Terkel in trouble

di Stefan Fjeldmark, Kresten Vestbjerg Andersen, Thorbjorn Christoffersen (Danimarca, 2004)

Sinossi

Terkel è un ragazzo timido e insicuro che frequenta le scuole medie. Oppresso nell’ambito famigliare da una madre oppressiva, un padre assente e una sorella minore sempre tra i piedi, si rifugia nell’amicizia con Jason, strano ragazzo della periferia che gira sempre con una spranga in mano. Per sentirsi accettato ed evitare di essere continuamente preso in giro dai bulletti della scuola, Stan e Saki, Terkel si adegua alla loro cattiveria e offende pesantemente la “cicciona” della classe che, segretamente innamorata di lui, si suicida. In preda a tremendi sensi di colpa il ragazzo comincia a ricevere insistenti minacce di morte anonime ed è con terrore assoluto che affronta la breve gita scolastica nei boschi in cerca di salamandre rare organizzata dal fascinoso e naturista professor Gunnar. Nella notte riceve l’ennesima minaccia e tenta di farsi proteggere dal professore, ma scopre che è lo stesso insegnante che sta tentando di ucciderlo per vendicare un povero ragnetto schiacciato inavvertitamente dal ragazzo; in una rissa caotica Terkel viene salvato proprio da Jason con la sua inseparabile spranga. Gunnar viene ucciso e tutti gli altri personaggi tornano alla loro vita di sempre.

Introduzione al film

Terkel in Trouble è il primo film di animazione computerizzata 3D realizzato in Danimarca. Gli autori Stefan Fjeldmark, Kresten Vestbjerg Andersen e Thorbjorn Christoffersen, nel cercare di mettere in scena la storia del giovane Terkel, popolare invenzione dell’acclamato commediografo Anders Matthesen, hanno attinto dalla tradizione popolare e da tutto il cinema di animazione precedente. L’intento dichiarato dei tre autori era quello di proporre qualcosa di completamente nuovo e diverso, lontano dalla melassa disneyana e dal buonismo di tanti cartoons, per avvicinarsi con gusto e stile prettamente nord-europei all’irriverenza e alla scorrettezza politica dei Simpson e di South Park, e all’umorismo surreale del Muppet Show. Terkel in Trouble rappresenta un esercizio di cattiveria narrativa piuttosto singolare e decisamente controcorrente. Nulla di ciò che fa parte dell’assurda storia del protagonista viene nascosto allo spettatore, siano scene splatter come gli squartamenti di un qualunque film horror, il suicidio della “cicciona” Doris tra abbondanti schizzi di sangue, o le disavventure della sorellina Rita che arriva a conficcarsi per sbaglio due forchette negli occhi. E nulla è taciuto, in un crescendo di volgarità e di intemperanze verbali che, tentando di rappresentare il gergo delle nuove generazioni, portano la sceneggiatura a livelli di turpiloquio quasi unici, in particolare nelle frasi di Jason e nel rap sconclusionato con cui Terkel sommerge di improperi i bulletti Stan e Saki. Un meccanismo spiazzante con il quale si cerca di mettere in luce il cinismo della società contemporanea, un tentativo di combattere cattiveria e volgarità con le stesse armi. Quello che inizialmente rappresenta un impatto brutale e in grado di risvegliare da un torpore in effetti piuttosto diffuso nelle storie rassicuranti, crea assuefazione e finisce per rendere piuttosto debole il potere della volgarità. Ben presto il ricorso insistito alla distruzione feroce dei luoghi comuni a colpi di frasi politicamente scorrette, affidata in particolare alla canzone di zio Stewart, che descrive senza mezzi termini una serie di sevizie sui minori, e a quella di Gunnar, che racconta la vita di un bambino tailandese preso nella morsa del lavoro minorile e del turismo sessuale, risulta pesante, esagerato, inopportuno. In questo senso diventa piuttosto stridente il ricorso ad abitudini tipiche del cinema di animazione mainstream, dalle citazioni cinematografiche (la sorellina Rita si sdoppia come le gemelline di Shining) ai titoli di coda giocati con una carrellata di ciak sbagliati fasulli, geniali nella prima apparizione di Monster & Co. (USA, 2001) di Pete Docter, ma ormai ripetitivi e banali. Usuale e ripetitivo, nella distribuzione italiana, anche il ricorso a voci più o meno note per il doppiaggio dei vari personaggi. Nella volgarità dilagante e nell’assoluta demenza delle canzoni del film, tradotte con una metrica davvero imbarazzante, trovano terreno familiare quasi tutti i componenti del gruppo Elio e le storie tese: Elio dà la voce all’onnipresente Arne, narratore e insegnate di musica, il bassista Faso è Jason, mentre Stan e Saki sono interpretati dal chitarrista Cesareo e dal tastierista Rocco Tanica. La forte caratterizzazione regionale dei quattro sposta così la vicenda in una immaginaria periferia milanese.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

Terkel, il protagonista del film, frequenta la prima media in una piccola e tranquilla cittadina del nord-Europa. La sua quotidianità di pre-adolescente è scandita dalle lezioni in una classe eterogenea dominata dai due bulli Stan e Saki e da una situazione familiare opprimente in cui la madre, tabagista inarrestabile, scarica su di lui ansie e frustrazioni, il padre, saldamente trincerato dietro il suo quotidiano, è capace solo di dire “no”, e la sorella minore onnipresente vorrebbe che lui fosse il suo compagno di giochi. Il ragazzo si trova in una delicata fase di trasformazione fisica, il cambiamento della voce e del corpo, ma anche caratteriale nella quale i modelli di riferimento diventano fondamentali per lo sviluppo. Purtroppo, tra le pareti domestiche non trova modelli credibili, e anche nella cerchia delle parentele non può trovare conforto nell’unico zio violento, volgare e alcolizzato. La frequentazione dell’amico Jason sembra fornirgli un appiglio, ma il ragazzo è taciturno e riservato, tanto che Terkel non è mai riuscito a farsi invitare a casa sua e a conoscere la sua famiglia. In più Jason, abitando in periferia, ha la curiosa e inspiegabile abitudine di portare sempre con se una spranga per proteggersi da eventuali attacchi. Debole di carattere e influenzabile dall’esterno, Terkel finisce per adeguarsi alla cattiveria dei due bulli della classe. Non si tratta dell’espressione di una reale malvagità, quanto di un meccanismo di difesa che si esplicita in maniera fin troppo chiara nel momento in cui Terkel riceve una lettera d’amore da Doris, la “cicciona” della classe, ma poi, pur di essere accettato, non rinuncia a prenderla in giro spietatamente portandola al suicidio. Il fatto che Doris si butti dalla finestra è un indizio evidente del malessere dell’intera società nella quale i personaggi si trovano a vivere. Un contesto sociale in cui l’insicurezza ed il senso di inadeguatezza portano ad atteggiamenti arroganti e spietati; in fondo, come il film mostra in maniera esplicita, persino Stan e Saki sono dei ragazzini pavidi ed insicuri costretti a nascondersi dietro un’immagine violenta. È un tipo di dinamica che può portare all’assoluto cinismo o alla totale indifferenza e insensibilità, come nel caso di Jason, che in realtà è il fratello di Doris, il quale non si mostra assolutamente turbato dal suicidio né offeso dal comportamento di Terkel, e che cede alle lusinghe di una compagna di classe innamorata di lui solo quando lei lo rifiuta e lo offende. Inefficace, in un contesto ormai profondamente malato e irrecuperabile, anche l’intervento del professor Gunnar, che poi si rivelerà un ambientalista psicopatico, il quale inizialmente tenta di instradare Terkel sulla via del dialogo e del confronto e di scuotere i ragazzi dal loro torpore morale sensibilizzandoli sulla situazione sfortunata dei coetanei del terzo mondo. Si evidenzia, dunque, una sconfitta assoluta e inappellabile del sistema educativo scolastico, e ancor di più di quello sociale e familiare. Il film tenta una critica feroce che esaspera i toni ed estremizza le situazioni rendendole surreali, quindi meno incisive. La gag finale, nella quale il narratore Arne tenta di dare una serie di interpretazioni morali dell’intera vicenda finendo poi per rinunciare e lasciare l’arduo compito allo spettatore, è insieme l’ennesimo sberleffo sarcastico ma anche un indizio forte e preoccupante di una totale deriva educativa di cui il film è sia vittima che carnefice.

Ludovico Bonora