Sinossi
David Helfgott è un giovane pianista australiano: avrebbe davanti a sé un futuro radioso se suo padre Peter, ebreo di origine polacca scampato ai campi di concentramento nazisti e ossessionato dall’unità della famiglia, non gli impedisse di continuare gli studi all’estero. Peter – anch’egli appassionato di musica – obbliga David a debuttare in un concorso con l’esecuzione del difficilissimo Concerto n.3 di Rachmaninov. Nonostante il fallimento in questa prova, David viene contattato dalla Royal Academy of Music di Londra che gli offre una borsa di studio: decide di partire, rompendo ogni legame con il padre. Sotto la guida del professor Parker prepara, per un’esecuzione all’Albert Hall, proprio il Concerto n.3 di Rachmanninov: la fatica, ma soprattutto la tensione dovuta al significato che quel brano ha avuto nella sua vita provocano in lui un tracollo psicologico. Ritorna in Australia, ormai in preda a un costante delirio, e vive in una clinica per malattie nervose, fino a quando, una sera, entra in un pub e, tra lo stupore generale, esegue una serie di brani al pianoforte. Acquista una certa notorietà e, grazie alla complicità della proprietaria del locale conosce Gillian, una famosa astrologa, che accetta di sposarlo. Grazie a questo nuovo affetto David riuscirà a recuperare la sua lucidità e ad avere quel successo che la vita gli aveva sempre negato.
Presentazione
Da sempre il cinema ha tratto ispirazione da storie che hanno per protagonisti bambini o adolescenti di talento alle prese con il difficile percorso per l’affermazione in campo artistico: che si tratti di difficoltà economiche, di pregiudizi sociali o dell’incomprensione da parte della famiglia, la strada del successo è sempre in salita per gli artisti in erba del grande schermo. In Shine, invece, nulla di tutto ciò: fin da quando David è piccolissimo il suo talento è apprezzato e incoraggiato da tutti, compreso Peter. Il rapporto conflittuale tra David e il padre nasce, perciò, da un ordine di ragioni diverse e originali. Peter non vuole semplicemente che il figlio abbia il successo che a lui è stato negato – appassionato autodidatta, l’uomo non riuscì ad affermarsi come violinista a causa di un padre violento e della deportazione – ma pretende che, in un’unica, mirabolante esecuzione David riesca a stupire e tacitare quanti, pur credendo nella sua inclinazione, consigliano per il ragazzo un percorso educativo più graduale. Peter vede nel talento del figlio un dono divino: il suo cognome, Helfgott, che significa letteralmente ‘con l’aiuto di Dio’, sembra suggerire una sorta di grazia – ricevuta forse a parziale risarcimento delle tante sofferenze patite nel corso della sua esistenza – che non è dato sottoporre ad alcun tipo di disciplina. Per questo l’esecuzione del famigerato Concerto n.3, brano musicale di grandissima difficoltà, pieno di virtuosismi, sogno e incubo di ogni pianista, è l’unica ragione di vita dell’uomo, al di là del valore puramente estetico della composizione. Il Concerto n.3 di Rachmaninov, infatti, non è una pietra miliare nella storia della musica: aspro, pieno di dissonanze e scarti improvvisi, espressione di un furore romantico tendente al sublime più che al bello, il brano costituisce un ostacolo tecnico pressoché insormontabile per qualsiasi musicista, ma certamente non rappresenta un esempio di armonia e perfezione. Peter, rimasto profondamente scosso dalla lunga prigionia in un campo di sterminio nazista dove ha perso tutta la famiglia, vittima del senso di colpa perché unico sopravvissuto alla tragedia, sa quanto siano importanti le prove estreme nella vita di un essere umano e, così, trasforma il ‘Rach 3’ (in questo modo viene confidenzialmente indicato il brano dagli esperti) in una sorta di prigione dalla quale David potrà uscire soltanto quando sarà in grado di eseguirlo perfettamente. Al termine della sua esecuzione, David non riuscirà a trovare l’uscita dalla gabbia del ‘Rach 3’ e rimarrà prigioniero di quel furore cui ha dato corpo memorabilmente: pagherà con la follia – alla stregua di un eroe romantico – il tentativo di liberarsi dai fantasmi di un’infanzia infelice che continuerà a riecheggiare nel suo soliloquio sconnesso, molto simile, in fondo, a quel brano musicale che ha fatto da colonna sonora della sua vita. Solo nel momento in cui riprenderà a suonare per il puro piacere della musica, quando il suo genio otterrà il riconoscimento affettuoso degli avventori occasionali del bistrot e di Gillian, potrà archiviare per sempre il passato e con esso una figura paterna che, nella sua contraddittorietà, non si sa se odiare o compatire. Diretto con mano felice dal regista australiano Scott Hicks, Shine trae la sua sceneggiatura dalla storia vera di David Helfgott, pianista di grande talento, molto noto in Australia – anche e soprattutto per la sua esistenza drammatica – ma pressoché sconosciuto in Europa. Oltre che di un’ottima sceneggiatura che rende appassionante la materia narrata attraverso una struttura a flashback e di una regia sensibile al contenuto drammatico della storia ma mai ridondante, il film si avvale della straordinaria prova d’attore di Geoffrey Rush che, per la sua intensa interpretazione, si aggiudicò nel 1997 il premio Oscar per la migliore interpretazione maschile.
Fabrizio Colamartino