Non è raro vedere campagne e pubblicità che ledono l'immagine di donne e bambine, proponendo stereotipi che alimentano le discriminazioni di genere. Per invertire questa tendenza occorre creare una nuova cultura della responsabilità sociale d'impresa. Il workshop che si è tenuto il 21 maggio scorso a Milano, rivolto a responsabili della comunicazione delle aziende e creatori di contenuti, ha avviato una riflessione sul tema proprio con questo obiettivo: stimolare il confronto tra tutti coloro che si occupano di comunicazione per cambiare la cultura della responsabilità sociale d'impresa e assicurare la tutela dell'immagine di donne e bambine.
All'incontro, organizzato da Terre des hommes e coordinato da Massimo Guastini, presidente dell'associazione Art directors club italiano (ADCI), sono intervenuti Francesca Zajczyk, delegata del sindaco Pisapia per le pari opportunità, Paolo Ferrara, responsabile della comunicazione e della raccolta fondi di Terre des hommes, Vincenzo Guggino, segretario generale dell'Istituto dell'autodisciplina pubblicitaria (IAP) e altri esperti.
Guggino ha parlato, tra le altre cose, delle caratteristiche del sistema autodisciplinare italiano e degli articoli 10 e 11 del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale. Il primo sancisce che «la comunicazione commerciale non deve offendere le convinzioni morali, civili e religiose», «deve rispettare la dignità della persona in tutte le sue forme ed espressioni e deve evitare ogni forma di discriminazione, compresa quella di genere», mentre il secondo è dedicato alla tutela dell'immagine dei bambini e degli adolescenti. I singoli consumatori o le associazioni di consumatori che ravvisino delle violazioni alle norme del Codice possono inoltrare le loro segnalazioni al Comitato di controllo dell'Istituto dell'autodisciplina pubblicitaria. Alle aziende che diffondono messaggi lesivi dell'immagine di donne o bambini il Comitato di controllo ingiunge la cessazione della diffusione della comunicazione commerciale.
Il Codice non prevede, invece, la possibilità di infliggere sanzioni economiche a carico delle aziende. Una lacuna che è stata definita da più relatori come un grave problema del nostro sistema autodisciplinare. «Dobbiamo introdurre pesanti sanzioni economiche a carico delle imprese che veicolano messaggi lesivi dell'immagine di donne e bambine e fare in modo, così, che la pubblicità sessista diventi un pessimo affare», ha detto Annamaria Testa, docente di linguaggi della comunicazione all'Università Bocconi di Milano. Lo stesso concetto è stato ribadito da Guastini. Entrambi i relatori hanno fatto riferimento al Global gender gap report 2012, rapporto internazionale del World economic forum che rileva le differenze tra uomini e donne in materia di criteri economici, grado di formazione, salute e rappresentanza politica, fornendo una classifica che comprende 135 Paesi nel mondo. Nel rapporto l'Italia occupa l'80esimo posto, una posizione peggiore rispetto agli anni precedenti. Per quanto riguarda, in particolare, la partecipazione delle donne all'economia e le opportunità offerte, il nostro Paese risulta al 101esimo posto.
«Superare gli stereotipi diffusi dalle pubblicità sessiste è un buon affare, vuol dire avere di fronte orizzonti narrativi bellissimi, storie vere che emozionano», ha sottolineato Testa. «Le aziende devono raccontare le donne reali, contemporanee. Solo così possiamo ottenere una maggiore empatia con lo spettatore. Superando gli stereotipi restituiamo dignità alla pubblicità e ristabiliamo un patto tra imprese e consumatori». Rossella Sobrero, presidente di Koinètica, è intervenuta sulla responsabilità sociale delle imprese: «le aziende sono inserite in un sistema. Per cambiare la cultura non basta che le imprese socialmente responsabili facciano la loro parte, ma è necessario fare rete tra tutti i soggetti che si occupano di comunicazione».
Il workshop Gli stereotipi di genere in comunicazione ha offerto l'occasione per approfondire un altro argomento di grande attualità: la rappresentazione degli stereotipi di genere nella pubblicità per l'infanzia. Il tema è stato affrontato da Francesca Romana Pugelli, docente di psicologia sociale all'Università Cattolica di Milano. «I bambini cercano qualcuno che risponda alle loro domande. Ai più piccoli piace la pubblicità, anche perché propone dei modelli in cui si possono identificare», ha spiegato la docente. «Quando gli adulti guardano la televisione sono più rilassati e meno attenti a una lettura critica delle immagini. Lo stesso discorso vale ancor più per i bambini: per loro è difficile individuare gli stereotipi veicolati dalle immagini proposte in tv, che sono molto presenti nella pubblicità per l'infanzia. Le bambine, ad esempio, compaiono all'interno delle case, mentre i maschi appaiono spesso nei luoghi aperti».
Lorella Zanardo, coautrice del documentario Il corpo delle donne e dell'omonimo libro edito da Feltrinelli e ideatrice del percorso educativo Nuovi occhi per la tv, ha parlato del lavoro che sta portando avanti nelle scuole per aiutare i ragazzi a sviluppare uno sguardo critico verso i contenuti proposti dalla televisione. «Molti adulti e ragazzi chiedono che i media rappresentino la realtà. Per questo proponiamo due azioni: fare in modo che la tv rappresenti la società in modo più veritiero e dare strumenti di educazione ai media». Nuovi occhi per la tv prevede due tipologie di corsi di media education: una rivolta ai formatori e l'altra agli studenti delle superiori.
Il workshop - a cui ne seguiranno altri, sempre sullo stesso tema - è stato organizzato nell'ambito della campagna Indifesa, promossa da Terre des hommes per garantire alle bambine di tutto il mondo istruzione, salute e protezione dalla violenza, a partire da interventi sul campo volti a prevenire e combattere abusi e discriminazioni di genere. La campagna, presentata lo scorso ottobre, ha previsto varie attività. Fra queste, incontri di sensibilizzazione e prevenzione della discriminazione di genere nelle scuole, l'appello Diritti umani senza frontiere - lanciato insieme all'Istituto degli Innocenti di Firenze per chiedere un'estensione della competenza legislativa dell'Unione europea a tutte le violazioni dei diritti umani, così da permettere una risposta omogenea, pronta ed efficace della Ue alle diverse forme di discriminazione e violenza sulle bambine – e la Carta di Milano per il rispetto delle bambine e dei bambini nella comunicazione.
Gli stereotipi di genere non riguardano solo il mondo della pubblicità e della televisione, ma anche quello dell'editoria scolastica. Un'interessante ricerca sul tema è stata condotta da Irene Biemmi, autrice del volume Educazione sessista. Stereotipi di genere nei libri di testo delle elementari, che riporta, nella seconda parte, i risultati dell'indagine. Nel numero 1/2011 della rivista del Centro nazionale Cittadini in crescita è pubblicata un'intervista all'autrice sugli stereotipi di genere che parte proprio dagli spunti di riflessione offerti dal volume. (bg)
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