La luna

01/04/2010 Tipo di risorsa Schede film Temi Relazioni familiari Titoli Rassegne filmografiche

di Bernardo Bertolucci

(Italia, USA, 1979)

Sinossi

La cantante lirica Caterina Silveri, in seguito alla morte del marito Douglas, si trasferisce da New York a Roma con il figlio adolescente Joe. Durante la festa per il suo quindicesimo compleanno, il ragazzo si fa scoprire dalla madre mentre si inietta dell’eroina. Di fronte a tale tremenda realtà Caterina decide di dedicarsi completamente a Joe, concedendogli persino un’equivoca intimità nei momenti di maggior sconforto. Vista l’inutilità di ogni tentativo – il ragazzo le confessa: «Non me ne importa niente di niente» – Caterina si reca a Parma, la città in cui ha studiato. Inaspettatamente Joe la raggiunge e insieme iniziano un’escursione per le campagne circostanti. Qui Caterina trova il coraggio di confessare al figlio la verità sul suo passato: Douglas non era il suo vero padre. Questi si chiama Giuseppe, è un insegnante e vive a Roma: Joe lo rintraccia, lo segue e gli si presenta come amico del figlio, morto per overdose, afferma, dopo averlo cercato invano. Giuseppe, sconvolto dalla notizia, si reca da Caterina e, appresa da questa la verità, si riconcilia con Joe.

Presentazione critica

La luna è probabilmente il film che, tanto con i suoi pregi quanto con i suoi difetti, meglio riassume l’orizzonte poetico di Bernardo Bertolucci, dal punto di vista della storia narrata ma anche e soprattutto grazie a un impianto narrativo melodrammatico – genere cui il regista è legato profondamente essendo nato, come Giuseppe Verdi, nei dintorni di Parma – che offre all’autore la possibilità di tornare ancora una volta, forse semplificandolo un po’, al tema dell’Edipo come mito fondamentale della cultura occidentale. Il prologo che apre il film ci fornisce la principale chiave di lettura dell’intera storia: vediamo, infatti, Joe che, all’età di un anno, assiste ad una sorta di “scena primaria” (in psicanalisi si indica con tale termine un’esperienza infantile traumatizzante): Cristina, con la quale sta giocando, si allontana da lui per ballare con Giuseppe che, incidentalmente, ha in mano un coltello. La sequenza è costellata da una serie di simboli appartenenti all’universo freudiano: la madre, vista come oggetto del desiderio sessuale (Cristina lecca dal corpo del bambino il miele con cui questi si è sbrodolato); il padre come figura minacciosa (armata di coltello) e castrante, che gli sottrae l’oggetto del desiderio (la madre); il rapporto sessuale simboleggiato dal twist scatenato in cui si lanciano Cristina e Giuseppe. La morte di Douglas può fornirci un’ulteriore possibilità di interpretazione. A cavallo dell’evento luttuoso abbiamo, infatti, due dialoghi che chiariscono il rapporto esistente tra Caterina e Joe: nel primo il ragazzo chiede, inutilmente, alla madre – che sta partendo per una tournée in Italia – di accompagnarla proponendosi come sostituto di Douglas; durante la sequenza del funerale, invece, è Caterina che chiede a Joe di seguirla in Italia nonostante il ragazzo le dica di non voler lasciare l’America. Il rapporto tra madre e figlio, dunque, è a senso unico: Caterina concede a Joe di accompagnarla solo quando ha bisogno di qualcuno che sostituisca il marito morto e questo scambio diverrà reale nel momento in cui ella si concederà sessualmente al figlio. Il personaggio di Joe è, così, il modello dell’adolescente d’estrazione borghese cui apparentemente non manca nulla – affetto, cultura, soldi – che vive il suo benessere con la frustrazione di chi sa che nella vita non ha niente da conquistarsi e che non trova altro modo di esprimere il proprio disagio in un impulso autodistruttivo le cui motivazioni profonde derivano da un trauma (la ‘scena primaria’) subito nella primissima infanzia. Il protagonista – come già Athos in La strategia del ragno (1969), Marcello in Il conformista (1970) e Lucy, nel successivo Io ballo da sola (1996) – è, sia pur inconsciamente, alla ricerca di un padre con cui potersi riconciliare e dal quale ricevere un sonoro ceffone (questa è la reazione di Giuseppe quando apprende la verità su suo figlio da Caterina), che ristabilisca quell’armonia familiare precocemente sconvolta. La luna fu accolto alla sua uscita da un grande successo di pubblico – in cerca di provocazioni simili a quelle di Ultimo tango a Parigi (1972) – ma anche da critiche negative, soprattutto da parte della stampa specializzata, che rilevavano la superficialità con cui Bertolucci trattava una serie di tematiche scottanti, pretendendo di filtrarle attraverso griglie di lettura importanti (la psicanalisi, il melodramma) utilizzate, tuttavia, in maniera banale. Che il film sia datato 1979 non è un caso: proprio in quel periodo il problema della tossicodipendenza esplodeva come dramma sociale su vasta scala e il film, coerentemente con il periodo in cui è stato girato (i cosiddetti “anni del riflusso”) e con la struttura narrativa scelta dal regista, ricompone facilmente la tragedia attraverso il meccanismo dell’“agnizione” (riconoscimento). In tal modo Bertolucci strizza l’occhio a un tipo di pubblico che, desideroso di emozioni forti (l’incesto, la droga) è disposto ad accettarle solo a condizione che siano messe in scena all’interno di una cornice visivamente preziosa (mirabile esempio ne è la rappresentazione de Il trovatore ricostruita ad hoc per il film). Il risultato è un film di compromesso, studiato soprattutto per il mercato cinematografico americano, alla cui logica il regista si piegherà definitivamente con la successiva produzione degli anni Ottanta e Novanta.

Fabrizio Colamartino

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