Niente da nascondere

di Michael Haneke

(Francia/Austria/Germania/Italia, 2005)

Sinossi

In un quartiere benestante di Parigi vivono Georges e Anne con il loro figlio Pierrot. Georges è un presentatore di successo di una trasmissione culturale, Anne lavora per una casa editrice. Un giorno la coppia riceve una misteriosa videocassetta che contiene una ripresa fissa della loro casa vista dall’esterno. Sembra uno strano scherzo, ma l’invio delle videocassette (e di una serie di disegni infantili inquietanti) continua. I nastri ora contengono anche altre immagini, come quelle della casa d’infanzia di Georges; la coppia inizia a preoccuparsi. In uno dei nastri è contenuta la ripresa di un appartamento in un caseggiato popolare, dove Georges decide di andare per capire cosa stia succedendo. Nella casa vive Majid, un algerino che i genitori di Georges avevano tentato di adottare quando era un bambino. Georges si reca a trovare la madre e le chiede se ha mai ripensato a Majid e alla sua storia, ma la madre risponde di no, perchè il ricordo è doloroso. Nel rapporto tra Georges e Majid c’è un segreto che emerge piano piano lungo la narrazione. La mancata adozione del bambino è causata dallo stesso Georges, che ha accusato ingiustamente Majid di aver ucciso una gallina e di averlo aggredito. Georges ora si sente minacciato e minaccia Majid di denunciarlo, ma l’uomo dichiara di non aver nulla a che fare con quanto sta succedendo. Georges sospetta del figlio di Majid ma non ha le prove e la polizia non può intervenire. Intanto Pierrot, il figlio adolescente scompare e la tensione tra i coniugi Laurent aumenta ancora di più. Pierrot ritorna dopo essersi fermato a dormire da un amico e Geroges risponde all’invito di Majid che gli chiede di raggiungerlo a casa sua. Qui, dopo aver di nuovo proclamato la sua innocenza, Majid si uccide di fronte allo sguardo esterrefatto di Georges. Dopo alcuni giorni, il figlio di Majid raggiunge Gorges al lavoro e gli dice che lo considera responsabile per aver rovinato la vita di un uomo. Georges lo caccia via. Il film si chiude su un piano prolungato sull’uscita della scuola di Pierrot.

Introduzione al Film

Segreti d’infanzia Il cinema di Michael Haneke, è caratterizzato dal fatto che i suoi film sono (o vogliono essere) sempre delle sperimentazioni in vitro di situazioni limite, situazioni in cui i personaggi sono spinti a compiere o a subire delle azioni al di là di ogni spiegazione etica o psicologica. Da questo punto di vista, il cinema del regista austriaco è cerebrale, non perché i suoi film siano articolati secondo la messa in scena di concetti astratti, né per il fatto che le immagini presentate abbiano bisogno di un particolare lavoro interpretativo. Il regista lavora di solito su un livello narrativo comprensibile e coerente, in cui anche i salti, le ellissi, le durate eccessive dell’inquadratura fanno ormai parte del bagaglio di immagini e forme conosciute da uno spettatore mediamente familiarizzato con il cinema d’autore. Il cinema del regista di Funny Games è cerebrale anzitutto per l’obiettivo che fonda le sue immagini, vale a dire l’ambiguità morale dei suoi personaggi e la mancanza di senso nel meccanismo che scatena le vicende raccontate nei suoi film. Nelle due versioni di Funny Games (1997, Austria e 2007, USA), la tortura e l’omicidio non hanno spiegazione alcuna, così come il protagonista di Benny’s video (Benny’s video, Austria/Svizzera 1992) arriva quasi casualmente a compiere un crimine, mentre i protagonisti di film come La pianista (La pianiste, Germania/Austria/Francia 2002) o lo stesso Niente da nascondere, sono di fatto personaggi dotati di una costitutiva ambiguità, di una doppia vita. In questo senso, il nostro film è un’ulteriore variazione interna alla concezione del cinema come esperimento di percezione, come laboratorio attraverso cui esplorare le zone d’ombra dell’esistenza umana. L’invio delle videocassette è sia un puro meccanismo scatenante la reazione dei personaggi, sia una metafora di una società del controllo. La posta in gioco è quindi la variante contemporanea di un problema classico: esplorare la dissoluzione di un tranquillo ed agiato interno alto-borghese intellettuale, provocata dall’eruzione improvvisa di uno sguardo voyeuristico, uno sguardo misterioso che sembra conoscere un segreto nascosto (caché, nascosto, è appunto il titolo originale del film), la cui apparizione di fatto distruggerà le vite dei protagonisti. Già la prima inquadratura del film (un piano fisso della durata di alcuni minuti sulla porta dell’abitazione dei Laurent, vale a dire le immagini della prima videocassetta ricevuta), pone lo spettatore di fronte alla scelta linguistica e stilistica dell’autore. In questa sovrapposizione tra l’immagine del film e le immagini che irrompono nella vita privata dei protagonisti sta infatti il tema principale dell’opera: il potere destabilizzante delle immagini senza origine, dello sguardo tecnologico senza soggetto che entra nella sfera privata dell’individuo. Il film si apre e si chiude con delle immagini di cui non sapremo mai l’origine. La loro presenza è metaforica, parte integrante del cinema cerebrale del regista. Di fronte a questo meccanismo, il segreto dell’infanzia di Georges passa in secondo piano, diventa un puro pretesto narrativo. Il vero obiettivo del film è allora quello di mantenere il mistero, ciò che erode lentamente l’apparente sicurezza di una famiglia borghese. Lo sguardo del film è dunque doppio: da una parte lo sguardo senza soggetto delle immagini che spiano la vita di Georges Laurent e, dall’altra le immagini del regista, che, come in un esperimento, osservano da lontano il lento disfacimento di una famiglia borghese.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

La crudeltà nascosta Nascosto, non visibile; è la traduzione letterale del titolo originale del film, ma è anche il termine chiave per descrivere il ruolo dell’infanzia e dell’adolescenza in Niente da nascondere. Il film di Haneke sembra mettere in scena una sorta di frattura, di abisso tra l’età adulta e l’infanzia. I personaggi sono (a parte Pierrot) tutti adulti, e tutti proiettati verso la soddisfazione della loro vita professionale e sociale. La figura di Pierrot, sin dal nome, evoca una sorta di silenziosa contrapposizione al mondo adulto che lo circonda. Pierrot è silenzioso, la sua comunicazione con la famiglia è minima, ma la sua sensibilità lo porta a cogliere chiaramente i turbamenti che attraversano l’animo dei suoi genitori. Il ragazzo si chiude in se stesso, esprimendo la sua sofferenza non in una ribellione aperta, ma in piccoli gesti che richiamano l’attenzione dei genitori (decide di andare a dormire da un amico senza avvertire). Il contrasto tra genitori e figli è mostrato dal regista come l’instaurarsi di una barriera invisibile, attraverso la quale i due mondi rimangono separati, sconosciuti l’uno all’altro, anche perché i genitori si mostrano incapaci di comprendere veramente il percorso di Pierrot, il suo silenzio, la sua invisibilità. Ma il conflitto, la separazione drammatica tra mondo adulto e mondo dell’infanzia è dato anche dal rapporto di Georges con la propria infanzia, con la bugia rimossa che lo porterà a mentire e a far cacciare dalla casa, per gelosia, il piccolo Majid. Il regista introduce l’episodio gradualmente, attraverso brevi immagini-ricordo, che diventano via via più chiare. Le inquadrature che si riferiscono al passato hanno una tonalità calda, e, allo stesso tempo irreale, come appunto sospese nel tempo, congelate. L’ultima sequenza ambientata nel passato mostra, da una prospettiva lontana, in campo lungo, il momento in cui il piccolo Majid viene portato via da due assistenti sociali. La macchina da presa rimane a distanza, quasi a voler registrare l’evento con freddezza e, alo stesso tempo, nella stessa posizione neutra da cui erano riprese le videocassette viste dai coniugi Laurent. L’infanzia diventa, in questa visione, il luogo da rimuovere, il passato da cancellare, perché nella vita adulta (e soprattutto nella vita adulta di un personaggio pubblico come Georges) i turbamenti e le crudeltà dell’età infantile vanno appunto rimossi, nascosti, perché potenzialmente pericolosi, come fa la madre di Georges, che non ripensa mai al passato perché troppo doloroso.

Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici

Uno degli spunti possibili per una serie di percorsi legati al film è sicuramente l’inquietudine relazionata alla tecnologia dell’immagine, alla paura del controllo attraverso i nuovi dispositivi tecnologici. Le videocassette di Niente da nascondere sono in questo senso anche una metafora della contemporaneità, oltre ad essere un’astrazione metaforica. Da questo punto di vista, ma con esiti e forme sicuramente diverse da quelle messe in atto nel film del regista austriaco, anche registi come David Lynch, in Strade perdute (Lost Highway, USA, 1997) prendono spunto dallo stesso meccanismo (una coppia che riceve delle strane videocassette), ma per svilupparne un percorso visionario e concettuale, teso ad interrogare le zone nascoste e misteriose del reale. Allo stesso modo, in un film come Videodrome (Videodrome, Canada, 1983) di David Cronenberg, il video diventa la concretizzazione del rapporto problematico tra immagine e realtà, mondo organico e visione tecnologica, secondo quella che è una delle linee poetiche più forti del regista canadese. Accanto a questa prospettiva (in cui l’oggetto e la sua funzione vengo trattati in modo metaforico), esiste un cinema che riflette sul potere voyeuristico dell’immagine contemporanea, dello spettacolo che entra direttamente nella vita privata dello spettatore. Uno dei primi film ad affrontare questo tema è sicuramente La morte in diretta (La mort en direct, Francia, 1983) di Bertrand Tavernier, lucida anticipazione dell’epoca e del potere dei reality show. In questo senso vanno ricordati anche film che da punti di vista differenti, indagano però lo stesso problema, come The Truman Show (The Truman Show, USA, 1998) di Peter Weir, o Contenders serie 7 (Series 7: The Contenders, USA, 2001) di Daniel Minahan. Daniele Dottorini  

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