di James Ivory
(Gran Bretagna, 1998)
Sinossi
Anni Sessanta. Bill Willis, veterano della Seconda Guerra Mondiale e adesso affermato scrittore, vive con la moglie Marcella, come lui americana, e la figlioletta Charlottanne (chiamata, in famiglia, Channe) a Parigi. I Willis adottano il piccolo Benoit, finito in un orfanotrofio dopo che la madre, alla sua nascita quindicenne, non aveva potuto occuparsene. Inizialmente, Channe è scontrosa con Benoit, che parla solo francese; ben presto, su invito di Bill, il piccolo sceglie di mutare il proprio nome in Billy. Sia Bill sia Marcella sono genitori attenti e scrupolosi in eguale misura verso i due bambini, che frequentano una severa scuola internazionale. Channe, gradualmente, supera le iniziali gelosie e accetta il fratellino. Un giorno, durante una scampagnata in Normandia con alcuni amici dei genitori, Channe subisce sgradite attenzioni sessuali da un ragazzino un po’ più grande di lei, Stephane. Trascorrono alcuni anni. Channe è adesso una graziosa adolescente: a scuola conosce Francis, un coetaneo stravagante con la passione per l’opera lirica. Tra Channe e Francis nasce una bella amicizia, che, però, dopo un certo periodo pare incrinarsi a causa dell’invadenza di lui quando lei frequenta altre persone. Bill, che sa di non stare bene (nella sua famiglia ricorrono malattie cardiache), decide di tornare in America con Marcella e i ragazzi. Poco prima della partenza, Francis confessa a Channe di essere da sempre innamorato di lei, ma la ragazza non lo contraccambia. Giunti in America, Channe e Billy, che nel frattempo è divenuto un ragazzo timido e un po’ ombroso, fanno fatica ad ambientarsi nella nuova scuola. Channe si concede con troppa facilità ai coetanei; poi, conosce Keith, un bravo ragazzo con cui inizia una relazione più solida. Dopo la morte di Bill, Marcella consegna a Billy il diario scritto da sua madre durante la gravidanza, invitando il ragazzo a incontrare la genitrice naturale: ma Billy non sembra entusiasta dell’eventualità.
Introduzione al Film
Il più “europeo” dei registi americani
Pur originario degli Stati Uniti, James Ivory esprime un percorso artistico profondamente devoto alla cultura della Gran Bretagna e, più generalmente, dell’Europa. Legato, fin dai primissimi anni Sessanta, al produttore indiano Ismail Merchant e alla scrittrice tedesca Ruth Prawer Jhabvala realizza, con essi, interessanti film, sovente ambientati in India, incentrati sul rapporto tra la cultura inglese e quella indiana, di cui possiamo ricordare Shakespeare Wallah (id., India, 1965), per il quale Ivory si avvalse della collaborazione, in qualità di compositore delle musiche, del grande regista indiano Satyajit Ray. Successivamente, indagando l’opera del romanziere inglese Edward M. Forster, Ivory approfondisce il percorso iniziato con i film indiani, ampliando, ad esempio, il termine di confronto alla cultura italiana (Camera con vista [A Room with a View, Gran Bretagna, 1985]), o analizzando i contrasti di classe all’interno di un’unica società, quella londinese edoardiana (Casa Howard [Howards End, Gran Bretagna, 1992]). Uomo di ottime letture e fine sensibilità (si veda, in quest’ultima direzione, la delicatezza con cui tratta l’omosessualità in Maurice [id., gran Bretagna, 1987], ancora tratto da Forster), critico verso l’aristocrazia ma da essa affascinato, ne descrive i riti guardando ai composti, equilibrati affreschi cinematografici di David Lean (il cui ultimo film, Passaggio in India [A Passage to India, Gran Bretagna, 1985], a conferma dei comuni interessi dei due registi, è tratto da Forster e ambientato in India: e non si tratta certo dell’unico film di Lean incentrato sul rapporto tra due culture differenti); attratto anche dall’Italia, che guarda con gli occhi affascinati di un viaggiatore del passato che sta compiendo il suo Grand Tour, desume da Luchino Visconti la cura, estrema, per la fattura dei costumi, la ricercatezza delle scenografie e più generalmente l’eleganza formale dell’inquadratura; ama Puccini, che omaggia con ridondanza in Camera con vista (O mio babbino caro) ma anche in La figlia di un soldato non piange mai, quando Francis e Channe iniziano la loro amicizia divertendosi ad inscenare, una notte in casa di lei, un’arruffata e divertita Tosca; contempla entusiasta la campagna intorno a Firenze, che ripropone, sempre in Camera con vista, ricordandosi di certi schemi della pittura inglese di paesaggio. Nei casi meno riusciti è un convincente illustratore (non solo dei romanzi di Forster, ma anche di quelli di Henry James, altro insigne appassionato dell’Inghilterra), dal buon gusto che non viene mai meno; altre volte sa stupire con lavori inconsueti, misconosciuti, come Party selvaggio (The Wild Party, USA, 1974), ispirato alla tragica vicenda giudiziaria del grande comico Roscoe “Fatty” Arbuckle, o proprio con La figlia di un soldato non piange mai, film di bambini e adolescenti girato col sentimento del miglior cinema francese sull’argomento.
Il ruolo del minore e la sua rappresentazione
Americani in Francia
La struttura della narrazione è piacevolmente originale: il film è diviso in tre blocchi, ognuno dei quali è dedicato ad un personaggio, specificato, all’inizio di ogni sezione, da una didascalia: si parte con “Billy”, si prosegue con “Francis” e si conclude con “Daddy”, cioè il papà Bill. Di ogni sezione è coprotagonista il personaggio di Channe, che, dunque, è il fulcro del film. La figlia di un soldato non piange mai è un piccolo compendio dei rapporti che si possono instaurare tra i bambini, tra gli adolescenti e tra questi ultimi e i genitori. Il primo segmento propone una situazione molto classica: dapprincipio il piccolo Benoit, che presto diverrà Billy, stenta ad ambientarsi nella nuova casa: con spiccata sensibilità, Ivory tratteggia un bimbo il cui atteggiamento dimesso, introverso e monoespressivo è l’esito dei traumi sofferti in orfanotrofio (di notte, per la paura del “lupo mannaro” che crede di intravedere fuori dalla finestra, bagna il letto, e dice chiaramente a Channe: “Suor Hélène ci picchiava”). A zittire Benoit, inoltre, vi è l’ostacolo della lingua: in casa Willis si parla prevalentemente inglese, a fronte del quale il piccolo oppone disorientati silenzi, rotti ogni tanto da poche parole dette in francese, a bassa voce, quasi con imbarazzo. Questa fase iniziale del primo segmento, in cui l’ostilità espressa da Channe, bambina saputa e antipatica, si sovrappone all’acrimonia dell’ambiente scolastico, pullulante di maestre severissime e inadeguate (sovente Billy è rinchiuso, per punizione, in un buio stanzino), deriva, almeno in parte, le proprie atmosfere da quel cinema francese che ha descritto la vita a scuola, o in collegio, con toni austeri e, talvolta, criticandone i funzionamenti. Il film, però, sostiene la fondamentale importanza dell’affetto e delle attenzioni da parte dei genitori adottivi, per rendere sereni l’ambientamento e la vita di un piccolo orfano nella nuova casa: da un lato Marcella, donna esuberante e intelligente, esalta il figlioletto (“È il bambino più intelligente che io conosca!”) e prende nettamente le sue difese contro l’insegnante; dall’altro, Bill lo introduce nella propria cultura, vestendolo da cowboy e guardando con lui Ombre rosse (Stagecoach, USA, 1939) di John Ford. Billy, adesso veramente “The Kid”, mangia allegramente un hot dog e, con una pistola giocattolo, spara, divertendosi, contro lo schermo televisivo che trasmette l’immagine di Ringo. L’ingresso nella vita adulta è stabilito da due eventi-simbolo: la frequentazione, durante la gita in Normandia, con un gruppo di ragazzine sgradevoli e volgari, figlie di amici, che, tra sigarette e insulti ai più piccoli Willis prefigurano comportamenti e valori tipici, appunto, degli adulti (la sequenza in cui tali ragazzine, sedute a cena con Billy e Channe, li sfottono e si passano una sigaretta accesa, richiama chiaramente il tavolo da poker attorno a cui Marcella, con gli amici, parla male dei francesi ed esclama tranquillamente “Porca merda!”); le molestie, peraltro non gravi, da parte di Stephane nei confronti di Channe, evento che introduce la sessualità e, dunque, chiude il segmento dedicato all’età infantile. Nella seconda sezione l’attenzione è spostata su Channe, e sulla sua amicizia con Francis, un coetaneo che inizia a frequentare la scuola internazionale della ragazza. Inizialmente, tutto lascia presagire che Francis e Channe possano vivere una relazione sentimentale: i due divengono molto amici e trascorrono insieme momenti spensierati e complici. La loro amicizia, però, non conosce ulteriori evoluzioni. Francis esprime interessi molto particolari: ama l’opera lirica, canta arie mozartiane con voce in falsetto, veste seguendo la sgargiante moda del momento (siamo negli anni Settanta) con fini interpretazioni personali. Si tratta, invero, di atteggiamenti che paiono esprimere ambiguità sessuale: ma, al termine della sezione, avviene la sorprendente confessione di Francis. Se, fino a quel punto, il film ha lasciato credere che lo stallo in cui si era bloccata l’amicizia tra i due fosse dovuto all’omosessualità di lui, la rivelazione finale attribuisce al personaggio di Francis una psicologia altrimenti complessa e ben precisa. Con Channe, Francis vorrebbe vivere un’amicizia esclusiva; la mette in imbarazzo, inoltre, con comportamenti inopportuni, ad esempio cercando di baciarle le mani durante le ore di lezione: “Sei il mio migliore amico; – gli dice lei – […] la devi smettere di fare lo scemo”. Francis, col suo atteggiamento, vorrebbe, in qualche modo, far presente alla ragazza i sentimenti che prova. Il suo modo di porsi nasconde un forte disagio: egli coltiva, con passione intensa, un interesse, l’opera lirica, inconsueto per un adolescente: perciò, si sente diverso dai coetanei (e tale diversità è ben espressa quando, a teatro, è quasi l’unico ad applaudire una stupenda e trasgressiva Salomé) e, soprattutto, più fragile di essi. Ed è quest’insicurezza, probabilmente, ad impedirgli di aprirsi con Channe, con la quale, in ogni modo, la sintonia non sarebbe mai stata totale: in America, la ragazza sceglierà il più sicuro (e rassicurante) ma anche più banale Keith. Nella terza parte si distingue il bel dialogo tra Channe e il padre, in cui Bill sollecita la figlia a non vivere relazioni inutili, ma ad attendere l’incontro con la persona giusta: e la invita, arrivato quel momento, a parlarne con lui. Si tratta di un aspetto estremamente interessante e prezioso, poiché sono ben rari, nel cinema, I confronti tra un padre ed una figlia adolescente su questioni relative alla sessualità di lei; condotto, da Bill, con pudore e affettuosa delicatezza, tale dialogo suggella il rapporto intenso, basato sulla reciproca tendenza alla comunicazione, che intercorre fra i due per l’intero film.
Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici
La figlia di un soldato non piange mai si presta ad essere utilizzato in ogni rassegna che affronti uno o più temi tra quelli sommariamente descritti come le difficoltà di ambientamento di un orfano in una famiglia, l’amicizia tra adolescenti di sesso diverso, il rapporto padre/figlia adolescente. Tra i film che trattano argomenti simili, si possono indicare Daddy Nostalgie (id., Francia, 1990) di Bertrand Tavernier, delicata cronaca del rapporto tra un padre gravemente malato e la giovane figlia (non si tratta, in ogni modo, di un’adolescente, ma il film di Tavernier è consigliabile per la profonda intensità con cui affronta il tema del rapporto padre/figlia, paragonabile a quella del film di Ivory), e Un ragazzo, tre ragazze (Conte d’été, Francia, 1996) di Eric Rohmer, incentrato sull’amicizia, in ogni momento sul punto di divenire qualcos’altro, tra i due giovani protagonisti Gaspard e Margot. La figlia di un soldato non piange mai è consigliato ad un pubblico di adolescenti e adulti, non di bambini. Costantino Maiani