Will Hunting - Genio ribelle

di Gus Van Sant

(USA, 1997)

Sinossi

Boston, Massachusetts, anni Novanta. Will Hunting è un ragazzo residente in periferia che trascorre il suo tempo uscendo con gli amici, frequentando i bar per divertirsi in allegria e spensieratezza. Il ragazzo ha un carattere violento ed irascibile e vive alla giornata svolgendo lavori saltuari. Mentre sta esercitando le sue mansioni di uomo delle pulizie, Will riesce a risolvere un difficilissimo problema matematico lasciato alla lavagna del prestigioso M.I.T. dal professor Lambeau nella vana speranza che lo risolvano i suoi studenti. Grazie ad una particolare dote naturale, Will Hunting è un vero e proprio genio: qualunque disciplina per lui non ha segreti, e il professor Lambeau, una volta individuatolo come il responsabile della soluzione dell’operazione, si attiva per offrirgli le opportunità che il ragazzo indubbiamente merita. Ma i piccoli precedenti penali di Will, dovuti alle sue intemperanze caratteriali, fanno in modo che il ragazzo debba sottoporsi a delle sedute psicanalitiche con lo specialista Sean McGuire. McGuire è uno psicologo uscito dal grande giro per una sorta di vocazione alla marginalità inasprita dal grande dolore della perdita della moglie. Il rapporto tra lo psicologo e Will non inizia sotto i migliori auspici: abituato a prendersi beffe di chiunque senza alcun timore reverenziale, il ragazzo pensa di ingabbiare anche McGuire nella sua rete e di ridicolizzarlo. Parallelamente, Will conosce Skylar, una ragazza abbiente che frequenta l’univeristà, ma quando la fanciulla si innamora, Will fuggirà da lei e interromperà bruscamente il rapporto. Nonostante le difficoltà, le sedute di Will con McGuire procedono: lo psicologo, con estrema perseveranza e donando al ragazzo quell’affetto di cui è sempre stato bisognoso, riesce progressivamente a far emergere il trauma rimosso dovuto ai maltrattamenti ricevuti dal padre durante l’infanzia. Svelate paure ed incertezze, ora Will è in grado di ottenere ciò cui auspica maggiormente: l’amore per Skylar principalmente, accantonando gli obiettivi ambiziosi e carichi di onori e ricchezza ai quali lo vedeva destinato il fin troppo razionale professor Lambeau.

Introduzione al film

Un regista vicino al'adolescenza

Gus Van Sant è da sempre un regista anomalo: considerato all’inizio degli anni Novanta uno degli alfieri di una ritrovata libertà d’espressione dei cineasti americani affrancati dalle rigide regole dell’intrattenimento commerciale dettato dalla macchina hollywoodiana, dopo l’insuccesso del suo film più ambizioso, Cowgirl: il nuovo sesso (1995), opera irrealizzabile perché tratta dal romanzo di uno scrittore come Tom Robbins, capace in ogni più piccolo inciso di evocare paesaggi grottescamente e surrealisticamente venati da una spessa patina di follia lisergica, Van Sant ripiega su se stesso e sulle sue aspirazioni di indipendenza accettando le proposte delle grandi case di produzione, limitandosi, per la maggior parte della critica, a mettere in scena progetti meno coraggiosi, più corretti e maggiormente aderenti ad un semplice mestiere, senza quei picchi poetici che nella prima fase della sua carriera avevano fatto gridare al miracolo di una nuova e possibile liricità. Eppure, tra le pieghe del racconto vansantiano esistono delle costanti che trasmigrano da una pellicola all’altra e che conferiscono al corpus dell’autore quelle caratteristiche espressive che ne decretano l’immediata riconoscibilità. Così, tra elementi eminentemente visivi (nuvole che si muovono nel cielo con effetto accelerato, le improvvise inquadrature che fungono da inserti atti a chiarificare, confrontare e metaforizzare la realtà di riferimento), principi strutturali (la circolarità insita nell’organizzazione dei suoi film), temi ricorrenti (l’emarginazione tossico-omosessuale) e ammiccanti tonalità tendenti all’onirismo, risulta evidente come Van Sant osservi spesso la difficile fase che accompagna gli individui nel passaggio che dall’adolescenza li conduce verso un’età adulta sempre gravida di disillusioni sferzanti e conseguenze devastanti.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

Un genio di difficile gestione

Anche Will Hunting – Genio ribelle, seppur facente parte della “seconda fase” della carriera di Van Sant, non sfugge a quest’attenzione citata poc’anzi: Will Hunting è un adolescente disadattato a causa dei maltrattamenti subiti dal padre in tenera età. La degenerazione della famiglia è un altro dei temi preferiti dal regista, il quale ha sempre citato tra le sue influenze principali Gente comune di Robert Redford (datato 1980, primo film come regista del noto attore: un dramma familiare sui sensi di colpa e sulle difficili dinamiche che seguono le tragedie domestiche) e i disastrati e disgreganti nuclei familiari che popolano gli universi teatrali off-off-Broadway di Sam Shepard (soprattutto in quella che è nota come la “Trilogia della famiglia” o “American Gothic”, formata dai drammi Curse of the Starving Class, Buried Child e True West). Will Hunting è un genio: storia, matematica, chimica, scienze sociali, tutto rientra nel suo scibile, ma il suo sapere non è utilizzato per migliorare la sua posizione nella società. Anzi pare proprio che quest’aspetto non gli interessi: il ragazzo, infatti, ama scazzottarsi come un qualunque teppista da strada e trascorrere le sue serate in piccoli e squallidi locali a discutere di aspetti risibili della realtà con i suoi amici, i quali sono mediocri, alcune volte possono apparire anche tardi, ma sono costantemente presenti, e sono tutto quello che Will possiede. Will è una splendida farfalla che si sforza di non uscire dal suo bozzolo. L’esterno spaventa: l’inconscio dei maltrattamenti ricevuti durante l’infanzia gli ha costruito addosso una dura corazza atta a respingere tutto ciò che gli è estraneo, fosse anche un sincero coinvolgimento emotivo (come quello per Skylar, universitaria dell’alta borghesia, candidamente innamorata del ragazzo). Le dinamiche mentali di Will sono fini a se stesse, il suo talento è destinato a rimanere circoscritto al suo interno oppure, altrettanto poco utilmente, a mortificare studenti che utilizzano la cultura per far sfigurare i suoi fin troppo intellettualmente indifesi amici. Ma sulla pelle di Will si giocano anche i sentimenti e le frustrazioni degli adulti: da un lato il professor Lambeau, al quale va il merito di aver scoperto il genio di Will, che cerca di utilizzare il ragazzo per accedere pienamente a quella vita colma di riconoscimenti che il destino ha voluto sfiorasse soltanto; dall’altro Sean McGuire, psicologo anticonformista e disilluso, marginale per vocazione, il quale conosce pienamente le passioni (ha perso infatti la sua adorata moglie) e odia la freddezza del raziocinio accademico. Will viene così ad essere l’impietoso campo da gioco in cui deve essere determinato necessariamente il suo destino futuro, l’oggetto attraverso il quale l’età adulta dispone ancora una volta del minore per sfogare rabbia, delusioni e impotenti frustrazioni. La battaglia tra passione e razionalità è stravinta dalla prima: McGuire offre a Will tutto un corredo di sensazioni intense che gli erano mancate nell’infanzia, trae dal suo subconscio la violenza patita anni addietro, permettendogli di librarsi in volo verso quell’esterno che ha sempre temuto. Ora per Will è possibile qualunque aspirazione. Anche e soprattutto l’amore che prima aveva sempre rifiutato. Giampiero Frasca