Pianese Nunzio 14 anni a maggio

di Antonio Capuano (Italia, 1996)

Sinossi

Napoli, anni Novanta. Don Lorenzo Borrelli è il giovane parroco di una chiesa del rione Sanità: nel degradato quartiere è diventato un punto di riferimento per quei pochi che, da veri cristiani, pensano di non poter farsi complici della criminalità organizzata. Fra i tanti giovani che gli si avvicinano alla ricerca di valori diversi da quelli della camorra, c’è Nunzio, quattordicenne con una situazione familiare disagiata (i genitori sono divorziati, il padre soffre di gravi turbe psichiche) alla quale tuttavia riesce a reagire positivamente (va bene a scuola, ha delle doti canore che cerca di mettere a frutto). Il prete si lega fortemente al ragazzo fino a instaurare con lui un rapporto che travalica il semplice affetto, sfociando in una vera e propria passione amorosa. Ben presto, tuttavia, Nunzio diviene il mezzo attraverso cui i criminali possono liberarsi dello “scomodo” parroco. Le pressioni sulla famiglia, sull’ambiente scolastico e sugli amici da parte della camorra spingono la polizia a indagare e il ragazzo a denunciare don Lorenzo.

Analisi

Dopo Vito e gli altri (1991), per la seconda tappa del suo viaggio nel degrado di Napoli, Capuano sceglie come protagonista ancora una volta un ragazzino. Nunzio, tuttavia, diversamente da Vito (il protagonista del film del 1991), non è un piccolo delinquente, una vittima inconsapevole della società: descritto da tutti gli altri personaggi (che di tanto in tanto si isolano dallo sfondo dell’azione rivolgendosi direttamente alla macchina da presa per degli “a parte” nei quali parlano di se stessi e dei propri rapporti con Nunzio) come maturo e responsabile, il ragazzo sembra riuscire a camminare tra le macerie fisiche e morali che lo circondano come un essere “graziato”, dotato di un’apparente serenità che lo salva dal contesto in cui vive. Allo stesso modo, anche don Lorenzo è un personaggio atipico, che sfugge nettamente allo stereotipo del parroco antimafia impegnato in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata. L’insana passione per Nunzio viene spiegata dallo stesso prete in un bellissimo monologo interiore, dal quale si può intendere come i rapporti sessuali avuti con il ragazzino siano, al di là della perversione, una realizzazione della sua maniera particolarissima di intendere il rapporto con Cristo: «L’amicizia non può includere l’affetto, la tenerezza, l’amore? Ho scoperto il calore dell’amore. E la mia dedizione a te non ne viene diminuita. Diviene anzi maggior consapevolezza e gioia di vivere e testimoniare il Cristianesimo. Anche il mio rapporto con te è molto sessuale. Vivo dentro una storia d’amore grandissima, con un uomo, con il tuo corpo, con te che sei come me un uomo». Questo drammatico fraintendimento è solo l’altra faccia di quell’attitudine a prendere alla lettera il Vangelo cui assistiamo a più riprese durante il film: dopo aver negato ai suoi fedeli la Comunione in seguito a un efferato omicidio avvenuto nel quartiere – non ritiene degno neanche se stesso di sedere alla tavola del Signore poiché si sente complice dei malviventi per non aver detto e fatto abbastanza – don Lorenzo si rifiuta finanche di impartire l’estrema unzione a un camorrista assassinato. Prete e bambino, allora, sono accomunati da un destino simile: don Lorenzo potrebbe essere un santo per quello che fa all’interno della comunità ma è macchiato dalla passione per Nunzio, punta estrema del suo portare al limite le proprie passioni, del suo non riuscire a essere normale (potrebbe cercare il “Corpo di Cristo” in un rapporto sessuale con una giovane parrocchiana che lo desidera, ma che egli respinge); il ragazzino, all’interno della storia, potrebbe essere “santificato” dallo spettatore solo se fosse un criminale, solo se la nostra falsa coscienza potesse vedere in lui il simbolo di un degrado morale cui invece egli è riuscito, nonostante tutto, a sottrarsi. Si comprende, così, come il film sia stato inviso oltre che alla critica cattolica, anche a quella laica: al di là delle accuse di blasfemia rivoltegli, Capuano lascia buona parte della storia avvolta dall’ambiguità, dando allo spettatore la facoltà di giudicare senza l’uso di filtri o schemi precostituiti (quando sospende l’azione per far parlare direttamente i personaggi, i monologhi non spiegano ma vanno riletti tra le righe a film terminato), rinunciando spesso alla narrazione in favore di una serie di “visioni” napoletane. Così, come in Vito e gli altri riusciva a non scadere nel banale stereotipo dell’impegno civile dando al film una forma diversa, straniata, questa volta il regista sceglie per protagonisti due personaggi, ognuno a suo modo, indifendibili: Nunzio perché non riesce a incarnare adeguatamente l’oggetto della nostra compassione, don Lorenzo perché non può rappresentare efficacemente un eroe nel quale immedesimarsi. Entrambi, però, sono degni del nostro rispetto in quanto autentiche vittime, semplici pedine di un gioco di morte ben più tremendo e crudele di quel gioco d’amore che hanno inventato insieme.