La scuola del presente. Essere e avere

15/07/2009 Tipo di risorsa Schede film Temi Istruzione

Essere e avere

di Roberto Farné*

In un piccolo paese dell'Auvergne, una regione agricola che si trova nel Massiccio centrale della Francia, c'è una scuola; al piano superiore abita l'unico insegnante dell'unica classe (una pluriclasse) che si trova al piano di sotto. George Lopez, questo è il nome dell'insegnante, celibe e ormai prossimo alla pensione, tutte le mattine scende e si prepara ad accogliere i “suoi” tredici bambini che vanno dalla scuola materna fino al termine della scuola elementare. Pare che in Francia ce ne siano ancora molte di scuole con questa fisionomia. Il regista Nicolas Philibert ha trascorso nella scuola del maestro Lopez circa dieci settimane nell'arco di un anno scolastico, familiarizzando con i bambini e creando le condizioni per documentare la vita di quella scuola senza rompere o interrompere i suoi ritmi e la sua delicata routine. Il risultato di questo lavoro è il film Essere e avere, un film di una semplicità per certi aspetti disarmante e per altri straordinaria: ci si accorge, infatti, che non c'è una storia da seguire con protagonisti ed eventi, dunque non succede nulla di ciò che normal­mente succede in un film, ma nello stesso tempo ci si accorge che la normalità di ciò che accade in quella scuola, la didattica con le sue parole e i suoi gesti, la fatica e il piacere di insegnare e di imparare, il variegato insieme delle relazioni che caratterizzano l'esperienza educativa lì come altrove, danno vita ad una “drammaturgia” pedagogica che genera stupore.

Essere e avere (che nelle nostre sale viene opportunamente proposto in lingua originale con i sottotitoli in italiano) è un film documentario che scorre lieve, senza il ricorso a voci narranti o a supporti didascalici. La sua funzione, come nella migliore tradizione di questa cinematografia, è nel mostrare una determinata realtà che sfugge ai nostri occhi disattenti o che non è visibile abitualmente, ma che il cinema è in grado di rappresentare nel suo svolgersi, senza gli artifici della fiction. Questa realtà “invisibile” è la scuola dal suo interno; ciò che noi sappiamo della vita di una scuola è sempre notizia di seconda mano: qualcosa che i nostri figli ci raccontano sulla loro giornata scolastica, qualche colloquio con gli insegnanti… In realtà noi ci fermiamo sempre sulla soglia della scuola e l'unica conoscenza diretta che ne abbiamo è quella legata alla nostra infanzia, quando ne eravamo protagonisti dall'interno. Il piccolo Jojo, il bambino che ci mostra le sue mani sporche di colore nella locandina del film e che racconta e inventa le sue storie di fantasmi, è l'emblema di una soggettività infantile che il maestro Lopez cerca di cogliere e di educare in ognuno dei suoi alunni, tessendo con loro una rete di relazioni in cui, nelle trame della didat­tica, si inserisce anche il dialogo e l'ascolto, la soluzione di conflitti e il rispetto delle regole, l'attenzione ai problemi fami gliari e il senso della disciplina e della responsabilità. Unire alcune lettere dell'alfabeto per scrivere e leggere la prima parola, contare fino all'ultimo numero che conosciamo e chiedersi dove finiscono i numeri, il compito a casa dove una moltiplicazione diventa un rompicapo per tutta la famiglia, i giochi sulla neve, il problema di Nathalie e della sua “incomunicabilità”, sono alcune delle tessere di un mosaico che il regista compone nel quadro di un film dove il fluire delle stagioni accompagna l'anno scolastico, quasi a scandire il tempo lento e naturale dell'educazione. “L'educazione è lentezza, attendere, farsi carico” ha detto lo stesso Philibert, e il film si apre emblematicamente con l'im­magine di due tartarughe che camminano sul pavimento dell'aula scolastica ancora vuota. Tra queste tessere c'è anche quella del maestro Lopez che racconta di sé e del suo mestiere, svelandoci il senso di una “vocazione” pacata, sospesa fra passato e presente. Per certi aspetti lui è l'autentico re­gista del film, artefice di quella “regia pedagogica” che fa della sua scuola e della didattica una sorta di “teatro quotidiano” con i suoi protagonisti e gli avvenimenti felici e dolorosi, comici e drammatici. Il regista del film coglie le suggestioni di questo universo, vi entra in punta di piedi e ce ne da una rappresentazione che ri-co struisce in maniera fedele ed esemplare: il modo con cui Philibert ha guardato la scuola del maestro Lopez non ha alcuna pretesa oggettiva, nel suo punto di vista c'è l'intenzionalità di chi si è prima messo in relazione con quella scuola e i suoi “attori” per conoscerla dall'interno, senza pre-giu dizi, senza teorie da dimostrare o messaggi da trasmettere. Nato nel 1951, laureato in filosofia, Nicolas Philibert entra nel cinema collabo rando, tra gli altri, con Alain Tanner e Claude Goretta, per dedicarsi poi al documentario ponendosi all'attenzione in questa cinematografia speciale, ma non certo minore, con il film Le Pays des sourdes (1992), uno sguardo partecipe e dall'interno che descrive in maniera impeccabile la vita quotidiana delle persone affette da sordità totale.

Essere e avere è la conferma di un talento documentaristico che riesce a cogliere i tratti emblematici e la giusta mi sura di una “spettacolarità” che appartiene ad ogni umana avventura che si dipana nei tanti mondi della vita, e la scuola è uno di questi. Il film ci presenta una scuola che non ha alcun carattere didatticamente innovativo, non vi sono “nuove tecnologie” o esperimenti pedagogici in atto; non è neppure una scuola povera e disagiata; più semplicemente è una scuola essenziale, rigorosa. Questo carattere di essenzialità e di rigore appartiene anche allo stile cinematografi­co: la composizione e il ritmo delle scene, la fotografia, i dialoghi mostrano un ordine che sembra l'esito di un lavoro di sottrazione più che di accumulazione di materiali. Si tratta di togliere ciò che è superfluo, ridondante, confusivo per tenere ciò che è essenziale, l'essere appunto, più che l'avere. E in effetti questa scuola vale non tanto per ciò che ha, ma per ciò che è, per la sua identità pedagogica che si esprime nelle relazioni semplici e autentiche, fatte di autorevolezza e di dialogo che il maestro mette in atto con i bambini, e in tutto ciò che i bambini imparano grazie a quella scuola frequentata giorno dopo giorno. Quella che il regista ci mostra non è l'icona di una scuola del passato e della nostalgia, ma di un presente che ha radici profonde e ci sollecita a ritrovare il senso del fare scuola guardando al futuro, quel “senso” che il maestro Lopez ha trovato per 35 anni e che oggi sembra così difficile da trovare, se è vero che dalla scuola gli insegnanti cercano di fuggire più che di restare.  

 

* tratto da <<Infanzia>> n. 6, giugno 2003, pp. 46-47