The Tree of Life

13/05/2013 Tipo di risorsa Schede film Temi Adolescenza Relazioni familiari Titoli Rassegne filmografiche

di Terrence Malick

(Usa, 2011)

Sinossi breve

Jack O’Brien, architetto di successo ma infelice, ricorda la sua infanzia fino alla morte del fratello minore. È cresciuto in una famiglia mediamente benestante del Midwest, a contatto con la natura, con una quotidianità semplice e banale, trascorrendo interi pomeriggi a giocare con i fratelli o con gli amici del quartiere. Attratto dalla dolcezza e dalla gentilezza della madre, ma anche dalla durezza irreprensibile del padre, uomo severo, pianista fallito, costretto a mille lavori per garantire un poco di benessere alla famiglia, Jack sente di non saper gestire le contraddizioni della crescita, gli scatti di ira, l’odio o l’invidia, la voglia di fuggire. Se, infatti, i suoi primi anni di vita possono considerarsi felici e sereni, grazie soprattutto alla presenza rassicurante della madre, da adolescente, prima e ancor più dopo l’imprevista morte del fratello minore, le giornate di Jack e dei suoi fratelli si fanno più pesanti, specialmente quando il padre torna da lunghi viaggi di lavoro senza aver ottenuto ricompense o soddisfazioni. È così inevitabile per Jack adulto ripensare alla propria adolescenza come una stagione di nascita e morte, di momento fondamentale durante il quale interrogarsi sulla fede, sul conflitto tra il bene e il male, sul dolore dei ricordi, sul senso stesso della vita, minuscolo frammento umano immerso in una natura che continua a manifestarsi, indifferente ai destini delle persone, con la stessa brutale e inconcepibile forza e grandezza delle origini.  

 

Presentazione critica. Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

L’albero della vita

Cercare di ridurre la complessità narrativa, visiva, concettuale di Tree of Life in una trama di poche righe o in una “analisi” di poche pagine è operazione non solo discutibile, ma anche destinata a fallire prima ancora di incominciare. A causa di alcune particolari soluzioni formali, narrative e tematiche scelte da Malick (l’intreccio che costringe a continui salti temporali in avanti e indietro lo spettatore; la giustapposizione delle sequenze della vita di Jack con altre in cui si assiste a fenomeni naturali più o meno incontrollabili, l’assenza di dialoghi spesso sostituiti da monologhi interiori dei personaggi), è il film stesso a presentarsi come un’opera volutamente sfuggente, schiusa a una moltitudine pressoché infinita di interpretazioni. Quelli che seguiranno non potranno dunque che essere accenni di commento, tracce di lavoro, prefigurazioni per approfondimenti che richiedono altri spazi e altri tempi e che si concentreranno, per ovvie ragioni, sulla rappresentazione dell’adolescenza di Jack.

Quella tracciata inizialmente da Malick, tra un salto temporale e l’altro, tra una parentesi panteistica e l’altra, è la raffigurazione della famiglia americana perfetta. Almeno nel suo ideale cinematografico e nella sua declinazione bianca, wasp, borghese. La madre, rossa di capelli, carnagione chiara, tratti delicati, è l’incarnazione di tutte le virtù femminili e domestiche, per la sua capacità di accogliere la nuova vita, di farla crescere con amore, sicurezza, generosità, per la sua volontà di entrare in simbiosi con la natura circostante; Il padre, anch’egli biondo e prestante, ma con modi di fare più bruschi, incarna invece le caratteristiche del capo famiglia, forse sarebbe più giusto dire del patriarca (in senso biblico) per il suo modo di comportarsi con severità e rettitudine nei confronti dei propri eredi, e per gli stimoli pressanti che rivolge loro per migliorare, competere, “arrivare”. I figli della coppia, manco a dirlo, sono tre, perché tre è un numero perfetto, e sono tutti maschi, a conferma di una impostazione patrilineare insita nel modello di famiglia americana. Anche la casa, d’altronde, una villetta uni-famigliare con giardino e un grande albero a parziale protezione della privacy, è immagine idilliaca di un modello, quello della società capitalistica cristallizzatosi negli anni Cinquanta, con tanto di berlina parcheggiata sul vialetto, prato tagliato tutti i sabati e domenica trascorsa nella chiesa del quartiere. La riproposizione quasi pedante di tutti i cliché dell’”american dream” serve a Malick per poterne incrinare, poco per volta, la perfezione, fino a trasformare la “famiglia perfetta” in una sorta di gabbia dorata, di prigione dalla quale è impossibile fuggire e dentro la quale è impossibile esprimere se stessi, sia se si è adulti, sia se si è bambini. A tal proposito, la sequenza in cui vediamo Jack camminare per le strade del quartiere, accostandosi alle finestre di altre villette, e vediamo al loro interno altre famiglie e altri genitori che litigano furiosamente proprio come quelli del protagonista, è indicativa di una situazione generalizzata, che vale insomma per tutte le famiglie che abbracciano quel modello culturale.

In questa lenta e progressiva corruzione del modello famigliare, Jack appare come la vittima predestinata, il baricentro di una serie d’ingiustizie che egli assorbe quasi passivamente, senza avere comunque la forza di ribellarsi per rigettarle via da sé. Subisce le reprimende sempre più dure del padre e la preferenza di quest’ultimo per l’altro fratello (quello che morirà in circostanze sospette) perché entrambi condividono la passione per la musica, è impotente di fronte alla violenza che il genitore riversa sulla madre, vive il lutto per la perdita del fratello senza poterlo sfogare come fanno  i genitori, cova un forte senso di colpa e, poi paura e rabbia e sente che violenza cresce in lui facendolo sentire più simile al modello paterno negativo che a quello materno positivo. Come se non bastasse, il film ci mostra il Jack diventato adulto, un adulto ricco, probabilmente di successo, ma profondamente infelice, rimuginante nei confronti della sua vita passata, ancora in soggezione di fronte al padre che sente per telefono, in una continua condizione di erranza psicologica e fisica che indica come la crisi del capitalismo e delle sue superfici riflettenti (si vedano gli ambienti lavorativi che Jack adulto abita) provenga in realtà da molto lontano, dall’identità stessa dell’America puritana e del suo sogno di successo.

Dentro questo quadro si possono comprendere le “parentesi” apocalittiche e naturalistiche, i riferimenti biblici (a Giobbe), le manifestazioni naturali, i dubbi filosofici che attanagliano i protagonisti, Jack per primo. Possono essere considerati una sorta di controcanto alla situazione sociale narrata, una figurazione dell’infinitamente grande e dell’infinitamente incomprensibile (il senso della vita, la sua genesi, la ragione di certi eventi naturali, il significato profondo delle letture…) che ingloba tutto a partire dall’esistenza di Jack e della sua famiglia, la quale non fa che rimpicciolirsi ulteriormente, prigione dentro la prigione, piccolezza nella piccolezza, disorientamento nel caos primordiale, inutilità nell’indifferenza. Succede così che il peso della vita, il cui albero cresce tanto verso l’alto quanto si radica e penetra verso il basso, sia per certi versi insopportabile perché non esistono spalle sufficientemente larghe e braccia sufficientemente forti – come non possono essere quelle di Jack – per farsi carico dei propri problemi e di quelli altrui. Gli abbracci finali di tutta la famiglia in una spiaggia abitata da fantasmi ci dicono in qualche misura che è forse la possibilità stessa della crescita, dell’invecchiamento, della maturazione ad essere ormai impraticabili. La vita è un abbraccio, una camminata, un incontro, una spiaggia, un albero che non prende posizione, semplicemente c’è, nella speranza che eventi naturali non siano così forti da sradicarlo, nella consapevolezza che però, la maggior parte delle volte, questa speranza è vana.

 

Riferimenti ad altre pellicole

Come detto, esistono molti film che mettono in discussione il modello sociale e culturale della famiglia americana, specie quella patriarcale, religiosa, tradizionalista degli anni Cinquanta che alberga nella provincia del grande paese a stelle e strisce. Ricordiamo, tra i tanti titoli possibili, opere come American Beauty e Revolutionary Road di Sam Mendes, Lontano dal paradiso di Todd Haynes, La ricerca della felicità di Gabriele Muccino (in verità ambientato ai giorni nostri), il classico Gioventù bruciata di Nicholas Ray e i più divertenti e surreali Pleasantville di Gary Ross o, sullo stesso stile, The Truman Show di Peter Weir. Il respiro epico/mitico, il richiamo alle sacre scritture, la ricerca d’immagini di straordinaria intensità fanno sì che Tree of Life sia un film che va ben oltre la semplice critica della famiglia americana. Da questo punto di vista non è peregrino accostare l’opera di Malick ad opere altrettanto ambiziose, seppur molto diverse tra loro, come 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, I cancelli del cielo di Michael Cimino, Apocalypse Now di Francis Ford Coppola, C’era una volta in America di Sergio Leone.

 

Spunti didattici

L’opera di Malick è particolarmente complessa e rischia di non essere compresa e apprezzata da parte di un pubblico non preparato alla visione. Si consiglia una proiezione parziale del film, meglio se concentrata su alcune particolari sequenze ritenute paradigmatiche. E comunque è bene concentrare l’attenzione educativa non tanto sui contenuti del film, quanto sulla forma scelta dal regista per comunicarli allo spettatore. All’interno di un percorso meditato, Tree of Life può servire per interrogarsi su alcune questioni che stanno alla base della esistenza umana (e della religione), sulle differenze di genere e i ruoli famigliari (in modo particolare la loro trasformazione), sul significato della memoria e dei ricordi.

 

Marco Dalla Gassa