Salvatore Mereu
(Italia, 2012)
Periferie degratate, disagio famigliare e lo sguardo pungente e ironico di due adolescenti
Bellas Mariposas, ultimo lungometraggio di Salvatore Mereu presentato all’interno della Sezione Orizzonti della 69ª edizione del festival del cinema di Venezia (e premiato oltre che alla kermesse del Lido anche al festival di Rotterdam), ricorda per molti versi la rappresentazione spregiudicata e grottesca della famiglia data da Pedro Almodòvar in una delle sue prime pellicole, Che ho fatto io per meritare questo? Come in quel film di quasi trent’anni fa anche qui l’obiettivo del regista si sofferma impietoso su un nucleo disfunzionale (in realtà afflitto, molto più banalmente, da una difficile condizione economica e dalla crassa ignoranza dei suoi membri adulti), capace di reggersi in equilibrio precario su dinamiche perverse ma che non intrappolano i personaggi in ruoli fissati o in stereotipi di stampo para-televisivo.
Anche qui i protagonisti sono gli adolescenti, sguardo allo stesso tempo rassegnato e divertito sui misfatti compiuti e sulle sventure subite da parte dei vari membri delle loro famiglie e dai propri coetanei, anche se Cate e Luna, le due undicenni che guidano lo spettatore nel racconto, non hanno nulla di puro e incontaminato o, al contrario, di perverso e corrotto. Il loro è uno sguardo critico che analizza e valuta la situazione e le prospettive, affatto rosee a dire il vero, con freddo disincanto che permette loro di vivere senza troppo rammarico il contraddittorio rapporto con ciò che le circonda. Il racconto, risolto nell’arco di una giornata estiva che, come emerge anche nella filmografia su Cinema, adolescenza, estate, riesce ad accogliere, grazie a una diversa qualità del tempo non scandito dagli impegni quotidiani, la frammentarietà di mille esperienze diverse, di molte riflessioni pungenti, di tanti sogni ad occhi aperti, è una panoramica implacabile su una fauna adolescente bizzarra e disperata allo stesso tempo.
Bellas Mariposas suscita interesse proprio per la capacità di rendere leggere e accettabili situazioni imbarazzanti, a tratti brutali: adolescenti che descrivono disinvoltamente violenze e pratiche sessuali, genitori indifferenti ai comportamenti spregiudicati dei figli, questi ultimi che criticano impietosamente quelli dei genitori, non meno spregiudicati.
Questo anche grazie a una delle caratteristiche essenziali del cinema di Mereu, far esprimere i propri interpreti in dialetto sardo (la traduzione del titolo è “Belle farfalle” e allude alle due protagoniste principali, l’undicenne Cate e la sua amica Luna, combattute tra “volare via” e restare) e di trasfigurare tutto attraverso un poetico disincanto che spiazza. Come sempre l’immagine della Sardegna proposta da Mereu è diversissima da ciò che ci si può immaginare: è la periferia degradata di Cagliari lo scenario principale del film che, per larghi tratti, ricorda i panorami desolati e le situazioni al limite dell’osceno dei film di Ciprì e Maresco. Quello di Mereu è un lavoro interessante soprattutto se messo in parallelo con un altro piccolo film italiano autoprodotto come L’intervallo di Leonardo Di Costanzo (anche questo presentato a Venezia nella sezione Orizzonti) che, invece, neutralizza un’immagine degli adolescenti napoletani più volte proposta dal cinema spesso attraverso l’abuso di stereotipi (tanto da creare una sorta di micro-genere su degrado urbano, criminalità organizzata e adolescenza), con un lavoro di sottrazione di tutti gli elementi “tipici”, per concentrarsi, al contrario, sullo scontro-incontro di due adolescenti che si scoprono liberi dai ruoli fittizi nei quali sono stati costretti fino a quel momento dalla degradata realtà urbana nella quale sono costretti a vivere.
Quello di Mereu, per quanto mascherato da commedia grottesca, è in realtà un ulteriore tentativo (analogo a quello di Di Costanzo) di portare lo sguardo in profondità nella realtà della propria regione, una visione antropologica che gli viene dall’attività di insegnante di educazione all’immagine svolta da anni nelle scuole dei quartieri più difficili del capoluogo sardo. Non per niente Bellas Mariposas ricorre spesso allo sguardo in macchina, a un discorso delle protagoniste rivolto esplicitamente allo spettatore, una denuncia in forma di provocazione che certamente trae forti spunti dalla realtà. Il regista padroneggia un procedimento della narrazione autobiografica che ricorre più e più volte nei film sull’adolescenza (come speriamo emerga anche dal contributo filmografico al numero 4/2011 della Rassegna Bibliografica dedicato al tema della scrittura di sé) e che trova esempi analoghi in altri film italiani come nel più ingenuo Non è giusto di Antonietta De Lillo o in alcuni giovani e giovanissimi personaggi dei lavori di Antonio Capuano. Ma questa rappresentazione iperrealistica del degrado (una sorella prostituta, un fratello eroinomane, il padre falso invalido e così via) per quanto iperbolica e a tratti allucinante, non è così distante – anzi ne è quasi un prolungamento straniato – dalla docu-fiction Tajabone che Mereu ha prodotto e girato due anni fa proprio a Cagliari, all’interno del suo percorso di operatore culturale nel mondo della scuola. Due progetti molto diversi, certo, ma che nascono da un’analoga passione per una terra difficile e dall’impegno nel volerne comprendere la realtà, soprattutto giovanile. In fondo i sogni e le delusioni di Cate e Luna, per quanto stranianti e gridati con la rabbia di chi subisce una condizione al limite non sono in fondo così diversi da quelli degli studenti protagonisti di Tajabone scche, di contro, appaiono schiacciati da una realtà fin troppo ordinaria, pur nella diversità e nell’eccezionalità delle varie storie raccontate.
Tratto dal romanzo omonimo di Sergio Atzeni, che in Sardegna è assurto a caso letterario, Bellas Mariposas è uno di quei film che gli spettatori italiani non troveranno facilmente nelle sale, che i più motivati dovranno cercare di recuperare magari attraverso la programmazione estiva che, a volte, riesce a concedere spazi distributivi sia pur occasionali anche a quelle produzioni considerate ingiustamente minori. A fronte dei numerosi premi ottenuti in ambito nazionale e internazionale il film di Mereu non ha avuto una vita distributiva facile, tanto che il regista ha ironicamente affermato che si sarebbe risparmiato volentieri l’onere di occuparsi della distribuzione in sala (condotta autonomamente nei mesi passati e che solo in queste settimane ha trovato un piccolo ma significativo sbocco distributivo ufficiale) dopo aver dovuto sostenere il ruolo di regista e di produttore del film. A maggior ragione è stato utile e meritorio l’omaggio-retrospettiva a questo interessante autore dall’ultima edizione del Sottodiciotto Filmfestival dedicata al tema dell’identità di genere.