Verso sera

di Francesca Archibugi

(Italia/Francia, 1990)

SINOSSI

Il professor Bruschi, docente universitario in pensione, scrive una lettera alla nipotina Papere (così chiamata perché convinta di avere una sorellina invisibile, Papere seconda) per quando avrà compiuto diciotto anni. La voce narrante del professore ci riporta nel 1977, a Roma, quando suo figlio Oliviero, lasciato dalla compagna Stella, gli affida la piccola Papere, avuta con la giovane donna. Grazie al nonno, vedovo e abitudinario, sebbene ancora vivace e pieno di interessi, Papere, abituata alla vita nomade e sregolata condotta fino a quel momento con i genitori - contestatori e aderenti al "movimento" - può finalmente conoscere una realtà più regolare e a misura di bambino. A Bruschi, ben presto, tocca fare da padre anche alla turbolenta Stella: tra i due si instaura, dapprima un rapporto solo conflittuale, poi via via sempre più sincero e, infine, addirittura confidenziale, quasi amoroso. Partendo per Bologna per partecipare a un convegno, Stella e Papere lasciano per sempre la casa del professore, oramai stanco e incapace di sopportare le brusche separazioni cui l'indipendenza della nuora lo sottopone continuamente. È ancora la voce di Bruschi che chiude il film - e la lunga lettera - sulle immagini della casa ormai abbandonata: capiamo così che, nel frattempo, il professore è morto.  

PRESENTAZIONE CRITICA

La piccola Papere, il cui vero nome è Mescalina, poiché, come dice lei, ingenuamente, "mamma e papà mi hanno fatto sotto un fungo" (quasi una versione aggiornata in chiave beat del più prosaico e tradizionale cavolo), è il centro del confronto tra due generazioni: quella dei padri che, come Bruschi, hanno affidato il loro giudizio alla razionalità, e quella dei figli che, come Oliviero e Stella, negli anni Settanta hanno vissuto la loro vita giorno per giorno, tagliando i ponti con la cultura precedente. La scelta di ambientare quasi tutte le vicende all'interno della bella casa del professore non è da trascurare rispetto al significato del film: essa vuole mettere in evidenza la forzata assenza di Oliviero, dovuta alla presenza di un padre non oppressivo ma "ingombrante" che guarda il mondo dall'alto (ma non "dall'alto in basso") della sua saggezza acquisita in anni di studio, e le continue fughe di Stella, volontarie e motivate non tanto dal rifiuto delle proprie responsabilità di madre, quanto da un bisogno di esperienze nuove che non possono, come invece vorrebbe Bruschi, essere vissute virtualmente grazie alla lettura. Il rapporto tra l'anziano professore e la bambina scavalca, così, quello tra padre e figlio: Bruschi sostituisce Oliviero (e con lui tutta la generazione cui appartiene quest'ultimo) con la nipotina, tenta di dare a lei, con burbera bonarietà (vuole organizzare meticolosamente la settimana della piccola così come organizza la propria senza accorgersi che, poco per volta, è la sua vita che si modella in base alle esigenze della nipotina) gli insegnamenti che non è riuscito a comunicare al figlio. Il fatto stesso che la lettera sia rivolta a Papere e non a Stella, che progressivamente diventa accanto a Bruschi il personaggio principale, è significativo: è una confessione implicita (ma che a tratti diventa chiara, come in uno dei dialoghi tra suocero e nuora) del fallimento totale della generazione che ha dato all'Italia la democrazia ma che non è riuscita a dare ai propri figli la possibilità di servirsene, sebbene rappresenti al tempo stesso la speranza che la generazione dei nipoti possa essere un po' più saggia e razionale della propria e di quella cui appartengono Oliviero e Stella. Importante è anche la scelta di far scaturire il naturale scontro generazionale non dal confronto diretto tra Bruschi e Oliviero - che, non appena vede il padre incomincia a balbettare - ma tra il primo e la nuora, quasi questo sia un terreno più sicuro, anche da un punto di vista drammatico, all'interno del quale il professore può permettersi di parlare più liberamente. Un confronto che, comunque, non riesce a sfociare in una riconciliazione, forse impossibile per l'epoca: il film si conclude con le parole di Bruschi che, democraticamente, rimandano il giudizio su quanto raccontato - peraltro con estrema imparzialità, con lo sguardo affettuoso e preoccupato di un padre che, nonostante tutto, lascia liberi i propri figli di fare le loro esperienze - alla piccola Papere. Di fronte all'atteggiamento adolescenziale di Oliviero e di Stella che vogliono fare piazza pulita del passato cercando in fughe dalla realtà, tanto effimere quanto improbabili, qualcosa che sostituisca il vuoto culturale che la generazione dei genitori ha contribuito a creare, la figura dell'anziano professore spicca insieme a quella di Papere poiché, come egli stesso afferma, non è mai riuscito a dire qualcosa di definitivo nel suo specifico campo di studi, così come nella vita: l'atteggiamento di critico rispetto di Bruschi verso i giovani contestatori va a coincidere con lo sguardo di chi, come Papere, ha ancora la sincerità di guardare al mondo con gli occhi dei bambini. Francesca Archibugi dirige questo suo film con mano certo felice ma forse un po' troppo leggera: nessuno tra i protagonisti è calato a fondo nelle realtà sociali e politiche che durante anni Settanta si fronteggiavano, spesso violentemente. La storia di quel periodo resta relegata sullo sfondo per favorire l'intrecciarsi, a volte tenero, a volte comico, altre volte decisamente drammatico, ma comunque sui toni dell'intimismo, dei sentimenti dei personaggi, in un film delicato il cui senso è tutto da leggere tra le righe.

Fabrizio Colamartino