Alunni in difficoltà e diritto allo studio

21/03/2013 Tipo di risorsa: Temi: Titoli:

La distinzione tra alunni con disabilità e alunni senza disabilità non rispecchia più la realtà, variegata e complessa, delle classi di oggi. Ogni studente, infatti, può manifestare, anche solo in determinati periodi, “Bisogni Educativi Speciali”. Un concetto ampio, che ricomprende, oltre alla disabilità, problemi diversi, come, ad esempio, i Disturbi Specifici dell'Apprendimento (DSA) e i disturbi dell'attenzione e dell'iperattività (ADHD). Per garantire il diritto all'apprendimento di tutti gli studenti in difficoltà il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha emanato, il 27 dicembre 2012, la direttiva Strumenti d'intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l'inclusione scolastica, a cui ha fatto seguito una circolare ministeriale, firmata il 6 marzo scorso, che dà indicazioni operative alle scuole.

La direttiva, si legge nel testo della circolare, «ridefinisce e completa il tradizionale approccio all'integrazione scolastica, basato sulla certificazione della disabilità, estendendo il campo di intervento e di responsabilità di tutta la comunità educante all'intera area dei Bisogni Educativi Speciali (BES), comprendente: “svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse”».

Nella prima parte del documento emanato il 27 dicembre si offrono indicazioni alle scuole per la presa in carico di studenti con Bisogni Educativi Speciali, mentre nella seconda si definiscono le modalità di organizzazione dei Centri Territoriali di Supporto (CTS) – strutture che «rappresentano l'interfaccia fra l'Amministrazione e le scuole e tra le scuole stesse in relazione ai Bisogni Educativi Speciali» -, le loro funzioni e la composizione del personale che vi opera.

A Raffaele Ciambrone, dirigente dell'Ufficio disabilità della Direzione generale per lo studente, l'integrazione, la partecipazione e la comunicazione del ministero, abbiamo rivolto qualche domanda sui contenuti e le finalità dei due documenti.

È nella direttiva che si parla, per la prima volta, di Bisogni Educativi Speciali?

La direttiva introduce nell'ordinamento italiano il concetto di Bisogni Educativi Speciali. Anche nelle Indicazioni nazionali per il curricolo del 16 novembre 2012 sono citati i Bisogni Educativi Speciali ma è solo con la direttiva che ne viene data una definizione e un'esplicazione in ambito normativo. Il documento chiarisce che ci sono tre ambiti di riferimento: quello della disabilità, quello dei Disturbi Specifici di Apprendimento e dei disturbi evolutivi e quello dello svantaggio socioculturale e linguistico. Il primo è disciplinato dalla legge 104/1992 e dalla legislazione successiva, il secondo è disciplinato dalla legge 170/2010. Si aggiungono i disturbi evolutivi specifici e tra questi, in particolare, i disturbi del linguaggio e della coordinazione motoria e poi anche un'altra serie di problematiche, cioè l'ADHD e il funzionamento cognitivo limite (FIL). Secondo le indagini epidemiologiche parliamo di 80-100 mila alunni nel primo caso e di almeno 400 mila nel secondo. Si tratta complessivamente di oltre un milione di alunni, considerando i 200 mila con disabilità, i 100 mila con ADHD, i 400 mila con funzionamento cognitivo limite e i 300 mila dislessici. In più dobbiamo considerare tutti gli alunni stranieri neoarrivati in Italia, con difficoltà linguistiche serie. Questi bambini erano già lì nelle nostre classi, non nascono certo con la direttiva. È giusto pensare a forme di tutela che garantiscano il loro successo formativo.

Quali sono i principali obiettivi della direttiva?

L'obiettivo è dedicare un'attenzione speciale a chi ha un bisogno educativo speciale, quindi spostare il baricentro su un approccio pedagogico più che su un approccio clinico. Non è possibile che l'intervento educativo si attivi soltanto a fronte di una certificazione, ma deve avere un fondamento psicopedagogico: l'insegnante rileva che c'è una difficoltà, un problema, un bisogno di maggiore attenzione e dà questa attenzione. Regolare l'intervento educativo sempre su una sollecitazione esterna, a partire da una certificazione o da una segnalazione, va contro il principio di responsabilizzazione e presa in carico dell'insegnante, che invece è fondamentale. Accanto a questo obiettivo c'è anche quello di garantire il diritto allo studio, che dev'essere tutelato per tutti i bambini. La direttiva fa riferimento alla legge 53/2003: è lì che viene introdotto nell'ordinamento italiano il principio della personalizzazione degli interventi educativi e didattici. Nelle classi ci sono delle differenze individuali che vanno rispettate, non solo a partire da un problema fisico, da una patologia o da una disabilità, ma anche per un bisogno speciale che può rivestire carattere provvisorio. Tutto ciò doveva essere esplicitato. Lo strumento è quello del Piano Didattico Personalizzato (PDP), che raccoglie e formalizza le decisioni assunte nell'ambito dei Consigli di classe, con la condivisione delle famiglie. Le indicazioni date con la circolare non devono essere percepite come un nuovo castello di oneri e di ulteriori impegni né bisogna pensare che occorra predisporre un PDP per ciascun alunno in difficoltà. Gli interventi devono attivarsi sulla base di risultanze oggettive e di fondate esigenze educativo-didattiche. Per quanto riguarda le segnalazioni cliniche, occorre distinguere tra diagnosi e certificazioni rilasciate ai sensi delle leggi 104/92 e 170/2010. Il funzionamento cognitivo limite, ad esempio, può certamente venire diagnosticato, ma non dà diritto a una certificazione ai sensi della legge 104. Lo stesso vale per l'ADHD e altri disturbi.

La formazione degli insegnanti sui Bisogni Educativi Speciali diventerà permanente e obbligatoria?

Abbiamo varato un piano di formazione con 35 master sui DSA e altrettanti ne organizzeremo su disabilità specifiche (autismo, disabilità intellettive e sensoriali, ADHD, ecc.), ma si tratta di formazione volontaria: gli insegnanti possono aderire o meno. Tuttavia, a fronte di 3.500 posti disponibili, abbiamo registrato circa 12.000 domande, segno di crescente sensibilità da parte di tutto il corpo docente rispetto a questi temi. L'Osservatorio nazionale per l'integrazione degli alunni con disabilità ha elaborato una proposta per introdurre la formazione obbligatoria in servizio, che verrà presentata al nuovo vertice politico. Mi preme sottolineare che la direttiva evidenzia delle realtà già esistenti, non ne crea di nuove. Gli insegnanti posseggono una competenza relazionale e psicopedagogica che è il loro punto di forza per la "presa in carico" delle esigenze educative di tutti alunni. La direttiva vuole ribadire che nessuno deve rimanere indietro, dopodiché ci adoperiamo per proseguire con azioni di formazione.

Da chi sono composti e quanti sono i Centri Territoriali di Supporto?

I CTS sono stati istituiti nel 2006. Ci sono due o tre operatori per ogni centro, che hanno seguito percorsi di formazione e autoaggiornamento. L'Invalsi nel 2011 ha svolto un monitoraggio su tutti i centri, da cui risulta che hanno tenuto più di 260 corsi per le scuole, formando oltre 13 mila docenti. Gli operatori sono docenti esperti con una competenza specifica su queste materie, che prestano la loro opera presso i CTS, con azione di consulenza e formazione in particolare sulle nuove tecnologie per la disabilità, sia hardware che software. Sono stati istituiti 96 CTS e ultimamente ne sono stati aperti altri per avere un punto di riferimento in ogni provincia. In alcune regioni, soprattutto al Nord, sono stati istituiti i Centri Territoriali per l'Inclusione (CTI) a livello distrettuale.

Quali sono i punti di forza e le criticità dei CTS?

Il punto di forza è questo: i CTS sono una rete per l'inclusione che supporta in maniera straordinaria il lavoro degli insegnanti. Come punto di debolezza segnalo il fatto che occorrerebbe avere delle risorse dedicate. A questo proposito pensiamo alla formula del semiesonero: sarebbe opportuno che gli insegnanti che operano presso i CTS, anziché svolgere attività aggiuntiva (spesso a titolo volontario e gratuito) avessero la possibilità di organizzare l'orario di servizio, suddividendo il tempo tra attività di insegnamento e impegno presso i CTS, come già accade in alcune province. Questo però comporta una modifica legislativa e un impegno di spesa che ci auguriamo possa essere autorizzato a breve.

Su quali ambiti è intervenuta la circolare?

La circolare cerca di mettere ordine nei vari passaggi. Si parla anche di un Piano Annuale per l'Inclusione: all'inizio dell'anno devono essere posti degli obiettivi e a fine anno si deve cercare di misurare la qualità dell'inclusione in ogni scuola. Un percorso che comporta un maggiore coinvolgimento di tutte le componenti della comunità educante. Ci dev'essere un'interazione tra docenti di sostegno e docenti curricolari.

La direttiva prevede la creazione di un portale, pensato come ambiente di apprendimento e insegnamento e scambio di informazioni e consulenza. Il portale è già stato realizzato?

Il portale, affidato all'Indire di Firenze, è in fase di realizzazione. Conterrà i siti Handytecno ed Essediquadro, quindi una raccolta di tutto l'hardware e il software per la disabilità. Ci sarà poi una parte dedicata alla formazione e uno spazio - una comunità di pratica - in cui gli insegnanti potranno scambiarsi informazioni ed esperienze.

(Barbara Guastella)

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