L'infanzia di Ivan

11/02/2010 Tipo di risorsa Schede film Temi Bambini nei conflitti armati Titoli Rassegne filmografiche

Ivanovo detstvo, URSS, 1962

Regia: Andrej Tarkovskij
Soggetto: dai temi del racconto Ivan di Vladimir Bogomolov
Sceneggiatura: Michail Papava, Vladimir Bogomolov in collaborazione con E. Smirnov
Prodotto da: G. Kuznekov
Fotografia (b/n): Vadim Jusov
Montaggio: Ljudmila Fejginova, Georgi Natanson Musiche: Vjaceslav Ovcinnikov
Scenografie: Evgenij Cernaev
Personaggi e intrepreti: Nikolai Burljaev (Ivan), Valentin Zubkov (capitano Cholin), E.Zarikov (tenente Galcev), S.Krylov (Katasonic), Nikolaj Grinko (colonnello Grjaznov), D.Miljutenko (il vecchio con il gallo), V.Maljavina (Maša), Irma Tarkovskaja (la madre di Ivan), Andrej Michalkov-Koncalovskij (il soldato con gli occhiali).
Durata: 95 minuti

Sinossi

Seconda guerra mondiale. Ivan è un ragazzo dodicenne che ha perso i propri genitori in guerra. Per vendicarsi dei tedeschi, fa la staffetta per l’esercito russo. Le sue missioni, spesso pericolosissime perché si deve infiltrare in territorio nemico, permettono all’esercito russo di avere informazioni essenziali per sconfiggere i tedeschi. Al rientro da una di queste missioni, per evitare di farsi catturare, Ivan ripara in un accampamento russo sconosciuto. Qui conosce il giovane tenente Galcev che sulle prime non crede alla storia che il bambino sia un soldato russo. Solo grazie all’insistenza di Ivan, il tenente telefona al colonnello Grjaznov che insieme al capitano Cholin e al soldato Katasonic hanno la responsabilità militare, ma anche educativa, del ragazzo. Il colonnello e il capitano provano a convincere, con le buone e con le cattive, il piccolo Ivan a frequentare una scuola di guerra per sottrarlo alla prima linea, ma il ragazzo è testardo e ha un solo proposito: combattere contro gli odiati nazisti. I giorni, intanto, trascorrono quasi tutti uguali nell’attesa di una nuova missione e i soldati cercano, in modi diversi, di occupare il tempo. Galcev prova a corteggiare Maša, giovane responsabile dell’unità medica, la quale però finisce per cedere alle avance, decisamente più intraprendenti, del capitano Cholin. Dopo un raid aereo durante il quale viene ucciso il soldato Katasonic, Cholin decide di andare a recuperare due cadaveri russi, lasciati poco distanti dalla trincea dai tedeschi, come fossero degli spaventapasseri, ma il fuoco dell’artiglieria nemica non gli consente di riportare le salme dei due commilitoni. Anche Ivan vive momenti di angoscia e disorientamento: durante un bombardamento nemico Ivan simula per gioco una battaglia all’interno della sua stanza; di notte i sogni in apparenza riconcilianti e rasserenanti del ragazzo (nel sonno immagina di vivere in mondi senza guerra e di potersi ricongiungere con la madre e gli amici) non fanno altro che rendere ancora più opprimenti e bruschi i risvegli. Passano altri giorni e giunge finalmente il momento per una nuova missione da assegnare a Ivan. Il bambino parte nottetempo, accompagnato per un pezzo di strada da Cholin e Galcev. Grazie ad una barca silenziosa i tre arrivano, dopo poco, nel bel mezzo di una palude. Da lì in poi c’è il territorio nemico e i due soldati sono costretti a lasciare da solo il ragazzino. Sulla via del ritorno, mentre provano a recuperare ancora una volta i due soldati uccisi, sono sorpresi da altre scariche di fucile. Solo la fortuna e la notte buia evita loro una morte certa. E Ivan sarà stato colpito? Una grande ellisse conduce lo spettatore all’indomani della fine della guerra. Cholin è morto, Galcev è nell’avanguardia russa che per prima entra a Berlino. Durante la perquisizione agli archivi segreti della Gestapo, il giovane tenente scopre ciò che non avrebbe mai voluto sapere: Ivan – di cui si erano perse le tracce da quella notte – dopo essere stato catturato dai nazisti, è morto impiccato come un soldato qualsiasi.

 

Il contesto storico: il film nella Storia del cinema

Il clima ideologico e politico della seconda metà degli anni Cinquanta in Unione sovietica era cambiato rispetto alle pagine più radicali del realismo socialista. Un cambio di segno parziale e destinato, tra l'altro, ad un significativo brusco ridimensionamento con la destituzione di Chruščëv l’avvento al potere di Leonid Brežnev ma che aveva permesso al giovane Andrej Tarkovskij, allievo di Michail Romm, di mettersi in luce prima con il mediometraggio Katov i skripka (Il rullo compressore e il violino) e poi nel 1962 con L'infanzia di Ivan, leone d'oro alla Mostra del Cinema di Venezia. I primi anni Sessanta sono un fervido periodo di rinnovamento delle prassi linguistiche e narrative nel cinema, grazie all'avvento delle nuovelle vague ed in modo particolare di quella francese. La nuova stagione cinematografica favorisce certamente la diffusione delle pellicole del cineasta russo, quasi da subito additato di autorialità e di alterità rispetto al cinema tradizionale non solo russo. In realtà la ricerca formale e tematica di Tarkovskij persegue direzioni differenti rispetto a quelle sperimentate in tutta Europa, autonome, autoreferenziali, in taluni casi ermetiche. In fin dei conti L'infanzia di Ivan più che segnalare l'affermazione di un autore compiuto, si ritaglia un ruolo importante soprattutto nella storia della rappresentazione cinematografica dei bambini. Insieme a I quattrocento colpi di Truffaut, non a caso realizzato solo tre anni prima da un regista esordiente, e, se vogliamo, per la sua chiave surreale Zazie nel metro di Louis Malle, la pellicola rappresenta infatti un superamento dei tipici registri di rappresentazione dei più piccoli, finalmente privi di tinte melodrammatiche, di ruoli stereotipati, di caratteri psicologicamente prevedibili. Tarkovskij, al contrario, analizza la dimensione lirica e, insieme, sofferente della condizione infantile, lasciando che sia il contesto, il racconto e, soprattutto, lo spettatore a stabilire le coordinate morali della rappresentazione. Non a caso tanto Truffaut con il celebre fermo immagine con cui conlcude il primo capitolo della vita di Antoine Doinel, tanto Tarkovskij con la fotografia segnaletica che "immortala" la presenza di Ivan tra le vittime del nazismo, arrestano il racconto nel bel mezzo dell'azione, assegnando al pubblico l'onore ma soprattutto l'onere di concludere il tracciato delle loro fughe.

Analisi tematica

L’apparizione de L’infanzia di Ivan al festival di Venezia del 1962, dove vinse, ex-aequo con Cronaca familiare di Valerio Zurlini, il Leone d’oro, destò immediato scalpore tra il pubblico e la critica. Quest'opera-prima di un autore appena ventottenne colpì non solo per il soggetto scelto (non era la prima pellicola che portava sullo schermo la storia di un bambino/soldato), bensì, soprattutto, per il modo con cui tale soggetto era trattato: un film sulla guerra senza scene di guerra, un film su un’infanzia vessata senza che il bambino in questione suscitasse tenerezza, compassione, affetto. Il dibattito fu molto acceso nell’allora Unione Sovietica, dove secondo l’establishment il film peccava di poco patriottismo, perché non esaltava a dovere lo spirito partigiano dei soldati della grande armata russa e perché, a causa di quegli ‘incomprensibili’ inserti onirici, si allontanava troppo dai canoni del realismo socialista in voga nel cinema sovietico di quegli anni. L’eco di questa discussione arrivò anche negli ambienti cinefili centroeuropei, allora alle prese con l’avvento delle nouvelle vague, e una larga parte di essi accolse il film e soprattutto il riconoscimento veneziano con scetticismo, accusando Tarkovskij di sterile formalismo e di facile schematismo. Dall’altra parte una nutrita schiera di intellettuali, tra cui anche Jean Paul Sartre, scrisse articoli di fiera difesa dell’operazione filmica sottolineando il carattere allucinatorio del racconto e delle immagini e il modo, inusuale e efficace, di parlare delle brutture che la guerra causa sui bambini. Le ragioni di tale spaccatura risiedevano, evidentemente, nel diverso atteggiamento con cui i commentatori cinematografici si ponevano nei confronti delle novità tematico-stilistiche che il film presentava. Innanzi tutto, nei confronti della visione, anzi bisognerebbe dire della non-visione, della guerra. Abituati da una lunga tradizione di cinema bellico dove il centro della narrazione era costituito dalle scene di battaglie e di azione, gli spettatori, di fronte ad un’opera che non fa vedere neanche uno sparo di fucile, che racconta prevalentemente il passaggio (anche noioso) del tempo tra un’azione bellica e l’altra e che non intende spingere all’immedesimazione acritica chi guarda, restavano irrimediabilmente sconcertati. I sogni di Ivan, che contribuivano ad una rottura del procedere narrativo, aggiungevano ulteriori elementi al processo di straniamento. Il continuo palesamento delle tecniche cinematografiche, i frequentissimi movimenti di macchina, gli sguardi verso l’obiettivo, una colonna sonora attenta a qualsiasi suono o rumore facevano il resto. Col senno di poi, le scelte formali e contenutistiche di Tarkovskij – che tra l’altro nei successivi film attutirà e in certi casi modificherà radicalmente – si sono rivelate indovinate. Ciò che più colpisce ad una visione distaccata del film è il tentativo di raccontare la guerra che abita dentro Ivan, quella che risiede nel suo animo, nella sua storia personale. Inevitabilmente, il momento più adatto per conoscere in profondità il protagonista sopraggiunge proprio nelle pause tra una battaglia e l’altra, nei periodi di attesa frustrante, nella dimensione del sogno, nelle dinamiche interrelazionali. Lentamente e irrimediabilmente, il manifestarsi del profilo caratteriale e biografico di Ivan porta lo spettatore a capire quanto sia radicata, nell’animo del soldato-bambino, la voglia di autodistruzione, di annullamento di sé, ‘desiderio’ snaturante la cui causa non può essere che individuata nella guerra e nella perdita dei genitori in guerra. Come disse lo stesso regista in occasione dell’uscita del film, “questa tappa (l’infanzia, ndr), troncata dalla morte, diventa l’ultima e l’unica. In essa si concentra tutto il contenuto della vita di Ivan, il suo pathos tragico. Questa esaustività fa sentire e comprendere con forza inattesa il carattere innaturale della guerra”. In effetti, non si può considerare Ivan un bambino, se per bambino si intende un individuo ai primi passi della sua vita, all’inizio del suo cammino di formazione. Ivan incarna in sé tutte le età della vita: l’infanzia (quando dice di aver paura dei bombardamenti o quando simula, nella sua stanza, la guerra), la maturità (quando carica sulle sue spalle tutte le responsabilità della battaglia), la vecchiaia (quando sogna nostalgicamente la propria infanzia). Egli è tutto quello che si può essere in un’intera vita: fuggitivo, ribelle, comandante, subalterno, padre (quando dice a Cholin di non fumare) e figlio. Senza un domani di riferimento, le categorie che servono solitamente per analizzare l’infanzia – quelle della formazione dell’individuo, della crescita, dell’educazione, del gioco, dell’inserimento in un contesto sociale – si rivelano inutili nella dimensione del ‘qui e ora’ esperita da Ivan. E’ questo il grande furto operato dalle guerre: rubare il tempo, abolire i concetti di futuro, progressione, crescita, maturazione. La guerra è un ribaltamento della logica. Le azioni del protagonista lo confermano: egli vive la serenità nel sogno e l’incubo nella realtà, mentre dovrebbe essere il contrario; dà ordini al tenente Galcev, nonostante sia più giovane di parecchi anni; odia con ostinato estremismo i tedeschi (lo si vede nella scena in cui sfoglia un libro d’arte tedesco) più ancora degli adulti, quando di solito l’infanzia dovrebbe avere il dono dell’altruismo; all’opposto dei suoi coetanei, quando gioca (vedi la sequenza della simulazione della battaglia), Ivan non inventa mondi fantastici, ma ricrea la realtà occludente e disperante in cui vive. La cifra tematica principale del film diventa dunque il capovolgimento della logica del reale. Analisi narrativa e stilistica Per tradurre in immagini questo rovesciamento delle esperienze, Tarkovskij si serve di una struttura binaria del racconto, tale da mettere in fertile contrapposizione una realtà buia, drammatica, occludente da cui il protagonista non riesce ad evadere ed un’altra, alternativa, rasserenata, pacifica, “normale”, cui aspira in maniera sempre più manifestamente utopistica. Da una parte l’apparenza di una porta che si apre e che invece si chiude poco prima di attraversarla, ossia il sogno, dall’altra la violenta ed ingiusta lotta quotidiana per la sopravvivenza, ossia la realtà della guerra. Le visioni oniriche del piccolo Ivan, colme di elementi simbolicamente materni (l’acqua, i frutti della terra), non sono altro che piccole parentesi ancora più struggenti al confronto di un risveglio drammatico in un mondo opposto a quello sognato. Non solo da un punto di vista visivo, ma anche sonoro. Se le inquadrature non riprendono mai, come detto, scene di guerra, la banda audio invece rivela un’attenzione quasi maniacale per i colpi di mortaio, gli echi delle battaglie, le bombe, ma anche, nel corso dei miraggi di Ivan, per i suoni della natura, lo scalpitare dei cavalli, il rotolare delle mele e così via. L’iperrealismo della colonna sonora comunica allo spettatore sia che la guerra è reale, violenta, dura (ed è solo per decisione del regista che essa non viene mostrata) sia che la dimensione del sogno mantiene, nella sua evanescenza, la concretezza profusa da un mondo banale, quotidiano, normale, essenziale (Ivan aspira ad una vita normale, con la madre, con un’amica, mangiando una mela, giocando sulla spiaggia) Altre numerose figure di doppio rinviano alla biforcazione delle dimensioni e delle possibilità individuali: Cholin e Galcev che, nel loro corteggiamento a Maša, rappresentano due possibili alternative di amore (e non a caso la ragazza sceglierà quella più prevedibilmente dolorosa); i due cadaveri che ‘fanno la guardia’ all’accampamento, impiccati come poi finirà lo stesso Ivan; la fotografia misurata sull’opposizione dei bianchi e dei neri, influenzata dalle esperienze delle avanguardie cinematografiche russe e dall’espressionismo tedesco; le due sequenze dove non è presente Ivan (quella del corteggiamento tra Cholin e Maša, quella del primo recupero dei cadaveri dei soldati); le due missioni del bambino rappresentante, ovvero quella che avviene nel corso dei titoli di testa e quella che si conclude con il suo arresto e la susseguente impiccagione. Due scelte stilistiche confermano, infine, la puntigliosità del cineasta nel costruire realtà allo specchio, mondi gli uni di fronte agli altri, bivi (dei destini, delle scelte, delle possibilità) davanti ai quali si trovano smarriti gli individui. La prima – la scelta di mostrare il negativo della pellicola – viene utilizzata da Tarkovskij nel corso di uno dei sogni di Ivan. Il ragazzo, felice, è seduto su un carro trainato da un cavallo quando all’improvviso la sua spensieratezza viene controbilanciata dall’alternarsi di fotogrammi positivi e negativi: i bianchi si trasformano in neri, i neri si trasformano in bianchi, trasmettendo allo spettatore una sensazione visiva opposta alla serenità e alla felicità onirica che dovrebbe provare in quel momento il protagonista. La seconda tecnica formale – anche in questo caso di natura fotografica – compare nella sequenza che precede la sparizione di Ivan. Cholin, Ivan e Galcev sono partiti per la missione e avanzano con una barca nel mezzo di un territorio paludoso. Dopo poco i due uomini devono salutare il ragazzo perché da lì in avanti è troppo pericoloso. La cinepresa è posta a filo con l’acqua. Il paesaggio che essa registra – una pineta di alberi sottili e alti, i bagliori delle bombe in lontananza – è, di fatto, un paesaggio rovesciato, poiché la superficie riflettente della palude capovolge l’ambiente circostante: gli alberi scendono dall’alto mentre gli scoppi degli ordigni avvengono nella parte bassa dell’inquadratura, ovvero all’altezza del ragazzo. Un modo implicito e suggestivo per comunicare un destino già scritto e un contesto che ha perso ogni coordinata morale. Ne L’infanzia di Ivan troviamo, in definitiva, un’antitesi radicale tra mondo etico e mondo storico. Il corso degli eventi amplifica, invece che diminuire, la forbice che esiste tra modelli di comportamento edificanti e singole e bieche azioni dell’individuo. L’esigenza della pace non giunge solo da un livello esclusivamente storico, bensì da un’urgenza filosofica. Le parole di Sartre a difesa del film spiegano senz’altro meglio il concetto: “La società degli uomini progredisce verso i suoi fini, i vivi realizzeranno quegli scopi con le loro forze e tuttavia, quel piccolo morto, minuscola spazzatura della Storia, rimane una domanda senza risposta che non compromette nulla, ma che ci fa vedere tutto sotto una luce nuova: la Storia è tragica. […] L’infanzia di Ivan viene a ricordarci tutto ciò nel modo più insinuante, più dolce, più esplosivo. Un bambino muore. Ed è quasi un happy end, giacché egli non poteva sopravvivere”.

Curiosità e informazioni sulla produzione del film

Con il senno del poi, si può constatare come il film abbia rappresentato una cartina di tornasole delle contraddizioni culturali che viveva la sinistra italiana all'indomani della destituzione di Chruščëv. Sulle pagine dell'Unità, infatti, i critici cinematografici di sinistra diedero vita ad un dibattito molto acceso sui meriti e i limiti del film di Tarkovskij, dibattito che travalicava, oggettivamente, l'importanza della pellicola e, soprattutto, assegnava al giovane esordiente un profilo autoriale che gli anni e i successivi film smentiranno. Pochi sapevano infatti che il progetto de L'infanzia di Ivan non era nato da un'idea di Tarkovskij. Egli l'aveva ereditato, già in avanzata fase di realizzazione, dalla casa di produzione Mosfilm, il cui produttore non era soddisfatto dei "giornalieri" e del primo montaggio ottenuto dal primo regista. Per non utilizzare il girato già pronto, Tarkovskij riscrive la sceneggiatura e, con un budget ridotto all'osso, ricomincia il lavoro dalla fase del tournage. L'infanzia di Ivan era quindi un'opera su commissione, un'opportunità da prendere al volo per esordire nel lungometraggio. I successivi lavori del cineasta, molto diversi da questo sia dal punto di vista narrativo che tematico, confermano che si stratta di un (riuscitissimo) film di "occasione".

 

 

Bibliografia essenziale

Simonetta Salvestroni, Il cinema di Tarkovskij e la tradizione russa, Qiqajon, Magnano (Bi), 2006    
Tullio Masoni e Paolo Vecchi, Andrej Tarkovskij, Il Castoro Cinema, Milano, 2005 (1° ed, 1997)    
Fabrizio Borin, L'arte dello specchio. Il cinema di Andrej Tarkovskij, Jouvence, Roma, 2004    
Paolo Zamperini (a cura di), Il fuoco, l’acqua, l’ombra: Andrej Tarkovskij il cinema tra poesia e profezia, La casa Usher, Firenze, 1989   
Achille Frezzato, Andrej Tarkovskij, La nuova Italia, Firenze, 1977