Ponyo sulla scogliera

di Miyazaki Hayao

In questi giorni sugli schermi italiani - dopo essere stato presentato in anteprima mondiale durante la scorsa Mostra del cinema di Venezia – l’ultima fatica di Miyazaki Hayao, Ponyo sulla scogliera conferma poetiche e ispirazioni del grande maestro dell’animazione giapponese.

Come ne La principessa Mononoke, come ne Il mio amico Totoro (probabilmente il suo capolavoro assoluto, che sarà forse distribuito nelle sale italiane nella tarda primavera, dopo una lunga ed entusiasmante circolazione clandestina), come ne La città incantata, come in Laputa e in molti altri suoi lungometraggi, Miyazaki racconta sempre la stessa storia, quella di un’amicizia, innocente, autentica, tra due anime candide, appartenenti a specie geneticamente diverse e proprio per questo destinate a complementarsi, a congiungersi indipendentemente da qualsivoglia calamità che cerchi di tenerle separate.

In questo caso le due anime candide sono Sosuke, un bambino di cinque anni che vive in una casa appollaiata su una montagna che si affaccia sull’oceano, insieme alla madre Lisa, giovane donna solerte e forse un po’ incosciente, (mentre il padre, capitano di una nave mercantile trascorre lungo tempo in mare), e Ponyo, una pesciolina tenuta in consegna negli abissi del mare, protetta fino all’asfissia da Fujimoto, un tempo essere umano, ora signore degli abissi congiunto con Gran Mamare, madre dell’oceano.
Durante una tempesta, Sosuke trova Ponyo imprigionata dentro un barattolo di marmellata e la libera salvandole la vita. Nonostante venga ben presto ricatturata dalle onde, emissarie di Fujimoto, Ponyo sente la sua riconoscenza montare in amicizia e affinità elettiva con Sosuke e grazie all’utilizzo di un elisir del genitore, si trasforma in bambina.
La metamorfosi è impossibile da descrivere con le parole e assolutamente da vivere al cinema con gli occhi sbarrati dall’ammirazione, anche perché produce controindicazioni inaspettate, visto che determina l’innalzarsi di un’onda anomala (uno tsunami) che affonda buona parte della costa e mette in serio pericolo il padre di Sosuke.

Non andiamo oltre con la trama, perché è meglio esperirla passo passo insieme ai due piccoli protagonisti (ripetiamo, sul grande schermo e non sul piccolo), mentre merita dedicare qualche riga al perimetro significante del film, perché Ponyo sancisce, una volta di più, il ruolo che Miyazaki si è ritagliato negli ultimi decenni, in qualità di edificatore degli immaginari dei più piccoli.

Abdicata dalla Disney – e senza troppi rimpianti, per la verità – la funzione di rielaborazione simbolica e iconografica dei miti e delle leggende per l’infanzia (si veda in proposito: Gianni Rondolino, Storia del cinema d’animazione, Utet, 2003), lo studio Gibli – alla cui guida c’è lo stesso Miyazaki e che produce i film di molti altri grandi animatori tra cui Takahata Isao – è rimasta l’unica casa di produzione che lavora su scala globale a pensare animazioni esclusivamente per i più piccoli e segnatamente per alimentare il loro immaginario fantastico.
Ciò che sorprende dei lavori di Miyazaki è che non hanno nulla della soffocante impostazione pedagogically correct che nutre ogni prodotto occidentale pensato per “la crescita dei nostri figli” (dagli omogeneizzati ai giocattoli educativi, dai cartoon delle tv satellitari ai kit di sensibilizzazione), che peraltro risponde alla speculare impostazione antipedagogica che informa quasi tutti i prodotti che fruiscono realmente i più giovani e che sono considerati da molti adulti pericolosi (pubblicità consumistiche, nuovi media, videogames ecc.).

Incurante di qualsiasi possibile critica di pedagogisti e psicologi dell’età evolutiva, il maestro giapponese inventa estetiche, costruisce mitologie, senza accontentarsi degli schematismi più elementari su cui si poggiano tutte le narrazioni a cui siamo abituati. Non esistono conflitti reali tra i personaggi dei suoi film e anche quando la natura si ribella non è mai contro l’uomo, ma a suo favore, come dimostra il terribile e affascinante tsunami di Ponyo che aiuterà tutti i personaggi a riscoprire una nuova giovinezza.
Non esistono colpe dei genitori che si riversano sui figli, non esistono bambini abulici o adolescenti bulli, non esistono morti se non nella logica della resurrezione o, in termini buddisti, della reincarnazione.

Miyazaki pone soprattutto una fiducia incondizionata nei confronti delle sue “anziane” mani (le sue animazioni riducono all’osso l’intervento della grafica computerizzata e sono disegnate cartone per cartone) e degli occhi “giovani” dei suoi spettatori.
La proposta indecente che egli fa ai bambini di tutto il mondo è di entrare in contatto con una poetica (nel senso aristotelico del termine), con una stilizzazione precisa delle mondanità che ci circondano nell'intento di nutrire lo sguardo e infondere coraggio per usarlo in maniera multiforme e non canonizzata.

Miyazaki ha una grande attenzione per quelle epifanie che possono essere esperite solo nel dormiveglia o quando non si ha paura del proprio inconscio. Abbandoniamo le sovrastrutture e lasciamoci catturare da Sosuke e Ponyo. Potremmo correre il rischio – come quando Sosuke guarda negli occhi per la prima volta Ponyo diventata bambina, prossimi a un oceano urlante – di riconoscerci e di essere sorpresi di noi stessi (e degli altri).

 

E' possibile ricercare i film attraverso il Catalogo, digitando il titolo del film nel campo di ricerca. Le schede catalografiche, oltre alla presentazione critica collegata con link multimediale, contengono il cast&credits e una sinossi. Tutti i film in catalogo possono essere richiesti in prestito alla Biblioteca Innocenti Library - Alfredo Carlo Moro (nel rispetto della normativa vigente).