La legge n. 94 del 15 luglio 2009, Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 24 luglio 2009, n. 170 supplemento ordinario n. 128, è entrata in vigore l’8 agosto 2009.
Essa è composta da norme dichiaratamente finalizzate a rafforzare la sicurezza pubblica prevalentemente attraverso un inasprimento della lotta alla criminalità organizzata
ma anche, seppur in misura minore, attraverso disposizioni d’altro genere come quelle che modificano il codice della strada.
Ha inoltre introdotto alcune novità in materia di famiglia. A tal proposito, nell’analisi del testo, è necessario muovere dall’art. 10 bis che punisce a titolo di reato – e più esattamente come contravvenzione – il mero ingresso o soggiorno illegale dello straniero (inteso come cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea o apolide) nel territorio dello Stato. Infatti, l’art. 10 bis al primo comma prevede che «salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle di cui all’articolo 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68, è punito con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro».
L’ultima parte del primo comma dell’art. 10 bis preclude allo straniero che commette questo reato la possibilità di avvalersi della disposizione contenuta nell’art 162 del codice penale che prevede per l’imputato – seppur solo al ricorrere di certe condizioni – la possibilità di estinguere il reato pagando la metà del massimo della pena pecuniaria indicato dalla norma, prima ancora che termini il procedimento penale a suo carico.
Ora, posto che le norme giuridiche devono essere interpretate e che, quindi, è ancora troppo presto per offrire delle valutazioni, in dottrina sono già stati sollevati dubbi a proposito della disposizione precedente, considerato che la Corte costituzionale (con sentenza n. 78 del 16 marzo 2007) aveva espressamente escluso che la mera condizione d’irregolarità dello straniero potesse essere sintomatica di una pericolosità sociale dello stesso.
Un punto di rilievo rispetto all’infanzia, riguarda il compimento di alcuni atti amministrativi. Infatti l’art. 6 del testo unico n. 286 del 1998 stabiliva gli obblighi dello straniero relativi al soggiorno prevedendo, al secondo comma, che il certificato di permesso di soggiorno dovesse essere esibito agli uffici della pubblica amministrazione ai fini del rilascio di licenze e autorizzazioni ma con delle eccezioni che, fra le altre, comprendevano quella inerente i provvedimenti di stato civile: ciò ha finora consentito anche agli stranieri irregolari il compimento di atti che costituiscono espressione diretta dei diritti civili come, per esempio, il riconoscimento di un figlio.
La nuova legge ha eliminato tale eccezione e in dottrina ci si è chiesti se lo straniero irregolare potrà ancora compiere atti come quello sopra indicato, considerato che una deroga invece continua a essere prevista per l’assistenza sanitaria e un’altra per l’iscrizione dei minori alle scuole dell’obbligo.
La risposta a tale domanda non può che essere positiva per varie ragioni.
Anzitutto, per esigere l’esibizione agli uffici della pubblica amministrazione dei documenti inerenti al soggiorno, l’art. 6, comma 2, fa riferimento ai «provvedimenti di interesse dello straniero comunque denominati», mentre la dichiarazione di nascita e il riconoscimento del figlio sono provvedimenti di interesse non solo dello straniero dichiarante, ma anche del figlio minore. Essi inoltre hanno anche una connotazione di interesse pubblico generale per la registrazione e identificazione delle persone nate nel territorio dello Stato.
Una diversa interpretazione di tale disposizione comporterebbe inoltre il rischio di violazioni della Costituzione e di disposizioni internazionali ratificate dall’Italia, quali gli artt. 7 e 8 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo (ratificata dall’Italia nel 1991), che riconoscono a ogni minore il diritto a essere registrato immediatamente al momento della nascita, il diritto a un nome, ad acquistare una cittadinanza nonché preservare la propria identità ivi compresa la nazionalità, il nome e le sue relazioni familiari.
Tutto ciò sarebbe in contrasto con il principio affermato dalla giurisprudenza costituzionale, secondo la quale tra più interpretazioni possibili si deve sempre privilegiare quella conforme alla Costituzione e agli obblighi internazionali e comunitari della Repubblica.
In effetti il 7 agosto 2009, il Ministero dell’interno - Dipartimento per gli affari interni e territoriali ha emanato la circolare n. 19 con la quale si precisano aspetti rilevanti sulle indicazioni in materia di anagrafe e di stato civile, contenute nel testo di legge, in particolare, si stabilisce che «per lo svolgimento delle attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita dello stato civile) non devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell’interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto». Si chiarisce, infatti, che «l’atto di stato civile ha natura diversa e non assimilabile a quella dei provvedimenti menzionati nel citato art. 6».
(Si allegano il testo della legge n. 94/2009, della circolare n. 9/2009 e il testo unico n. 286/1998 nella versione ancora non coordinata).
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