Corte Strasburgo: sì all'adozione anche nelle famiglie affidatarie

14/05/2010

«Una sentenza positiva, che afferma il principio della continuità degli affetti e il diritto del minore alla stabilità affettiva»: con queste parole, il presidente del Centro nazionale Francesco Paolo Occhiogrosso commenta la sentenza con cui la Corte europea dei diritti dell'uomo ha sancito il diritto di una coppia del Ravennate ad avere in adozione una bambina già ricevuta in affidamento dal 2004.

La Corte di Strasburgo, di cui fa parte anche l'italiano Vladimiro Zagrelbesky, ha messo in risalto che i «difetti nella procedura di adozione» abbiano avuto come conseguenza il «mancato rispetto del diritto dei genitori a creare una famiglia, in base all’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo», quando invece sarebbe stato «di primaria importanza che la richiesta di adozione dei coniugi fosse esaminata attentamente e prontamente». In base alla pronuncia in sede europea, le autorità del nostro paese dovranno risarcire alla coppia 10 mila euro per danni morali e 5 mila per le spese legali sostenute.

I fatti risalgono al maggio 2004 quando i coniugi Moretti ricevono in affido una bambina abbandonata alla nascita. Il tribunale decide un affido di 5 mesi che poi estenderà fino a 19 mesi. La coppia che ha già una figlia, un bambino adottato e che si è presa cura anche di altri bambini poi adottati da altre famiglie, durante i 19 mesi di affido della piccola presenta per ben due volte la domanda di adozione speciale al tribunale di poter adottare la bambina. Ma nel frattempo il tribunale, che ha dichiarato la piccola “adottabile”, decide di affidarla ad un'altra famiglia senza comunicarlo alla coppia. La bambina viene portata via dalla loro casa con l'intervento della forza pubblica.

A quel punto i due presentano ricorso contro la decisione del tribunale di non accettare la loro richiesta di adozione. La Corte d'appello annullò il decreto del tribunale, rilevando in particolare un difetto di motivazione e sottolineando che la domanda dei Moretti avrebbe dovuto essere esaminata prima di dichiarare adottabile la bambina e di scegliere una nuova famiglia. Tuttavia, la bambina viene lasciata con la nuova famiglia perché che un'ulteriore separazione avrebbe rischiato di traumatizzarla.

I giudici europei, evidenzia Occhiogrosso, «hanno dato rilievo alla famiglia che aveva avuto in affidamento la bambina, confermando che vada accertato caso per caso il valido e robusto legame con il bambino affidato». Inoltre, la Corte «ha ricordato l'obbligo e il dovere di comparare tutte le famiglie che presentano domanda di adozione». Infatti, il danno morale risarcibile riconosciuto alla famiglia Moretti scaturisce proprio dal fatto che «la famiglia affidataria non è stata messa sullo stesso piano delle altre, adducendo come motivazione del mancato confronto il fatto che il minore fosse già stato affidato ad altri: invece i giudici avrebbero dovuto dire se la famiglia affidataria era idonea e se no, per quali ragioni».

È comunque «una sentenza che di fatto cambierà poco». Ma, osserva il presidente del Centro nazionale, «sarebbe opportuno che i tribunali prestassero più attenzione e non si limitassero solo a dare nulla osta alle istanze di proroga di affidamento sine die». «Occorrerebbe un monitoraggio costante per capire se la situazione del bambino è tale da esigere una proroga oltre i due anni – dice – E, nel caso di un affidamento troppo protratto, i tribunali dovrebbero verificare l'adottabilità del minore». Non bisogna infatti dimenticare, conclude Occhiogrosso, «il diritto alla stabilità degli affetti del minore, che non significa un affidamento che si protrae all'infinito». «Nella mia esperienza, infatti, non sono mancati casi di rifiuto da parte di ragazzi adolescenti nei confronti della famiglia cui erano stati affidati dall'infanzia: con un'adozione, questo problema non si sarebbe posto». (mf)