di Wang Xiao-shuai
(Cina/ Francia, 2001)
Sinossi
Il sedicenne Guei, da poco trasferitosi in città, trova lavoro come pony express. Il titolare dell’azienda gli mette a disposizione una mountain bike che verrà pagata grazie ad una cospicua trattenuta dal suo salario. Guei lavora di gran lena, consegna numerosi pacchi, scopre che la città è piena di palazzi, ricchi alberghi, aziende all’avanguardia, centri benessere. Un giorno, pronto per ripartire per l’ennesima consegna, Guei esce in strada e non trova più la bici. Licenziato per non aver consegnato un pacco importante, senza nemmeno un soldo, si mette alla ricerca del suo strumento di lavoro, cui aveva fatto per scrupolo un segno di riconoscimento. Pechino però è immensa e le bici sono centinaia di migliaia. Quando ormai sembra tutto perduto (per disperazione Guei ha anche cercato di rubare una bici per poi essere immediatamente arrestato), un suo amico trova la bici che ora è nelle mani di Jian uno studente che, per comprare una bici usata, ha rubato i risparmi della sua famiglia. Per Jian il mezzo è uno status symbol grazie al quale può corteggiare una compagna di classe benestante. Tra Guei, Jian e gli amici di quest’ultimo scoppia una vera e propria guerra, fatta di pestaggi, sottrazioni furtive della bici, denunce al padre di Jian. Alla fine il gruppo trova un compromesso: i due ragazzi terranno la bici un giorno per ciascuno. Poco serve questa soluzione a Jian, perché la compagna di classe di cui è innamorato ha deciso di mollarlo per un ragazzo più grande di lui e proprietario di una bici più bella. Per vendicarsi, un giorno, l’amante deluso colpisce il rivale alla testa, ferendolo. Ne nasce l’ennesima guerra tra bande in cui viene coinvolto, suo malgrado, anche Guei. Entrambi i ragazzi vengono pestati a sangue, ma quando uno dei piccoli delinquenti sfoga la sua rabbia sulla bici distruggendola, Guei afferra un mattone e lo uccide. Silenziosamente si allontana con in spalla la mountain-bike distrutta, sullo sfondo il traffico caotico della città.
Introduzione al Film
Pechino anno zero
Quasi tutti i film della Sesta generazione del cinema cinese, di cui Wang Xiaoshuai è uno dei più notevoli rappresentanti, sono ambientati nelle metropoli cinesi (principalmente Pechino), raccontano storie di giovani, solitamente sbandati e ribelli, tracciano un ritratto della nuova Cina capitalista simile in larga parte alle immense aree metropolitane occidentali, capovolgendo, di fatto, l’immagine di un paese rurale e povero. Le biciclette di Pechino in parte disattende questo leitmotiv perché se da un lato è ambientato nella capitale e racconta storie di adolescenti, dall’altro sceglie di rappresentare una Pechino diversa, quasi estranea allo scorrere del tempo, quella dei vecchi quartieri con le case di uno o due piani, un’intricata rete di vicoli (durante l’inseguimento finale i protagonisti continuano a rincorrersi girando in tondo, generando un evidente momento di comicità), biciclette, vecchi che seduti placidamente ad aspettare fuori dai loro piccoli giardini. Non una macchina, non un telefono cellulare e, solo in lontananza, gli edifici in costruzione o i grattacieli con le loro immense vetrate. La città, nella Cina contemporanea, non è solo il luogo dove si assiste all’avanzata di alcuni fenomeni sociali destinati ad investire presto o tardi tutto il paese, ma è anche il terreno di scontro tra ciò che cambia e ciò che è più difficile da modificare perché legato alla tradizione, alla mentalità, alle aspirazioni dei singoli. Guei ha una cocciutaggine tutta contadina, è arrivato dalla campagna e crede in valori e regole che non è disposto a barattare, ma che non sono più attuali in città (la parola data, la proprietà, la verità); Jian è figlio di una famiglia cittadina povera che non ha i soldi per comprare una bicicletta, ma che lo manda in una scuola per ricchi, ha aspirazioni più frivole, ma a ben vedere altrettanto necessarie di quelle di Guei. A prima vista nemici, i due protagonisti sono in realtà la doppia faccia di una stessa medaglia, quella dell’esclusione da un ricchezza cui tutti mirano, ma che nessuno può toccare. Guei, dopo aver visitato alberghi lussuosi e aziende all’avanguardia, entra in una sala benessere per consegnare un pacco, viene fatto spogliare perché creduto un cliente e poi riceve un conto salato che non può pagare (la sequenza è una sorta di grande metafora dell’arrivo del capitalismo in Cina), la femme fatale che Guei spia da casa, che cambia scarpe e vestiti più volte al giorno, non è altri che una cameriera che indossa di nascosto i vestiti della padrona e che verrà scoperta e licenziata; Jian tocca con mano la felicità di un fidanzamento che, però, si scioglie non appena perde la bici. In questa occasione il regista è stato particolarmente acuto: la ragione della separazione tra i due non è l’assenza della bici (e quindi la freddezza della ragazza), ma il comportamento scostante di Jian, nato dalla convinzione di non essere più all’altezza della fidanzata senza l’agognato status symbol. Il tema della proprietà o meglio del “possesso” è dunque il centro propulsivo del film. Se durante il comunismo era il tabù per eccellenza (nessuno poteva possedere nulla, tutto era della comunità), ora è la materia su cui si fondano le relazioni sentimentali (Jian), lavorative (Guei), le aspirazioni di ogni individuo (la cameriera).
Il ruolo del minore e la sua rappresntazione
Ladri di biciclette
In questo caso l’oggetto del desiderio è una bicicletta. Si tratta di un simbolo interessante perché si situa a cavallo di due epoche. Una volta la bicicletta, per i cinesi, era lo status symbol per eccellenza, le immagini che arrivavano dal grande subcontinente rosso mostravano intere masse di ciclisti in perenne movimento, quella era l’immagine stereotipata della Cina (insieme alla grande muraglia). Ora, con l’arricchimento (di parte) della società, non è più così: la bicicletta è uno dei tanti status symbol, probabilmente uno dei meno importanti (scalzato dai telefonini, dalle automobili, eccetera). L’ultima sequenza del film sgombera il campo da qualsiasi dubbio. Guei passeggia per Pechino con in braccio la sua bici semidistrutta, attorno a lui ci sono solo automobili, rumori di traffico, clacson: il protagonista ha tra le mani un simbolo distrutto che, beffa nella beffa, non avrebbe possibilità di compenetrazione metaforica nemmeno se fosse intatto. Il suo attaccamento ad un oggetto depauperato di ogni valore allegorico è vano, l’omicidio di cui è responsabile è inutile perché in qualunque caso (con o senza bici) si troverebbe ai margini della società. Eppure per Jian e Guei – appartenenti alla Cina degli esclusi – la bicicletta è uno strumento fondamentale per la sopravvivenza. A differenza di quanto succedeva in Ladri di biciclette di Vittorio De Sica– film a cui si è ispirato Wang – nel quale Antonio veniva derubato del suo mezzo di locomozione e inseguiva invano il ladro per tutta Roma, diventando a sua volta ladro per disperazione, in questo caso non solo ladro e derubato, vittima e aggressore si ritrovano nella stessa identica condizione di vittime innocenti di un sistema più grande di loro, ma non hanno nemmeno la possibilità di ricorrere alla solidarietà di classe e all’aiuto reciproco. Anzi il compromesso che trovano – che dimostra tutto sommato la maturità e la comprensione per le esigenze dell’altro che alberga nei due personaggi – si rivela deleterio per entrambi: Jian perde comunque la ragazza e non riesce a vendicarsi del torto subito, Guei vede andare in frantumi davanti ai suoi occhi il sogno di integrazione e normalità che lo spinge a tanti sacrifici ed è costretto a trasformarsi in criminale. Il messaggio è chiaro e – contemporaneamente – allarmante: meglio usare la violenza, accorparsi in bande in modo che almeno uno dei contendenti sopravviva alla battaglia, piuttosto che unire le forze e lottare per un obiettivo comune. Si è spinto così tanto l’individualismo in Cina dopo la caduta dell’ideologia comunista? Probabilmente sì e, probabilmente, chi corre maggiormente il rischio di inaridire precocemente sono gli adolescenti, soli, incattiviti, disperati e disillusi come Guei.
Riferimenti ad altre pellicole
Sarebbe interessante mettere a confronto questa pellicola con La locanda della felicità, film di Zhang Yimou, esponente della Quinta generazione cinese, meno radicale di Wang e dei cineasti più giovani, ma con uno sguardo ugualmente preoccupato per l’evoluzione della società cinese. Ovviamente un altro interessante paragone può essere quello tra Le biciclette di Pechino e il suo riferimento diretto Ladri di biciclette di Vittorio De Sica, per verificare punti di contatto e differenze tra i due film. Marco Dalla Gassa