Incantesimo Napoletano

di Paolo Genovese, Luca Miniero

(Italia, 2001)

Sinossi

Gianni, pescatore, e Patrizia, casalinga, nati e cresciuti a Napoli, sono una giovane coppia di sposi con un desiderio alquanto ordinario: avere un bel bambino, da proteggere, far crescere, educare. Così, quando Patrizia rimane incinta di una bimba, la loro felicità non potrebbe essere più grande. La bambina, di nome Assuntina, è un vero tesoro, almeno fin quando non inizia a pronunciare le sue prime parole. Infatti, sorprendentemente, la piccola non segue l'inflessione dialettale dei suoi genitori, ma si esprime con un marcato accento milanese. Al posto di “mamma” dice “mami”, al posto di “papà” “papi” e così via. Crescendo, questa strana ascendenza si manifesta anche nelle abitudini e nei gusti della ragazza: non sopporta la cucina partenopea, rifiuta i babà, le sfogliatelle, il ragù, nutrendosi solo con il risotto, le cotolette o il panettone. Per Gianni e Patrizia alla sorpresa presto si sostituisce la disperazione di avere una figlia “degenere”. Anche i parenti, i vicini, i colleghi del pescatore rimangono scandalizzati nel constatare che la piccola ha un cuore meneghino e non partenopeo. A nulla valgono gli sforzi dei genitori per insegnarle il dialetto, così come l'assunzione di un professore che – con una pronuncia “D.O.C.” – le dà ripetizioni di napoletano. Abbandonati dagli amici, emarginati dalla vita di quartiere, disperati e impotenti di fronte alla “cocciutaggine” della figlia, i due decidono di mandare Assuntina in “vacanza-studio” a Torre Annunziata, paese della Campania dove si parla un dialetto verace, incomprensibile persino agli stessi napoletani. Passano molti anni e Assuntina, ormai ventenne, torna dal paese completamente cambiata, ma non nel modo sperato dai genitori: la ragazza non ha imparato il dialetto, continua ad avere una chiara inflessione “lùmbard”, ma ora è in stato interessante. Senza peraltro sapere chi sia il padre del futuro bambino, né in quale dialetto si esprimerà.

Analisi

Razzismo al contrario

Incantesimo napoletano poggia su un paradosso: capovolgere un luogo comune per segnarne l'attualità e la veridicità. Il luogo comune è il razzismo dei “padani”, di tutti quei milanesi (e non solo) che guardano dall'alto verso il basso gli italiani nati in meridione. Ribaltare il luogo comune significa attribuire a una comunità napoletana tutte le caratteristiche segregazioniste e secessioniste “tipiche” dei “lùmbard”, sommate alle prerogative “tipiche” dei partenopei. Tipiche per chi ragiona per stereotipi e per luoghi comuni, naturalmente, per chi crede che tutti i milanesi desiderino possedere una “fabbrichetta” e che tutti i napoletani passino le giornate a far niente, a girare il ragù o a fare l'amore (come si dovrebbe dedurre dalle attività che svolgono i parenti o gli amici della coppia). Così, sul filo dell'assurdo, la pellicola costruisce un incantesimo, una malia che vorrebbe smascherare la stupidità di una certa cultura regionalistica. L'architettura del film si basa su due “movimenti” principali. Il primo movimento è rappresentato dal “coro greco” che commenta, avvenimento dopo avvenimento, l'evolversi della storia. Parenti, amici, vicini di casa, perfetti sconosciuti si permettono – sguardo rivolto in macchina – di giudicare le azioni dei protagonisti portando alla luce del sole il sistema con cui surrettiziamente una comunità controlla e condiziona il singolo. L'interpellazione diretta dello spettatore, inoltre, è un modo divertente per coinvolgerlo all'interno della cricca che giudica malignamente i personaggi e costringerlo a fare i conti con i propri pregiudizi e le proprie diffidenze. Il secondo movimento è interno alla famiglia di Assuntina e si fonda sulla frustrazione che i genitori provano nel non riuscire ad “educare” la figlia. I continui tentativi di “napoletanizzare” la bambina (indispensabili ai fini della costruzione “ad accumulo” delle gag) determinano un sentimento di inadeguatezza in Gianni e Patrizia che potrebbe essere facilmente esteso ad altre coppie. In altre parole, l'uso di due dialetti diversi può essere considerato una metafora patente delle lingue diverse che le generazioni parlano tra loro. I genitori si aspettano che i figli parlino napoletano ovvero che diventino ciò che essi desiderano, i figli si esprimono in un'altra lingua, non assecondando in alcun modo le aspirazioni dei padri, senza peraltro riuscire a comunicare quali sono le loro. Un dialogo tra sordi.

Figli alieni

Il divertissement, l'aria da irriverente e surreale commedia, il paradosso narrativo, non possono/vogliono celare il tema principale del film, quello dell'esclusione, del razzismo, dell'isolamento sociale ai danni di una bambina e della sua famiglia. Assuntina viene emarginata perché diversa, perché non rientra all'interno delle categorie di pensiero con cui gli adulti giudicano il mondo. Nondimeno, insieme ad Assuntina, vengono emarginati anche i suoi genitori, colpevoli di non aver saputo impartirle un'educazione ortodossa, allineata alle aspettative della comunità, conforme ad un dogma che chiede ai figli di essere simili ai padri e alle giovani generazioni di integrarsi senza traumi nella società. A differenza di Gianni e Patrizia che vivono con disagio e malessere la loro “croce”, Assuntina non sembra molto preoccupata della propria diversità. Con fredda noncuranza lascia sfogare gli altri, con superiorità mira solo al proprio tornaconto personale, senza spendere inutili energie in ribellioni e tentativi di integrazione. Ancora una volta, seppur in chiave irreale, il cinema racconta storie di bambini estranei alla realtà sociale che li circonda, completamente indifferenti dalle regole della comunità di cui non vogliono far parte (cfr. Il villaggio dei dannati ), che decidono di non crescere (cfr. Il tamburo di latta ), di non diventare adulti, mantenendo così una diversità serena, bambini che attraversano il reale senza volerlo cambiare, ma senza farsi condizionare da esso. Assuntina passa qualche anno a Torre Annunziata, luogo in cui si parla il dialetto originale campano. Gli stessi napoletani spesso non capiscono i loro corregionali tanto è stretto il loro accento. Per la ragazza dovrebbe essere l'inizio di un inevitabile inserimento sociale, visto che sarà costretta a imparare il dialetto locale per comunicare con gli altri. Al contrario, Assuntina mantiene un distacco assoluto dalla realtà in cui vive, evidentemente impara a “esprimersi con il corpo” (non sa chi sia il padre di sua figlia) più che con le parole, badando soprattutto ai propri interessi, respinge ogni necessità d'integrazione. L'improbabile finale suggerisce l'esistenza di una “morale della favola”: di fronte al regionalismo esasperato che trascolora nel razzismo, al cospetto della frustrazione che spinge chi si sente escluso a preferire l'integrazione nella comunità all'amore per i propri cari (in fin dei conti i genitori di Assuntina cacciano di casa la figlia pur di non perdere la propria credibilità nel quartiere), meglio adottare un individualismo autentico e una fiera asocialità. Anche se questo significa agevolare gli egoismi dei singoli e non alimentare gli elementi solidali di ogni consesso sociale.

Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici

Grazie alla sua natura comica, Incantesimo napoletano è un film che si presta – nonostante sia vietato ai minori di 14 anni per la presenza di alcune sequenze nelle quali la sorella della protagonista fa l'amore con il marito e, contemporaneamente, si rivolge allo spettatore commentando gli avvenimenti del film – ad essere proiettato all'interno di rassegne cinematografiche che intendono affrontare problematiche attuali come il razzismo, il regionalismo esasperato, l'emarginazione sociale, ma anche per riflettere sulla presenza di alcuni luoghi comuni che alimentano i pregiudizi tra le persone. Difficile affiancare la pellicola ad esempi analoghi. Un film che parte da presupposti simili è Il ragazzo dai capelli verdi di Joseph Losey , anche se in questo caso la storia di un ragazzino diverso (ha i capelli verdi invece di parlare un altro dialetto) si trasforma in un racconto di palese e sofferta discriminazione, tale da costringere il protagonista a rasarsi la capigliatura pur di farsi accettare dagli altri. Il film di Losey è dichiaratamente metaforico, teso a sostenere la vacuità delle ragioni che alimentano il razzismo. Marco Dalla Gassa

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