Orange County

di Jake Kasdan

(USA, 2002)

Sinossi

Di famiglia benestante, ottimo studente liceale, spensierato, amante degli sport estremi (soprattutto del surf) e del divertimento in generale, attratto dalle belle ragazze, Shaun sarebbe un adolescente di Orange County (California) come tanti altri se non fosse per la sua famiglia: la madre è una ex alcolista separata dal padre di Shaun e risposatasi con Bob, tanto ricco quanto decrepito; suo fratello Lance è un nullafacente capace di assumere qualsiasi sostanza stupefacente; suo padre, risposatosi con una ventenne, è ossessionato dal lavoro e dai soldi. Quando uno dei suoi amici surfisti muore tra le onde, Shaun inizia a riflettere sul senso della vita, stimolato anche dalla lettura di un libro di Marcus Skinner, docente di letteratura presso l’Università di Stanford. Illuminato dal testo di Skinner, da un giorno all’altro Shaun decide di diventare uno scrittore, rinunciando al surf e alle altre attività spensierate alle quali si dedicava e incominciando a pensare di lasciare Orange County. Scrive un racconto, intitolato proprio Orange County, e lo spedisce a Skinner, ma la sua richiesta di iscrizione all’Università di Stanford, a causa di un disguido, viene rifiutata. Aiutato dalla fidanzata Ashley, riesce ad invitare a casa sua uno dei finanziatori dell’università per chiedergli una raccomandazione, ma i suoi familiari, con i loro comportamenti bizzarri e imbarazzanti, riescono a rovinare tutto e a far naufragare le sue speranze di ammissione: Shaun, a questo punto, inizia a desiderare più di ogni altra cosa di fuggire da Orange County. Spinto da Lance e da Ashley, il ragazzo decide di recarsi direttamente a Stanford e di parlare con il responsabile delle iscrizioni universitarie per mostrargli i suoi ottimi voti e spiegargli l’equivoco del quale è rimasto vittima. Ma anche questo tentativo naufraga miseramente per colpa di Lance che dà fuoco agli uffici amministrativi del college. Quando tutto sembra perduto, Shaun si imbatte per caso in Skinner che gli dichiara il suo apprezzamento per il racconto inviato e lo esorta a continuare a scrivere, tuttavia senza lasciare Orange County che, evidentemente, costituisce la sua vera fonte di ispirazione.

PRESENTAZIONE CRITICA

INTRODUZIONE AL FILM

Orange, contea di Hollywood Cinema dei “figli di…” si potrebbe definire quello di Orange County, e questo per due motivi: il primo e più evidente è quello del contesto sociale nel quale sono ambientate le vicende, quello della ricca borghesia residente nel distretto di Orange County, California meridionale, poco distante da Los Angeles e quindi da Hollywood. Hollywood, appunto: il secondo motivo per cui la definizione di cinema dei “figli di…” ben si adatta a Orange County è la presenza massiccia nel cast del film dei rampolli di attori e registi statunitensi più o meno celebri che proprio a Hollywood risiedono. Forse è per questo che il film di un quasi esordiente (che, tuttavia, di nome fa Jake Kasdan, figlia del regista Lawrence Kasdan) interpretato da attori poco più che debuttanti (che sono, tuttavia, Colin Hanks, figlio del più celebre Tom Hanks, e Schuyler Fisk, figlia dell’attrice Sissy Spacek) può permettersi di annoverare nel cast, sia pure in ruoli minori o per fugaci apparizioni, nomi del calibro di Ben Stiller, Chevy Chase o Kevin Kline. Prodotto da Music Television, network mondiale della videomusica e dalla Paramount Pictures, Orange County ha anche la particolarità di intitolarsi (quasi) come una ben più celebre serie a episodi per la televisione prodotta da Fox TV, the O.C., divenuta nel giro di pochissimo tempo un fenomeno di massa tra i teenagers di tutto il mondo così come altre serie precedenti che, analogamente, traevano il loro nome dalle località, tutte californiane, dove erano ambientate (Beverly Hills 90210, Dawson’s Creek). Per l’esattezza sarebbe forse meglio dire che è the O.C. a intitolarsi come Orange County, visto che il film risale al 2002 mentre la serie televisiva al 2003, e sottolineare che i due prodotti hanno ben poco, quasi niente in comune, a parte la medesima ambientazione, nonché l’età dei protagonisti e quella del pubblico cui sono destinati, ovvero in entrambi i casi adolescenti e giovani. Se, infatti, Orange County è la storia di un ragazzo ricco che vuole fuggire dal proprio ambiente per costruirsi un avvenire lontano da Orange County, the O.C. narra le vicende di un giovane di origini umili abbandonato dalla madre alcolizzata, “adottato” da una ricca famiglia ebrea del distretto e alla ricerca di integrazione in un ambiente snob che in parte ne apprezza la spontaneità e in parte tende a emarginalo per la sua provenienza sociale. Da un lato, dunque, una commedia demenziale (ma non troppo) dal sapore postmoderno, vagamente ispirata a quello che può essere indicato come il testo di riferimento dal secondo dopoguerra ad oggi in fatto di “disagio giovanile” nella upper class statunitense, ovvero Il giovane Holden di J. D. Salinger, il cui protagonista divenne nel corso degli anni Cinquanta il simbolo della ribellione e dell’inquietudine adolescenziale; dall’altro un “testo” più classico, quasi da romanzo ottocentesco, con un giovane brillante ma di umili origini che tenta di inserirsi, grazie alla sua intelligenza, in un ambiente teoricamente preclusogli. In virtù del suo umorismo demenziale ed eccessivo, di una struttura narrativa sufficientemente originale (il racconto scritto da Shaun coincide con la trama del film, le due dimensioni praticamente coincidono), di un protagonista che ha il coraggio di abbandonare le consuete attività dei giovani della West Coast (meglio, quelle spacciate come tali nei serial poc’anzi citati), come praticare il surf, flirtare con le ragazze e divertirsi, per partire alla ricerca di un’agognata normalità, Orange County riesce a ribaltare almeno in parte la consueta visione della gioventù californiana – metro di paragone di quelle di tutto il mondo – divulgata dal cinema e dalla televisione. Soprattutto riesce a farlo con i medesimi strumenti dei serial e dei film demenziali tanto in voga tra teenager, ovvero senza tradire il suo spirito di commedia leggera (a tratti leggerissima) e assumere posizioni eccessivamente problematiche.

IL RUOLO DEL MINORE E LA SUA RAPPRESENTAZIONE

La vita è un romanzo

Orange County parla essenzialmente della scoperta da parte di un’adolescente della propria vocazione e, allo stesso tempo, del suo tentativo di fuga da una realtà familiare asfissiante. Shaun, cui sta stretta la realtà che lo circonda, vede nell’attività letteraria la possibilità di sfuggire a un destino programmato troppo simile a quello, pur piacevole, dei suoi coetanei. La scrittura del racconto, al di là della sua funzione pratica (fare un primo tentativo nel campo della narrativa, presentarsi a colui che vorrebbe fosse il suo professore universitario), si propone in quanto primo passo verso una presa di coscienza e di distanza dalla realtà che lo circonda, un mettere nero su bianco le cose in modo da poterle vedere con maggiore chiarezza. Ingenuamente, Shaun tende a guardare all’attività letteraria e alla vita (soprattutto a quella parte della vita che costituisce il suo pur breve passato) come ad ambiti nettamente separati: la prima è il suo lasciapassare per un futuro diverso e indipendente, la seconda ciò che lo terrebbe legato pericolosamente a Orange County. Di fatto, però, non ci riesce: il racconto che ha deciso di scrivere non è una storia immaginaria, né la cronaca della vita di qualcun altro, ma quella della sua vita e alla fine Shaun sarà costretto ad ammettere che esso non può contenere la vita, racchiuderla e “risolverla” con il finale che più gli piace, deciso a tavolino. La struttura narrativa adottata dal film è, in questo senso, esemplare, dato che ricalca tale presa di coscienza progressiva: nel suo racconto, che è anche ciò che lui ritiene il mezzo più idoneo attraverso cui fuggire da Orange County, Shaun narra di tutto ciò che lo lega a quel luogo amato/odiato; così facendo, però, il ragazzo resta prigioniero – e con lui anche il film – della descrizione di quella realtà. È solo nel momento in cui si trova finalmente faccia a faccia con il suo idolo (il professore Skinner) che, invece di analizzare il suo lavoro da un punto di vista formale e stilistico (ovvero tenendolo separato dalla vita) gli fa capire quanto sia realmente legato a quella realtà e quanto ami quei personaggi così mirabilmente descritti, che comprende l’inutilità dei suoi tentativi di fuga. Se, dunque, ciò che è stato scritto nel racconto (che, poi, è anche ciò che vediamo sullo schermo) è il tentativo di formalizzare le dissonanze della vita in un disegno logico, le “performance” sempre sopra le righe dei vari comprimari (il fratello maggiore sballato, la madre alcolista e depressa, il padre imprenditore cinico, la fidanzata idealista e animalista, gli amici suonati e pasticcioni) e dello stesso Shaun vanno a configurarsi come momenti che “eccedono” il racconto letterario (anche perché fanno parte di un campionario di situazioni cinematograficamente codificate attraverso il genere della commedia demenziale), che non possono essere rappresentati entro i limiti posti dal ragazzo e che, malgrado ciò (o forse proprio grazie a ciò), riescono a fare del racconto qualcosa di vivo e vero. Fabrizio Colamartino  

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