Tomboy

26/10/2011 Tipo di risorsa Schede film Temi Relazioni familiari Sessualità Titoli Rassegne filmografiche

regia di Céline Sciamma

(Francia, 2011)

Tomboy di Céline Sciamma è un altro piccolo ma straordinario film francese sui bambini, capace di svelare, soprattutto agli occhi degli adulti, l'infanzia in quanto età tutt'altro che felice e spensierata, bensì come luogo di fortissime contraddizioni, segnata da affanni e sofferenze solo in parte mitigate dalla speranza suscitata dalla giovane età dei protagonisti. "Tomboy" è il termine con il quale si definiscono quelle bambine o ragazzine che in italiano vengono comunemente chiamate "maschiacci" e che, proprio a partire dai tratti più evidenti che circoscrivono l'appartenenza di genere (vestiario, giochi, comportamenti), rifiutano l'identificazione con l'immagine femminile socialmente approvata. Il cinema ha già conosciuto (e sfruttato) questo genere di personaggio, mettendo in scena vicende di volta in volta segnate dalla leggerezza della commedia o dalla gravità del dramma: si va dal poetico e ingenuo La mia vita in rosa di Alain Berliner (Belgio/Francia, 1997) al più consapevole XXY di Lucia Puenzo (Argentina, 2007) al tragico Boys Don't Cry di Kimberly Peirce (USA, 1999), per non parlare di film come Billy Elliot di Stephen Daldry (Gb/Francia, 2000) o Girlfight di Karyn Kusama (USA, 2000) nei quali l'identità sessuale dei protagonisti non viene messa in gioco in maniera plateale ma semplicemente sulla base di precise scelte di vita. Con Tomboy Sciamma sembra voler andare oltre le definizioni manichee e a dire il vero un po' stereotipate presentate dai film appena citati e da tanti altri ancora, soffermandosi su ciò che accade a un preadolescente che sta esplorando la propria identità sessuale sottoponendola a una verifica o, per lo meno, a una serie di prove, di tentativi. Si tratta di un elemento fondamentale che dà il tono a tutto il film, segnato da uno sguardo capace di seguire con pazienza ed affetto la protagonista (uno dei più bei ritratti infantili degli ultimi anni) senza andare oltre i limiti di una rappresentazione basata più sull'osservazione discreta dei personaggi che sull'analisi dei loro comportamenti. Si tratta di un'attitudine rara ma che prende sempre più piede, specie nel cinema d'autore: Tomboy, infatti, avrebbe tutte le carte in regola per costituire l'ennesimo film a sensazione sull'identità di genere, basato com'è sulla suspense creata dalla "doppia vita" della piccola Laure che, appena trasferitasi nella nuova casa con i genitori e la sorellina minore, si spaccia per maschio presso il gruppo di nuovi amichetti del quartiere che la/lo accettano senza nutrire il minimo sospetto. Invece la suspense viene puntualmente neutralizzata dalla sceneggiatura e dalle precise scelte di regia della Sciamma: lo spettatore è al corrente fin dai primi minuti del film su quale sia l'identità di genere della protagonista che, per altro, non incontra grosse difficoltà a spacciarsi per Mickael di fronte ai coetanei, grazie alle fattezze androgine, alla passione per il calcio, all'attrazione nei suoi confronti della coetanea Lisa, né a tenere nascosto il suo segreto agli occhi di una famiglia che le lascia ampi margini di autonomia ed è presa dal trasloco e dall'imminente nascita di un terzo figlio. Piuttosto, la regista affida il senso del film a una serie di elementi apparentemente di secondo piano: il confronto con la sorella minore, caratterizzata da una forte femminilità malgrado la giovanissima età, con la madre incinta, vera e propria icona della maternità capace di accogliere e proteggere, con Lisa, attratta da Laure/Mickael forse proprio per l'ambiguità che la/lo caratterizza. Confronti che, tuttavia, non cadono mai nello psicologismo a buon mercato, non sfociano in dialoghi esplicativi che chiariscano eventi e situazioni, bensì si risolvono sempre sul piano dell'azione: Laure gioca tranquillamente con la sorellina, non si sottrae all'abbraccio affettuoso della madre, scambia sguardi complici con Lisa ma non rende esplicito con nessuno il suo segreto. La macchina da presa la segue in ogni momento del suo incerto - ma non per questo meno pervicace - procedere verso l'esplorazione delle possibilità offerte da una condizione come quella infantile che offre ancora l'opportunità di "giocare" ad essere qualcun altro, qualcos'altro rispetto ai ruoli imposti dalla società. Tomboy è, in definitiva, un film sulla transizione dell'identità che non prefigura una soluzione se non nella transitorietà stessa, nella capacità di cambiare per cercare e, in definitiva, restare se stessi. Il tutto per mezzo di un'auto-narrazione che passa attraverso la messa in scena di un corpo che, rifiutando per principio di conformarsi a un'immagine data per sempre, si confronta con la realtà sociale che lo circonda, decidendo di mettersi in gioco: si veda, a tal proposito la bellissima sequenza della partita di pallone o quella, altrettanto bella, del bagno nel fiume, in cui la protagonista mette alla prova lo sguardo degli altri bambini ma non attraverso un gesto di sfida bensì di semplice verifica della "tenuta" della propria immagine. Probabilmente è questo il connotato più felice del film: l'identità non è data come acquisizione definitiva, chiusura nei confronti della possibilità, ma in quanto apparentemente contraddittoria ricerca di un sé che è tanto più autentico quanto più viene concepito come mutevole e libero.

Fabrizio Colamartino