Intervista a Gus Van Sant

16/07/2009 Tipo di risorsa Notizie Temi Condizione dell'infanzia e dell'adolescenza Titoli Le notizie

1 La mia famiglia ha percorso in lungo e in largo gli Stati Uniti ed io ho collezionato gruppi di nuovi amici ogni volta che mi spostavo. Stavamo in un posto per un anno o due al massimo. Sono cresciuto in sette città diverse. In ogni città ho un gruppo diverso di amici. Questo fattore ha determinato il mio interesse per situazioni familiari molto diverse, famiglie disfunzionali, pseudo-famiglie, situazioni molto instabili. Comunque, è stata questa la ragione che mi ha portato a narrare storie. (Robert Hofler eAlan Frutkin, “Gus's Good Will - Gus Van Sant Interview”, The Advocate, 31 marzo 1998)

Tutte le storie che ho realizzato finora contengono una qualche sorta di metafora familiare. In Alice in Hollywood, la ragazza si unisce a una famiglia di gente di strada. In Mala Noche, Walt e Pepper formano una coppia in cui vige un rapporto simile a quello tra padre e figlio, mentre in Drugstore Cowboy si parla piuttosto di una famiglia di drogati. In Belli e dannati, ritroviamo una famiglia di vagabondi dove Bob rappresenta la figura paterna, anche se si tratta di una famiglia sostitutiva, temporanea. Il film racconta la storia di Mike che vive sulla strada perché ha avuto dei problemi con la sua famiglia. Mi sono riferito a persone conosciute che facevano quel tipo di vita; in ogni caso si trattava di gente che proveniva da una situazione familiare problematica. […] Le famiglie sono un tema interessante. Le dinamiche di qualsiasi tipo di famiglia offrono elementi che valgono anche per il mondo esterno. Forse è il tema più interessante che conosco. […] Posso usare il mio passato come punto di riferimento da applicare a Scott [uno dei protagonisti di Belli e dannati], e qualche volta l’ho fatto anche con Keanu [Reeves, l’interprete del personaggio di Scott]. Keanu è cresciuto in un ambiente benestante come il mio, e questa esperienza gli è servita per trovare il modo di interpretare la sua parte. Ci siamo sforzati di capire chi era Scott. Forse, a volte, era tutti e due insieme, Keanu e me. (Manlio Benigni e Fabio Baracchini, a cura di, “Cowboys and Girls con l’Enrico V nell’Idaho”, American Movies 90 – prima puntata, Milano 1994)

Non sapevo nulla dei videogame, ma la gente ha incominciato a dirmi: “sono questi giochi che causano la violenza nei ragazzi”. Così ho incominciato a guardarli giocare e poi a giocarli io stesso. Ho giocato a Tomb Raider fino ad esserne ossessionato. Ti obbliga a un’immaginazione interattiva, ho scoperto via via molti aspetti interessanti da un punto di vista teorico, intellettuale in questo e in altri giochi. […] Se non fai nient’altro che giocare in solitudine per delle settimane intere, ciò può ovviamente influenzare il tuo comportamento, renderti anti-sociale. Se giochi a Doom su internet, entri in contatto con delle persone che giocano con te e a alle quali spari. […] Se lo fai per molto tempo puoi incominciare a fantasticare e dire: “Adesso sparo a qualcuno che non mi piace”. In Elephant vediamo in una breve sequenza uno degli assassini che gioca ad un videogame. Non potevamo avere i diritti di Doom, così abbiamo creato noi stessi un videogioco che assomiglia a Gerry, con due ragazzi che camminano in un deserto. (Gerald Peary, novembre 2003 )

Elephant è nato dal massacro nel piccolo liceo americano di Columbine. La copertura mediatica è stata enorme. Avevo l’impressione di guardare un film, visto che le immagini televisive e i commenti erano estremamente drammatizzati. Il fatto è diventato, allo stesso tempo, una tragedia e un intrattenimento, ed era questo che mi interessava. Tutto ciò è capitato a proposito proprio nella discussione sulle immagini di sesso e violenza alla televisione, nei videogiochi o al cinema e il modo in cui influenzano i giovani. La responsabilità di tutto ciò è stata scaricata sui registi. Così ho pensato che la risposta più razionale fosse di girare un film sull’incidente proprio in quel momento: cosa è accaduto realmente, cosa ha influenzato i due ragazzi che hanno sparato, chi erano veramente, chi erano gli altri studenti, com’era la scuola. […] La prima cosa è stato il casting. Abbiamo messo un annuncio sul giornale, sono venuti 1500 ragazzi, abbiamo preso il loro nome e gli abbiamo fatto una foto. 200 sono stati richiamati, li abbiamo intervistati e filmati uno per uno. Parlavano della loro vita. È pazzesco a qual punto si liberavano. Più tardi ho chiesto loro il perché e mi hanno detto che era per avere la parte. […] Per me la storia riportava l’attenzione del mondo esterno su questa piccola isola protetta, iperregolata che corrisponde al liceo medio americano. Per esserci passato anche io so che in un liceo gli alunni mimano il mondo esterno, riproducono con rabbia l’ingiustizia che li circonda. È interessante. Sono stato intrigato anche dal fatto che i due assassini erano anche dei buoni studenti, non erano i più violenti, né erano particolarmente emarginati. Probabilmente gli altri non si interessavano molto a loro. Un bel giorno non hanno più creduto al futuro e in una specie di patto suicida hanno dichiarato guerra alla scuola. […] Cerco la “sensazione” del liceo attraverso le andature dei ragazzi, i rituali, i gesti che li caratterizzano. È una specie di sogno. Il ralenti doveva giocare un ruolo ancora più forte, ma non ho mai voluto mostrare gli assassini con questo mezzo, bensì mettere in rilievo attraverso di esso alcuni dettagli: qualcuno che cammina, il desiderio di una ragazzina che guarda un ragazzo… (Olivier Joyard e Jean-Marc Lalanne, «Gus Van Sant – Je suis comme Columbo, je fais semblant de ne pas savoir», Cahiers du Cinéma, maggio 2003)

5 In effetti ho concepito i personaggi [di Elephant] dopo aver scelto gli interpreti. Avevamo ascoltato le loro storie personali e ciascuna di esse ha fatto nascere un certo tipo di figura. Sapevo che ci volevano delle ragazze che parlassero molto di maquillage. Di contro, non avevo previsto un ragazzo con un padre alcolizzato, ma ne ho incontrato uno. Lo stesso vale per quello che va in giro a fare delle fotografie, benché io stesso praticassi la stessa attività al liceo. Quando Elias McConnell mi ha detto che era stato in un parco a scattare delle foto mi sono reso conto che potevo combinare la mia esperienza con la sua. […] (Michel Cieutat, «Entretien avec Gus Van Sant. Un gigantesque système oppressif» Positif n. 513, novembre 2003)

6 Quando ho incominciato a pensare di affrontare l’argomento della violenza omicida nelle scuole, ho pensato di fare un telefilm tradizionale che si concentrasse sugli assassini e forse sui loro genitori, Poi sono trascorsi due anni e nel frattempo il modo in cui concepisco il cinema è profondamente mutato. […] Partendo da ciò che [i ragazzi selezionati come interpreti per Elephant] mi avevano raccontato, li ho piazzati all’interno della scenografia di una scuola vuota e ho incrociato le loro storie. […] La precisione con cui emergono i personaggi viene dal modo in cui si vestono, dal fatto che si trovano nella loro città natale e che la scuola dove abbiamo girato assomiglia molto alla loro. Inoltre, i personaggi che interpretavano avevano lo stesso loro nome. (Gérald Delorme, «Memoire d’éléphant», Première n. 320, ottobre 2003)

Si è molto discusso della strage di Columbine, anche perché non è stata l’unica strage compiuta da ragazzi all’interno di una scuola. Sono fatti che hanno sconvolto l’opinione pubblica e, nel periodo di pre-produzione del film, quando il direttore del casting cercava un gruppo di ragazzi adatti ad interpretare i ruoli principali, abbiamo distribuito un questionario per sapere cosa ne pensavano della strage di Columbine e dei loro autori. Alla base, quindi, c’è stata forse anche un’indagine sociologica, ma poi è prevalsa la volontà di raccontare i ragazzi nella loro vita quotidiana, senza dare risposte su nulla, tanto meno sull’improvvisa esplosione di violenza. Ritenevo che il tema di Columbine si legasse bene con la vita quotidiana di un gruppo di studenti di una scuola superiore. Ma è loro che ho voluto raccontare, i loro umori, le loro ansie. Anzi, sono loro a essersi raccontati in Elephant. […] [Anche quella di osservare gli avvenimenti da diversi punti di vista] è una decisione presa con i ragazzi del cast. Mi sono fatto raccontare da ognuno di loro come avrebbero raffigurato una determinata situazione. E poi ho sempre pensato che non esista un’unica realtà. (Antonio Termenini, Gus Van Sant. L’indipendente che piace a Hollywood, ediz Cineforum – ETS, Bergamo 2004)

In Elephant racconto Columbine, le vittime e i due assassini, ma non c’è alcun giudizio morale, alcuna riflessione esplicita. Il messaggio è il film stesso, il fatto che ho scelto di farlo e di farlo proprio in questo modo. […] [Aver scelto dei veri studenti] è parte essenziale dell’idea: girare a Portland, che per me significa sentirsi molto rilassato, e scegliere veri studenti, lasciandoli parlare a ruota libera. Spetta agli spettatori, se vogliono, scoprire l’“elefante” nei loro discorsi. Io mi sono limitato a scrivere un canovaccio: le azioni erano decise da me, i dialoghi invece erano totalmente improvvisati da loro. Perfino l’uso della musica nasce da loro: è stato Alex [Frost, uno degli interpreti], che è un ottimo pianista, a suggerirmi la “Sonata al chiaro di luna” di Beethoven. (Stefano Lusardi, “Gus, genio ribelle”, Ciak n. 10, ottobre 2003)

Non abbiamo mai spiegato [agli studenti che avevano risposto al casting di Elephant] di cosa si trattava. L’unica informazione che gli abbiamo dato è che era un film ambientato in un liceo. È ovvio che abbiano subito capito che si sarebbe parlato di violenza nelle scuole. Ma siamo rimasti nell’ambiguità perché li volevamo il più impreparati possibile. Li volevamo “disturbare”. […] È ovvio, questo per gli adulti è un mondo chiuso e incomprensibile. Sono invisibili, non si lasciano intrappolare in definizioni di comodo. Ci piacerebbe poter etichettare l’universo giovanile, ma non è possibile. Capiamo solo che sotto la superficie c’è un mondo magmatico in continuo e turbinoso cambiamento… (Massimo Rota, a cura di, “Il furore degli invisibili”, Duel n. 107, ottobre 2003)

10 Penso che i ragazzi siano il pubblico d’elezione [per Elephant] perché riconoscono meglio degli adulti le false risposte in merito alla violenza, evitando l’individuazione di comodi capri espiatori. Loro sanno, dal momento che sono i protagonisti di queste situazioni, che la risposta è quasi sempre impossibile da trovare. Puoi fare un film didattico e dire:”Bene, questi sono i segnali ai quali guardare e, se li individui, puoi tutelarti dalle conseguenze. O, se stai attento a questi segnali puoi correre ai ripari prima che accada qualcosa di negativo”. Ma i ragazzi sono più intelligenti, non ci cascano. Sanno che devono fare un piccolo sforzo mentale in più e che la soluzione non sta nel guardare un film che contiene o meno dei segnali di allarme sulla violenza nelle scuole, dal momento che vivono immersi in questa realtà. Così, quando parli con loro possono adularti e lasciarti credere che tu sappia tutto sulla violenza scolastica e sul perché avvengono stragi come quella di Columbine, oppure possono essere se stessi e allora ti diranno che sono disgustati da tutto ciò, che gli adulti non possono comprendere, che è il loro mondo e che vogliono essere lasciati in pace. […] Non penso che i ragazzi di oggi abbiano più problemi di quelli di ieri. Forse il problema è che oggi si può entrare in possesso di un’arma più facilmente. Penso che gli studenti dei licei abbiano sempre avuto problemi e che oggi abbiamo soltanto più accesso alle informazioni, grazie a internet e alla televisione e, in pratica, siamo sommersi da esse. (Carlo Cavagna, novembre 2003 )

11 Paranoid Park non è un film su una sottocultura, quella degli skater. È un film sulla vita dei ragazzi e su come gli adolescenti interagiscono, oppure su come si rifiutano di farlo. Non è un film ambientato nel mondo dello skateboard; lo usa semplicemente come sfondo. […] Ho cercato gli interpreti attraverso MySpace.com. Penso che sia il modo in cui tutte le agenzie di casting dovrebbero muoversi per selezionare interpreti adolescenti, specie adesso che MySpace è tanto utilizzato. Noi abbiamo solo cercato di immaginare quale potesse essere il modo migliore per fare in modo che l’informazione sul casting per Paranoid Park circolasse tra interpreti non professionisti. (Emanuel Levy, maggio 2007)

12 La decisione di scegliere interpreti non professionisti attraverso un casting aperto a tutti anche per Paranoid Park è perché anche questo film, come Elephant è ambientato in una scuola. Ho sempre pensato che i teenager fossero più “giovanili” di quanto non fingessero recentemente; non molto tempo fa giocavano alla guerra ed emulavano Rambo. Sono forme di istrionismo, modi per farsi notare. Abbiamo provato a fare lo stesso per Last Days ma quei personaggi erano delle rockstar oltre i venti anni, e nessuna giovane rockstar sarebbe venuta a un casting per il film. Invece se metti dei manifesti in giro per trovare dei liceali questi si presentano. […] (Ben Walters )

13 Ho imparato alcune cose sui giovani di oggi: non sono così diversi da quelli delle generazioni precedenti, ad esempio della mia, quella degli anni Sessanta. […] Se esistono delle differenze, e spesso queste sono impressionanti, è semplicemente perché le due epoche sono molto diverse. (videointervista, ottobre 2007 )