La schivata

di Abdellatif Kechiche

(Francia 2003)

Sinossi

Periferia parigina. Krimo è un ragazzo che vive con sua madre, mentre suo padre è in prigione. Nella sua classe si sta preparando uno spettacolo teatrale tratto da una commedia di Marivaux (Il gioco dell’amore e del caso); Krimo incontra Lydia, una sua compagna di classe che interpreta la parte della protagonista e la ragazza lo invita alle prove. Krimo rimane colpito dall’irruenza di Lydia e cerca di entrare nella commedia, sostituendosi ad uno dei personaggi. Magalie, l’ex ragazza di Krimo minaccia Lydia perché crede che voglia mettersi con Krimo. Per lavorare alla commedia, Krimo smette di frequentare i suoi amici e Lydia inizia ad aiutarlo ad entrare nel personaggio. Durante una prova Krimo confessa il suo sentimento a Lydia che rimane interdetta e non sa cosa rispondere. A lezione la professoressa di francese rimprovera più volte Krimo di non recitare con passione, e alla fine il ragazzo esce dalla classe senza dire nulla. Fuori incontra il suo amico Fathi che pensa che l’amico si stia umiliando per Lydia e che per aiutarlo minaccia Frida, una delle amiche di Lydia, picchiandola e rubandole il cellulare. Frida, sconvolta, chiede a Lydia di prendere una decisione e la spinge a parlare con Magalie, che è ancora convinta che la sua storia con Krimo non sia finita. Fathi organizza un incontro tra i due ragazzi, che rimangono seduti in macchina mentre lui e le sue amiche aspettano in disparte. Arriva però la polizia che interrompe il possibile chiarimento tra Lydia e Krimo e arresta i ragazzi per possesso di hascisc. Arriva il giorno della recita, lo spettacolo è un successo, Magalie assiste alla rappresentazione con il suo nuovo fidanzato, Krimo non è più tra gli interpreti e osserva distratto la commedia rappresentata dai suoi compagni.

Introduzione al Film

La maschera e la periferia

Il film di Kechiche rappresenta bene una tendenza sempre più presente nel cinema francofono (e non solo), quella di registi come Laurent Cantet o Erick Zonca, autori di un cinema iperrealista nello stile e nella recitazione dei personaggi, e al tempo stesso profondamente classico nella costruzione narrativa, in cui l’immediatezza dei corpi mostrati, la verità dei personaggi posti di fronte alla macchina da presa (verità dei gesti, delle parole, del modo di muoversi e di parlare), è funzionale al racconto, che invece deve la sua forza alla capacità di mettere in scena elementi assolutamente classici e interni alla tradizione del cinema francese realista (in questo caso, l’attenzione ai turbamenti amorosi adolescenziali, l’ambientazione nella periferia cittadina, il rapporto tra il teatro e la vita). Lo sguardo di Abdellatif Kechiche rilegge questa tradizione alla luce di una sensibilità attenta alla dimensione contemporanea dell’immigrazione di una società sempre più mista, in cui i soggetti si muovono e vivono all’interno di culture, linguaggi e comportamenti tra loro profondamente diversi. Il film si colloca dunque in quel filone del cinema del métissage (quel cinema che racconta storie di immigrazione e di conflitto culturale) che costituisce uno dei filoni più prolifici del cinema d’autore francese e che il regista di origine tunisina esplora anche in altre sue opere, come Tutta colpa di Voltaire (La faute à Voltaire, Francia, 2000) e Cous Cous (La graine et le mulet, Francia 2007). Elemento comune a queste opere, ed elemento soprattutto presente in La schivata, è la rappresentazione di personaggi che per un momento sembrano poter/voler allontanarsi dalla loro vita abituale, sognare qualcosa di diverso, per poi andare incontro, inevitabilmente, alla sconfitta o al ridimensionamento dei loro progetti. La rappresentazione di Marivaux, fortemente voluta dall’insegnante di francese, è una sorta di specchio distorto della realtà percepita e vissuta dai personaggi del film. I “giochi dell’amore e del caso” della società dipinta dal commediografo francese sembrano essere lontani anni luce dalla realtà vissuta dai ragazzi del quartiere popolare e il vagare di Lydia per le strade del quartiere, vestita come la protagonista della commedia non fa altro che accentuare lo scarto tra le due forme di rappresentazione. Scarto accentuato anche dai due mondi che si fronteggiano nel film: il mondo dei ragazzi e quello degli adulti. Il primo è ampio, variegato, fatto di conflitti e riconciliazioni, drammi e tensioni amorose, improvvisi slanci o abbandoni. Il mondo adulto è invece anonimo, distante (nessuno degli adulti del film ha un nome, nessuno viene mai nominato se non per la funzione che svolge: l’insegnante, la madre di Krimo, i poliziotti, ecc.). La forza del film sta proprio dunque nella forma complessa che esso assume, nella capacità di fondere insieme (per quanto attraverso uno sguardo registico che a volte appare troppo controllato), rappresentazione classica e capacità documentaria del cinema, nel descrivere minuziosamente, attraverso i gesti, attraverso l’uso del linguaggio e del dialetto, le scelte morali e sentimentali dei personaggi, degli abitanti di un mondo che sembra sempre più ibrido e sospeso in un mondo dalle molteplici identità.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

Mondi e linguaggi

La schivata è un film quasi totalmente “abitato” da adolescenti, da ragazzi che sono in gran parte (l’unica eccezione è Lydia, interpretata da Sara Forestier, che è una delle poche attrici professioniste del film) figli di seconda o terza generazione di immigrati maghrebini o asiatici e che vivono quasi naturalmente la loro condizione di figure sospese tra più identità. Le amiche di Lydia, Frida e Nanou, sono di origine araba, così come Magalie e nel loro linguaggio, nel dialetto stretto delle periferie parigine emergono in continuazione termini della loro lingua madre, riferimenti al corano o alla tradizione islamica. Allo stesso tempo, i loro rapporti, le modalità con cui leggono o vivono i rapporti amorosi, le relazioni tra gli amici sono perfettamente all’interno dei codici della vita urbana di una grande città occidentale come Parigi. I ragazzi e le ragazze vestono con abiti occidentali, non portano il velo, vivono le loro molteplici radici culturali come una forma moderna di ibridazione, spontaneamente e senza problemi. In questo senso il film mostra, con un’immediatezza assoluta, il senso della multiculturalità vissuto dalle generazioni figlie o nipoti di immigrati. Ma ciò che caratterizza la dinamica dei rapporti nel film è la radicalità con cui essi sono vissuti dai personaggi. Il desiderio e l’amore, l’attrazione e l’amicizia sono vissuti dai protagonisti con passione, nel linguaggio come nei gesti e nei comportamenti. Krimo è schivo e timido, non si esprime se non con frasi brevi e lunghi silenzi, mentre le ragazze e il suo amico Fathi vivono la propria adolescenza con furore, con intensità. Tutto è esasperato nei toni e nelle scelte. Ma l’attenzione al realismo della regia fa sì che ogni scelta sia reversibile, e nei rapporti tra i personaggi, la rabbia o il grido si possa trasformare in un gesto d’amore o d’affetto, secondo una dinamica del rovesciamento che caratterizza l’instabilità dei rapporti adolescenziali. La dimensione collettiva del film rende tra l’altro mobile e mai statico lo sguardo sui personaggi, sulle loro relazioni, sui loro conflitti. La rappresentazione passa continuamente da uno all’altro, inquadrando i personaggi da uno spazio all’altro del quartiere popolare (che è l’unico spazio del film, lo spazio da cui non si esce mai); in questo rapporto tra movimento dei personaggi e spazio sta, infine, la rappresentazione più forte di un isolamento. L’adolescenza dei ragazzi de La schivata è, di fatto, condannata ad essere vissuta in uno spazio preciso (il quartiere popolare) all’interno del quale essi si riconoscono, ritrovano le loro coordinate, ma all’esterno del quale sono visti con sospetto (come nella sequenza in cui, fermati dalla polizia, sono trattati come criminali dai poliziotti) lo spazio del quartiere determina dunque le forme di vita in comune degli adolescenti del film, e, al tempo stesso, li rinchiude, li costringe al suo interno, in una logica della città sempre più divisa e frammentata.

Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici

Sono molti i percorsi didattici all’interno dei quali un film come La schivata potrebbe entrare, a partire dal riferimento al rapporto tra giovani e periferie, molto presente nel cinema francese contemporaneo, ma di fatto legato a moltissime altre cinematografie. In questo senso, il film di Abdellatif Kechiche può esser messo in relazione con film come La classe (Entre les murs, Francia 2008), di Laurent Cantet di cui condivide lo sguardo su una collettività eterogenea di adolescenti appartenenti alle fasce sociali più emarginate, o Petits frères (Piccoli fratelli, Francia, 1999) di Jacques Doillon, anch’esso ambientato nella periferia parigina e incentrato su un gruppo di adolescenti beur francesi, sui loro amori, drammi e turbamenti. In un percorso capace di incrociare sguardi provenienti da diverse cinematografie potrebbero essere inseriti film come I ragazzi della 56° strada (The Outsiders, USA, 1983) di Francis Ford Coppola, ambientato nella periferia di Tulsa, negli USA, che racconta la storia di un gruppo di ispano-americani; oppure film che raccontano il (o che lavorano sul) territorio italiano, come la Napoli di Vito e gli altri (Italia, 1991) e Pianese Nunzio, 14 anni a maggio (Italia, 1996) di Antonio Capuano o Baby Gang di Salvatore Piscicelli, o la periferia inglese di Sweet Sixteen (Sweet Sixteeen, Gran Bretagna, 2002) di Ken Loach. Daniele Dottorini  

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