Il miracolo

di Edoardo Winspeare

(Italia, 2003)

Sinossi

Taranto. Durante l’ennesima litigata dei genitori, Tonio, un ragazzo di quasi dodici anni, inforca la bicicletta e scappa verso la campagna. Mentre pedala tranquillo su una strada deserta che costeggia il mare, viene investito da una macchina, guidata da una ragazza minorenne che, invece di prestare soccorso, fugge via. Il ragazzo, in coma per alcuni istanti, riprende conoscenza solo in ospedale, qualche ora dopo. Perfettamente in salute nonostante il trauma, trattenuto una notte in osservazione, Tonio si avvicina incautamente ad un uomo che sta subendo una crisi cardiaca e, dopo averlo toccato, assiste alla sua prodigiosa guarigione. Sembra un miracolo. Almeno così sono portati a credere la madre di Tonio, un avido giornalista locale, i compagni di classe del ragazzo, uno dei quali, Sarino, lo convince con modi spicci ad andare a casa sua e guarire il nonno gravemente malato. Solo il padre del ragazzo, un piccolo imprenditore edile omai in bancarotta che cerca di tenere segreta alla famiglia la crisi finanziaria, si oppone all’idea che il figlio abbia poteri soprannaturali. Quest’ultimo, disorientato dalle molte voci e da qualche significativo risultato (il nonno di Sarino sembra trarre giovamento delle sue visite taumaturgiche), si chiede se, effettivamente, il trauma gli abbia donato il potere di guarire i malati. Nel frattempo, si rifà viva la ragazza che lo ha investito, Cinzia, preoccupata che Tonio possa denunciarla alla polizia. Tra i due, quasi sorprendentemente, nasce una tenera amicizia, fatta di passeggiate sul lungomare, bagni al porto, gite in motorino. Mentre il ragazzo si accorge, giorno dopo giorno, di non avere doti miracolose (il nonno di Sarino muore di cancro, com’era stato pronosticato dai medici), Cinzia prova a riallacciare i rapporti con la madre da cui era stata abbandonata molti anni prima. Quando però la donna decide di trasferirsi al Nord con il vecchio compagno, il dolore di Cinzia per il nuovo abbandono è tale da spingerla a tentare il suicidio. La città festeggia il patrono con una grande processione, Tonio vaga sconsolato per le strade deserte della periferia, Cinzia, dopo aver distrutto la casa per la rabbia, prende in mano un flacone di acido. Avverrà il miracolo?

Introduzione al Film

Taranto

Spesso, nelle analisi dei film, si afferma che la città in cui è ambientato un film assume il ruolo di vero e proprio personaggio cinematografico: la città respira, influisce sulla narrazione, “parla” attraverso i suoi palazzi, le sue strade, i suoi parchi, avvolge, disorienta, spiazza, accompagna gli altri personaggi del film: Parigi ne I quattrocento colpi di François Truffaut, Beirut in West Beyrouth, la Londra ottocentesca in Le avventure di Oliver Twist di David Lean, Pechino ne Le biciclette di Pechino di Wang Xiaoshuai, Roma in Ladri di biciclette di Vittorio De Sica, Berlino in Germania anno zero di Roberto Rossellini, Napoli in Non è giusto di Antonietta De Lillo e così via. La città di Taranto, così com’è fotografata e raffigurata nella pellicola di Edoardo Winspeare, può rientrare a pieno titolo all’interno di questo lungo e ancora parziale elenco. C’è però una particolarità che contraddistingue la città pugliese da molti altri “capoluoghi del cinema”: Taranto resta impassibile, si staglia, nel corso del film, come una presenza fredda, distaccata, come un luogo che ha conosciuto, nei millenni della propria storia, ogni possibile evento e ora non si sorprende più di nulla. Il merito è, innanzi tutto, della luce che pervade ogni inquadratura, una luce algida e fastidiosa perché riverberata da superfici riflettenti: la distesa del mar Ionio, la sabbia, il cemento o l’asfalto, le polveri delle industrie siderurgiche che avvolgono in un abbraccio mortale la città vecchia. Le contraddizioni dei protagonisti, quel loro vivere di isolamento e contatto fisico, implosione dei sentimenti (Cinzia, Tonio, il padre di Tonio) e grande altruismo (si pensi a Sarino, con quel suo fare da bulletto e il desiderio, inconfessabile nella sua più proba normalità, di vedere guarire il nonno), si sposano con le contraddizioni di Taranto, culla della Magna Grecia, perla dello Ionio, sede di un centro storico tra i più affascinanti del Salento, eppure disastrata da un’acciaieria che, portando lavoro e un po’ di benessere, inquina e degrada il territorio, per non parlare degli eco-mostri che rovinano la costa, ricoprendola di acciaio, alluminio e ferro. Grazie alle molte panoramiche della macchina da presa - spesso usate come fossero fotografie in movimento, un po’ come faceva Ozu Yasuijro nei suoi film, grazie all’utilizzo dialettico delle location (si veda il continuo avvicendarsi di spazi chiusi e aperti, di case buie, villette a schiera, condomini, ospedali oppure di moli, vicoli stretti, mercati all’aperto, processioni lungo i viali, i lungomare, ecc), grazie all’identificazione dello sguardo della cinepresa con quello curioso di Tonio, grazie, infine, ad una regia cinematografica estremamente pulita e sempre “al servizio” della materia rappresentata, Il miracolo si rivela un film radicato nel suo territorio e, perciò, volutamente ambiguo, freddo e caldo, antico e nuovo, privato ed universale.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

Le solitudini dei figli unici

Tonio, Sarino e Cinzia provengono da famiglie molto diverse. Quella dell’undicenne “miracolato” è piccolo-borghese, con genitori in continuo litigio tra loro e una casa ben arredata e pulita che si presenta come la superficie ipocrita sotto la quale nascondere incomprensioni e nuove povertà; la famiglia di Sarino, più umile, si fonda sulla presenza provvidenziale dei nonni che si occupano delle faccende di casa, amano il nipotino e lo educano come possono, a fronte di un padre e una madre praticamente assenti; Cinzia invece ha alle spalle una storia famigliare più dolorosa, senza un padre (non si sa che fine abbia fatto) e con una madre che l’ha abbandonata in un orfanotrofio da piccola e che, molti anni dopo, vorrebbe ricucire un rapporto ormai logorato dal tempo e dalle incomprensioni. Tutti e tre sono figli unici e tutti e tre, smentendo quel luogo comune che vorrebbe i figli unici coccolati e protetti assiduamente dai genitori, si ritrovano a vivere una vita senza affetti e, soprattutto, senza adulti che abbiano voglia di ascoltare i loro problemi e le loro inquietudini. Anche per questo, i tre protagonisti sono suscettibili alle suggestioni degli adulti, prestano fede alle credenze popolari, si affidano ai miracoli per risolvere i propri problemi. Si muovono, tuttavia, con maggiore scetticismo rispetto ai grandi, sperando nelle doti soprannaturali di Tonio perché, palesemente, le doti “naturali” dei rispettivi genitori non sono sufficienti. Non cercano il tornaconto personale, come i giornalisti televisivi disposti ad invadere la privacy di una famiglia e a romperne gli equilibri educativi pur di fare uno scoop, non si muovono con disperazione, come il padre di Tonio che cerca di recuperare le perdite della sua attività con tutti i mezzi che ha a disposizione, o con cieca prostrazione, come gli abitanti di Taranto che si autoinfliggono penitenze (anche di natura fisica) durante la processione per il patrono della città. Sperano, hanno fiducia (non per niente Tonio perdona Cinzia senza esitazione, nonostante l’abbia investito senza soccorrerlo), si aiutano vicendevolmente senza un vero motivo, quasi fosse un riflesso incondizionato. È il vero miracolo a cui assistono, al miracolo dell’amicizia, forse dell’amore (Tonio sembra provare sentimenti più intensi verso Cinzia), certo del rispetto e della voglia di stare insieme. Il suicidio tentato da Cinzia, in un attimo di disperazione, si annulla nel sorriso con cui accoglie il piccolo Tonio, venuto a cercarla e, forse, ad occuparsi di lei. Come già capitava in Non è giusto di Antonietta De Lillo e in Io non ho paura di Gabriele Salvatores (e in molti altri film degli ultimi anni) l’amicizia resta la sola arma che gli adolescenti hanno a disposizione per difendersi contro la pochezza degli adulti: memore della lezione di Sciuscià, il cinema italiano continua a raccontarci storie grandi di amicizie adolescenziali, intime e strette, e che i grandi non riusciranno a spezzare.

Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici

Il miracolo è uno dei titoli di punta di un recente filone del cinema italiano che alcuni critici hanno denominato “neorealismo etnografico” e che si caratterizza, nelle ambientazioni, per una ricerca degli angoli più suggestivi, remoti, affascinanti del Belpaese (spesso situati nelle regioni meridionali italiane o nelle isole) e, nei soggetti, per un’attenzione alle culture locali, agli usi e costumi tradizionali (a volte arcaici) e al legame tra l’uomo e il paesaggio circostante. Si pensi a Respiro di Emanuele Crialese, L’isola di Costanza Quatriglio, Io non ho paura di Salvatores, Ballo a tre passi di Salvatore Mereu, Perdutoamor  di Franco Battiato, Iris di Aurelio Grimaldi e, seppur in chiave ironica e surreale, Incantesimo napoletano di Paolo Genovese e Luca Miniero. Il film di Edoardo Winspeare  può rappresentare un buon modo per riflettere, attraverso l’immagine cinematografica, sul valore dell’amicizia tra coetanei (specialmente tra ragazzi provenienti da classi sociali diverse, così come avviene in Machuca di Andres Wood), ma anche sui pericoli che la superstizione popolare può avere sulle coscienze non ancora formate dei più piccoli: da questo punto di vista, il film può essere accostato a Per grazia ricevuta di Nino Manfredi. Marco Dalla Gassa

E' possibile ricercare i film attraverso il Catalogo, digitando il titolo del film nel campo di ricerca. Le schede catalografiche, oltre alla presentazione critica collegata con link multimediale, contengono il cast&credits e una sinossi. Tutti i film in catalogo possono essere richiesti in prestito alla Biblioteca Innocenti Library - Alfredo Carlo Moro (nel rispetto della normativa vigente).