Aumenta, nel nostro Paese, il maltrattamento all’infanzia, anche a causa dell’impatto della pandemia sulla salute mentale collettiva. La quarta edizione dell’Indice regionale sul maltrattamento all’infanzia in Italia, realizzata dalla Fondazione Cesvi, traccia un quadro del fenomeno da cui emerge una situazione di sofferenza generalizzata in cui i più fragili, a cominciare da bambini e adolescenti, pagano il prezzo più alto.
L’Indice, intitolato Il tempo della cura, esamina la vulnerabilità al maltrattamento dei bambini nelle singole regioni italiane, attraverso l’analisi dei fattori di rischio presenti sul territorio e della capacità delle amministrazioni locali di prevenire e contrastare il fenomeno tramite i servizi offerti. Il risultato è una graduatoria basata su 64 indicatori classificati rispetto a sei diverse capacità che rappresentano la struttura portante dell’Indice: capacità di cura di sé e degli altri, di vivere una vita sana, di vivere una vita sicura, di acquisire conoscenza e sapere, di lavorare e di accesso a risorse e servizi. L’edizione 2021 contiene anche un focus dedicato all’impatto che la pandemia ha prodotto sulla salute mentale.
«Il prolungarsi della pandemia – si legge nel sito di Cesvi - ha reso cronica e strutturale l’emergenza della prima ondata, logorando lentamente la capacità di resilienza e resistenza psicologica e sociale. Dalla ricerca, infatti, emerge l’opinione condivisa sull’esistenza di uno specifico “trauma collettivo da Covid-19” che ha agito da detonatore di disagio grave, in special modo tra le persone e le famiglie già fragili o con traumi pregressi. Nelle famiglie più fragili è infatti aumentata in modo preoccupante la conflittualità, la violenza contro le donne e la violenza assistita e subita dai minori».
L’Indice evidenzia anche a un forte stress negativo sullo stato di salute mentale di genitori e bambini legato a fattori quali la paura di ammalarsi, i minori contatti sociali, le preoccupazioni economiche e l’insegnamento online. Una condizione che ha contribuito all’aumento del burnout genitoriale. In questo scenario «è stato dimostrato essere più probabile che i bambini e le bambine vengano maltrattati anche in presenza di fattori protettivi quali, ad esempio, il livello di reddito o di istruzione, dal momento che si tratta di un fenomeno che colpisce potenzialmente tutti i tipi di famiglie».
Dallo studio emerge inoltre l’incremento delle richieste di aiuto psicologico per gli under 18 e dei tentativi di suicidio di ragazzi, specie durante la seconda ondata della pandemia: dall’ottobre del 2020 fino ad oggi sono aumentati del 30% i tentativi di autolesionismo e di suicidio da parte degli adolescenti.
La ricerca scatta una fotografia dell’Italia a due velocità: al Sud il rischio legato al maltrattamento è più alto e l’offerta di servizi sul territorio è generalmente carente o di basso livello. Le otto regioni del Nord Italia sono tutte al di sopra della media nazionale, mentre nel Mezzogiorno si riscontra un’elevata criticità: le ultime quattro posizioni dell’Indice sono occupate da Campania (20°) Sicilia (19°), Calabria (18°) e Puglia (17°). La regione con maggior capacità di fronteggiare il fenomeno del maltrattamento all’infanzia è il Trentino-Alto Adige che quest’anno per la prima volta supera l’Emilia-Romagna, grazie ad un netto distacco dalla media nazionale rispetto ai fattori di rischio. L’Emilia-Romagna, pur confermandosi la regione con il sistema più impegnato nella prevenzione e cura del maltrattamento all’infanzia, perde la prima posizione dopo tre anni sul podio, a causa di un peggioramento dei fattori di rischio. Seguono Friuli-Venezia Giulia (3°), Veneto (4°) e Umbria (5°).
«Quest’anno, nessuna regione nel cluster delle regioni “reattive”, ovvero che rispondono alle elevate criticità nei fattori di rischio con servizi al di sopra della media nazionale: la Sardegna è arretrata sulla media nazionale per i servizi, mentre l’Umbria ha registrato un miglioramento nei fattori di rischio che l’ha collocata al di sopra della media nazionale. Tra le regioni “virtuose” – con bassi fattori di rischio e un buon livello di servizi sul territorio – oltre all’Umbria, troviamo sei delle sette regioni della precedente edizione dell’Indice (Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Veneto, Liguria, Toscana) insieme alla Valle d’Aosta e al Piemonte. Tra le regioni “stabili” si trova solo la Lombardia».
L’Indice è disponibile sul sito di Cesvi, nella notizia dedicata.