Famiglie in difficoltà: i risultati del progetto "Pippi"

23/07/2013 Tipo di risorsa: Temi: Titoli:

Forte riduzione del rischio di allontanamento dei minori dalle famiglie di origine, partecipazione dei genitori e dei bambini, coinvolgimento degli operatori: sono alcune evidenze che emergono dal rapporto sul primo biennio di sperimentazione di Pippi, Programma di intervento per la prevenzione dell'istituzionalizzazione realizzato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali in collaborazione con il Laboratorio di ricerca e intervento in educazione familiare dell'Università di Padova e dieci città riservatarie (Bari, Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Torino e Venezia). I risultati della sperimentazione, iniziata a marzo 2011 e terminata lo scorso dicembre, sono stati presentati questa mattina, a Roma, nel corso di un incontro a cui è intervenuta Maria Cecilia Guerra, viceministro al lavoro e alle politiche sociali.

89 le famiglie target delle dieci città che hanno partecipato al programma, destinatarie di interventi innovativi che hanno previsto, fra le altre cose, la costituzione di équipe multidisciplinari composte da assistenti sociali, educatori professionali e psicologi e l'avvio di forme di collaborazione tra mondo del sociale e mondo della scuola. Famiglie con molti problemi e fattori di rischio, legati soprattutto al fenomeno della negligenza.

Il rapporto, curato dal Laboratorio di ricerca e intervento in educazione familiare e pubblicato nel numero 24 della collana del ministero Quaderni della ricerca sociale, rivela che tra le famiglie target è riconoscibile un solo caso di allontanamento, mentre per le famiglie di controllo in totale 9 bambini (19 per cento) e 7 famiglie (17 per cento) sono dichiarati dai referenti come allontanati dato l'aumento del rischio. 8 degli 89 bambini delle famiglie target, inoltre, attualmente non sono più nella presa in carico, dato che non si riscontra per le famiglie di controllo. Nelle famiglie target si nota anche una maggior percentuale di bambini per i quali è riconoscibile un alleggerimento degli interventi.

A margine dell'incontro abbiamo rivolto qualche domanda sugli esiti del primo biennio di sperimentazione a Paola Milani, docente all'Università di Padova e responsabile scientifico del progetto.

Il programma ha previsto un forte coinvolgimento delle famiglie e dei minori. Quali sono stati gli esiti della sperimentazione in relazione a questo aspetto?

Il coinvolgimento delle famiglie e dei minori è l'aspetto più forte di innovazione che Pippi ha prodotto. Nella cultura e nell'organizzazione dei servizi l'idea è di lavorare “su e per” la famiglia target, mentre il programma ha proposto di lavorare “con” la famiglia target. Le famiglie target coinvolte nel progetto hanno partecipato alle riunioni in cui i professionisti parlavano di loro e alla costruzione degli obiettivi di Pippi; i padri, le madri e i minori sono stati ascoltati sistematicamente. C'è stato, dunque, un incremento della partecipazione dei genitori e dei bambini alla progettazione che riguarda la loro vita quotidiana. Questo è probabilmente il processo che più ha influito sugli esiti: la letteratura, infatti, sostiene che il cambiamento delle famiglie dipende dalla partecipazione delle stesse ai programmi e il fatto che le famiglie target abbiano potuto partecipare realmente rappresenta il processo di lavoro più importante messo in atto, che ha permesso il cambiamento. Non è stato facile, perché per molti operatori è stata una rivoluzione culturale. Questo è uno dei motivi per cui possiamo dire che il lavoro formativo che abbiamo fatto è stato importante e che spiega anche perché ha dovuto essere così intenso: gli operatori avevano bisogno di essere sostenuti e accompagnati. La maggior parte di loro ha messo in atto una pratica di lavoro diversa con le famiglie. Entusiasti del metodo e degli strumenti di Pippi, hanno chiesto di poter continuare il lavoro anche con altre famiglie. La richiesta di poter continuare il programma venuta dal basso – dagli operatori e non dai ricercatori – costituisce un dato indiretto di esito importante.

Pippi ha dato vita a una vera e propria comunità di pratiche tra i diversi professionisti che hanno partecipato al programma. Ci sono state difficoltà nell'attuazione della logica cooperativa su cui si fonda il progetto?

Ci sono state molte difficoltà, soprattutto all'inizio. Quando si prova a introdurre dei cambiamenti nei sistemi questi resistono. Il fatto che il programma sia stato implementato in un momento così critico per il sistema di welfare del nostro Paese e in particolare per il sistema dei servizi per i bambini e per le famiglie ha generato tantissime difficoltà, evidenziate dagli operatori durante l'attuazione del progetto. In alcune città, ad esempio, sono stati tagliati gli interventi di educativa domiciliare, che rappresentano il cuore del programma. D'altro canto bisogna dire che all'interno di questa comunità di pratiche si è creato gradualmente, nel tempo, uno spirito molto costruttivo: abbiamo visto molti operatori rimboccarsi le maniche e fare il possibile per approfittare dell'occasione formativa e di ricerca offerta da Pippi e dare il meglio di loro stessi. Dopo questa prima sperimentazione abbiamo ristrutturato il programma e dato avvio alla seconda parte, attualmente in corso di svolgimento, proprio alla luce dell'apporto dei professionisti, delle loro osservazioni, esperienze e riflessioni e di tutto il lavoro che hanno costruito con le famiglie. La seconda versione del programma, quindi, è nata dal lavoro dei numerosi professionisti che si sono impegnati in maniera straordinaria e hanno insegnato molto anche a noi ricercatori.

Qual è il ruolo della valutazione all'interno del programma?

La valutazione è un tema chiave del progetto. Abbiamo cercato di trovare un punto di mediazione tra diversi approcci. Abbiamo utilizzato l'approccio controfattuale, non inteso in maniera classica, e abbiamo sperimentato un approccio "trasformativo e partecipativo": la valutazione è partecipata perché è fatta dagli operatori e dalle famiglie e non dai ricercatori ed è trasformativa perché i dati che gli operatori raccolgono sul loro lavoro servono a loro stessi per migliorare e trasformare le pratiche di lavoro con i bambini e le famiglie ed entrano continuamente in circolo nella riprogettazione degli interventi.

Sono emerse differenze rilevanti fra le città che hanno aderito alla sperimentazione?

Ci sono tre variabili fondamentali che influiscono sul successo del programma: i contesti, i processi formativi e il modo di raccogliere i risultati e di lavorare alla valutazione. Sulla prima variabile non siamo ancora in grado di fornire un riscontro, perché è un obiettivo che ci siamo posti nella seconda fase della sperimentazione. I contesti comunque, influenzano in maniera importante i risultati. Dato che le famiglie coinvolte nel programma erano poche per ciascuna città, non abbiamo potuto fare dei calcoli su dei numeri così piccoli. Tuttavia è evidente che le famiglie torinesi, ad esempio, hanno avuto un sostegno forte da parte di tutto il sistema professionale, mentre per le famiglie napoletane sono emersi dei problemi, dal momento che a un certo punto il Comune di Napoli ha interrotto i percorsi di educativa domiciliare.

Quali sono, in sintesi, i principali punti di forza e le criticità del programma, alla luce di questi primi risultati?

Il punto di forza è sicuramente l'approccio partecipativo e trasformativo alla valutazione, che tende a coinvolgere gli operatori e le famiglie. Si crea, così, una comunità di pratiche e si mettono in moto dei meccanismi di formazione e di sostegno agli operatori, che si sono mostrati molto soddisfatti di questo modo di lavorare. La maggiore criticità, invece, è rappresentata dal fatto di aver puntato su alcune condizioni organizzative di difficile realizzazione nella pratica dei servizi italiani in questo momento storico.

(Barbara Guastella)

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