Rosso come il cielo

22/07/2010 Tipo di risorsa Schede film Temi Istruzione Disabilità Titoli Rassegne filmografiche

regia di Cristiano Bortone

(Italia, 2005)

Sinossi

Un paesino della Toscana, primi anni Settanta. Il piccolo Mirco, dieci anni, ha un padre che legge l’Unità e lo porta al cinema, per il quale il piccolo nutre una grande passione. Un giorno, a causa di un incidente con un fucile, Mirco perde la vista. La scuola pubblica non lo accetta più, e i genitori sono costretti ad affidarlo a una scuola speciale, il Chiossone di Genova, un istituto privato per non vedenti gestito da religiosi. Qui ai ragazzi, molti dei quali ciechi dalla nascita, vengono insegnati i pochi mestrieri che si ritiene siano in grado di fare (tessitori, centralinisti) senza che sia loro offerta una qualsiasi altra possibilità. Ma Mirco è diverso dagli altri: più intraprendente e creativo, trova un registratore a bobine e inizia a montare una serie di favole sonore fatte solo di rumori. Tuttavia, gli istitutori non vedono di buon occhio la passione di Mirco e tentano in ogni modo di porre termine al suo hobby. Sarà grazie all’amicizia tenera per Teresa, la figlia della portinaia, e all’aiuto di Don Giulio, maestro lungimirante, che Mirco potrà seguire la sua passione e rappresentare la sua storia nella recita di fine anno; e, nel 1975, gli istituti per non vedenti saranno chiusi, permettendo così ai ragazzi di frequentare le normali scuole pubbliche.

Introduzione al Film

Una cornice già vista Per il suo quarto lungometraggio il regista Cristiano Bortone si è ispirato alla storia vera di Mirco Mencacci, che è oggi uno dei migliori montatori del suono italiani. Già nei lavori precedenti Bortone (Roma, 1968) aveva dimostrato una tendenza verso il documentarismo e l’esplorazione dei problemi sociali, specialmente con L’uomo dei guanti (Italia, 1994), un mediometraggio sul mondo dell’emarginazione e della prostituzione, e L’erba proibita (Italia, 2002), sull’uso e la diffusione della marijuana; infine, con Sono positivo (Italia, 2000) ha affrontato con un insolito tono da commedia il tema dell’omosessualità e della malattia. In questo lavoro Bortone si affida in gran parte al racconto della storia di Mirco senza tentare particolari esperimenti di regia o soluzioni stilistiche originali. La messinscena è piuttosto convenzionale: si pensi al paesaggio toscano di maniera delle sequenze iniziali, o a tutte le parti del film ambientate in famiglia, in cui i caratteri dei genitori e dei personaggi di contorno sono caratterizzati in modo abbastanza sommario e ripresi con tradizionali campi/controcampi senza nessuna pretesa di originalità stilistica. E così in genere le figure degli adulti restano più vicine alla macchietta che non al carattere costruito a tutto tondo: il rigido direttore del Chiossoni, le suore severe, anche il buon don Giulio e l’amico Ettore rimangono abbastanza piatti e chiusi nello stereotipo. Così la rappresentazione delle scene ambientate in collegio cade nella tipicità di situazioni già viste. Lo scontro tra il direttore e Mirco e poi tra lo stesso direttore e Don Giulio, che invece prende le parti del ragazzo, riprende le linee di molti film del genere, primo tra tutti L’attimo fuggente (Dead Poets Society, Usa 1989) di Peter Weir, ma anche il più recente Les Choristes (Id., Francia/Svizzera/Germania 2004) di Cristophe Barratier: da un lato un personaggio, il direttore, che è chiuso e severo, ma senza che i motivi di questo atteggiamento ci vengano spiegati; dall’altra il maestro empatico e attento, che sa difendere i suoi studenti e sfidare l’arroganza del potere, fino all’attesa vittoria finale. Anche l’incontro, durante una manifestazione (Teresa e Mirco sono fuggiti dal collegio per fare una passeggiata in città), con Ettore, anch’egli cieco e ormai adulto, non esce dai canoni di una rappresentazione tradizionale: il personaggio non è mai approfondito e resta una semplice funzione narrativa, un aiutante che dapprima stimola Mirco alla ribellione verso l’istituzione ostile del Chiossoni e poi organizza la manifestazione che porterà il direttore alle dimissioni e alla chiusura degli istituti per non vedenti, consentendo loro di frequentare le scuole pubbliche.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

Giocare come al solito Dove il film s’illumina è invece nella rappresentazione di Mirco e degli altri ragazzi. Qui il regista dimostra una buona sensibilità nel seguire i sentimenti e le sensazioni dei giovani, senza cadere nella retorica ma adottando un tono realistico e convincente, che non indulge alla pietà né mira a suscitare compatimento ma dà un ritratto scanzonato e insieme profondo dei suoi protagonisti. La figura di Mirco è sempre al centro della narrazione. Nonostante l’incidente che subisce lo allontani dalla famiglia e dagli amici di sempre come anche dalla sua grande passione, il cinema, Mirco reagisce con una maturità perfino eccessiva per la sua età. Le regole, ottuse e oppressive, dell’istituto non lo spaventano; semplicemente le ignora. Grazie all’aiuto di Don Giulio, insegnante sensibile ce ne intuisce le potenzialità, Mirco è incoraggiato a seguire le sue passioni e a usare tutti i sensi («ne hai cinque, perché usarne solo uno?», chiede don Giulio a un Mirco inquieto, che sente all’inizio di stare perdendo la qualità sulla quale aveva contato di più fino a quel momento). Così conosce Teresa, la figlia della portinaia, alla quale sarebbe proibito frequentarli perché «non sono normali»; e con lei esce di nascosto dall’istituto per passeggiare per la città, correre in bicicletta, andare al cinema. Paadossalmente è lui a fare da guida alla ragazzina, incoraggiandola a uscire, a sfidare le regole prestabilite, a seguire le proprie passioni. E così Mirco è anche la guida del gruppo di amici che si raduna vicino a lui e che, passo passo, reagiscono alla chiusura imposta dall’istituto per dare spazio alla loro creatività fino a quel momento mai stimolata. Anche il gruppo di amici è descritto da Bortone con attenzione e sensibilità, senza cadere negli stereotipi: così i caratteri tipici, il timido, l’aggressivo, il riservato, sono delineati con pochi tratti essenziali che ne fanno personaggi dalla grande naturalezza. Il cinema è qui un vero e proprio strumento pedagogico. Nonostante l’handicap della mancanza della vista, Mirco continua ad amare le immagini in movimento. «Al cinema non ci sono solo le immagini, ci sono anche i suoni e le parole», dice: e così tutti i ragazzi, di nascosto, vanno al cinema, superando la sensazione di inferiorità e comprendendo finalmente di avere la possibilità di vivere un’esistenza piena di tutte le esperienze tipiche della loro età. Il punto culminante del film è senz’altro la lunga sequenza in cui Mirco, Teresa e gli altri cercano di costruire un racconto sonoro registrando suoni e voci narranti. I rumori della natura, lo scrosciare dell’acqua, il vento, e poi il bosco, le pietre, ma anche gli attrezzi e utensili casalinghi sono fonte di ispirazione per i ragazzi, che li trasformano in elementi della loro storia creando una rappresentazione sonora affascinante. Così il cinema è strumento di emancipazione perché porta i ragazzi a superare la percezione dell’essere inferiori agli altri e li convince invece della possibilità di poter creare qualcosa di loro fuori dagli stretti confini imposti dalla società in cui vivono. Così, alla fine del film, Mirco torna a casa e ritrova gli amici con cui, all’inizio, lo avevamo visto giocare a nascondino. Stretti tra la compassione e l’imbarazzo, i ragazzi “normali” cercano di favorirlo nel gioco: ma lui, reciso, rifiuta ogni differenza: «io voglio giocare come al solito», dice, e capiamo quanto il suo percorso sia andato avanti nella direzione dell’indipendenza e dell’autonomia.

Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici

Il cinema italiano recente ha dedicato diversi film alla rappresentazione della disabilità, tutti piuttosto interessanti. Si può partire dal Gianni Amelio di Le chiavi di casa (Italia, 2004), storia di un padre che, durante un viaggio col figlio disabile, riesce finalmente a entrare in sintonia con lui dopo averlo ignorato per tutta la vita; per passare poi a un’opera di taglio più documentaristico come Un silenzio particolare (Italia, 2005) di Stefano Rulli, in cui il regista narra la propria esperienza con il figlio autistico, tra incomprensioni, silenzi e improvvisi amori. Se passiamo a un panorama internazionale, il film può essere avvicinato a opere ormai classiche sulla rappresentazione della disabilità come Il mio piede sinistro (My Left Foot, GB 1989) di Jim Sheridan, Rain Man (Rain Man – L’uomo della pioggia, Usa 1988) di Barry Levinson o il delicato L’ottavo giorno (Le huitième jour, Belgio/Francia 1996) di Jaco van Dormael. Per quanto riguarda invece la rappresentazione della vita di gruppo all’interno di collegi e istituti, il riferimento va prima di tutto ai capolavori del genere, I quattrocento colpi (Les quatre-cents coups, Francia 1959) di François Truffaut, Zero in condotta (Zero de conduite, Francia 1930) di Jean Vigo e Arrivederci ragazzi (Au revoir les enfants, Francia, 1987) di Louis Malle; ma si può pensare anche al più recente Les choristes (Id., Francis/Svizzera/Germania 2004) di Cristophe Barratier, ambientato in un istituto correzionale durante e subito dopo la seconda guerra mondiale, in cui un gruppo di ragazzi “difficili” riesce a trovare nuovi stimoli e soddisfazioni grazie all’insegnamento della musica. Chiara Tognolotti