'esperienza che ricorda un po' – a un altro livello – il lavoro degli adolescenti afghani del film Kites.
Alla conferenza, il Laboratorio di antropologia dell'Università di Firenze ha presentato due film sull'integrazione di ragazzi stranieri in alcune classi di Prato, realizzati con il supporto di RaiSat Ragazzi e la consulenza del laboratorio di Antropologia dell'Ateneo fiorentino. Presentata anche la ricerca antropologica fotografica su nove adolescenti immigrati illegalmente dall'Albania dell'area di Kukes, al confine col Kosovo e le pubblicazioni della serie Monografie del Pallaio, alcune in via di pubblicazione, realizzate dalla scuola fiorentina.
Curioso e simpatico il progetto italiano Mai dire squola realizzato in Italia dal 2003 al 2008. Mostra il lavoro portato avanti in 86 scuole primarie e secondarie dell'Italia settentrionale nel quale, a scolari e studenti, è stato proposto di leggere i segnali stradali dei diversi paesi del mondo che indicavano i bambini che escono da scuola.
Interessante poi l'esperienza della sezione junior del Tropenmuseum di Amsterdam. In questo museo di antropologia bambini e ragazzi entrano in contatto con le “culture altre” interagendo con gli oggetti di vari popoli e “toccando” la loro cultura attraverso il teatro, la pittura, la gastronomia e la musica.
Al simposio anche un film dell'antropologa giapponese Kazuyo Minamide che, durante il convegno, ha presentato Circumcision in Transition (Circoncisione in transizione) nel quale racconta la cerimonia della circoncisione di due bambini di 7 anni in un villaggio del Bangladesh. La regista-antropologa mette a confronto due cerimonie: quella tradizionale e quella moderna praticata con anestesia ma che solo i ricchi si possono pagare.
Il film mostra le mamme che preparano i propri figli alla cerimonia, una differenza sostanziale con la stessa praticata nel nord del Camerun, tutta maschile, mostrata in Juarké. Boys made men in Mboum society (Juarké. Ragazzi diventano uomini nella società Mboum) del regista camerunense Mohamadou Saliou. (sp)