Il Piccolo fuggitivo

16/07/2010 Tipo di risorsa Schede film Temi Infanzia Relazioni familiari Titoli Rassegne filmografiche

di Ray Ashley, Morris Engel, Ruth Orkin

(USA, 1953)

Sinossi

Joey è un bambino di sette anni che vive a Brooklyn con la madre e il fratello maggiore Lenny, dodicenne. Un giorno la mamma deve allontanarsi urgentemente e affida a Lenny la cura di Joey. Per il ragazzo si tratta di una vera e propria costrizione perché, proprio in quel giorno, aveva deciso di andare al Parco dei divertimenti di Coney Island insieme ad alcuni suoi coetanei. Decide allora di mettere in scena la propria uccisione. Fa in modo che Joey imbracci un fucile e poi finge di essere colpito a morte. Il bambino scappa temendo il peggio. Ha con sé un po’ di denaro e sale sul primo treno in partenza che lo porta proprio a Coney Island dove comincia ad aggirarsi tra i vari stand di attrazioni spendendo progressivamente tutto il denaro. Dopo aver trascorso una notte sulla spiaggia e aver racimolato qualche dollaro, grazie al recupero delle bottiglie di vetro lasciate abbandonate, Joey ha ormai concentrato la sua attenzione sulla pista in cui si possono cavalcare i pony (i cowboy sono la sua grande passione). Sarà proprio il proprietario dei cavalli a fare in modo che il bambino venga ritrovato da un preoccupato Lenny. I due riusciranno a tornare a casa prima dell’arrivo della madre la quale, ignara di tutto, promette loro una gita a…Coney Island.

Introduzione al Film

Un film che si è fatto da sé

Little Fuggitive ha rappresentato uno dei punti di riferimento del cinema indipendente americano per più di una ragione. Innanzitutto per le modalità della sua produzione. Si tratta di uno di quei film che oggi si definirebbero un po’ spregiativamente come “fatti in casa”: Morris Engel, fotogiornalista e ‘maverick’ - come lo definivano i suoi compatrioti per la sua totale libertà da vincoli - è il marito di Ruth Orkin e, insieme a lei, riesce a coinvolgere Ray Ashley nella produzione, scrittura e regia di un film dal budget irrisorio anche per gli inizi degli Anni Cinquanta: 30,000 dollari. La macchina da presa è una 35 millimetri da portare a spalla realizzata da un amico. Con un’attrezzatura così “leggera” è possibile girare nelle strade di Brooklyn e poi di Coney Island per qualche mese. Gli attori sono tutti non professionisti che non avrebbero più lavorato nel cinema e ciò che compare sullo sfondo è la vera vita di quei giorni con soggetti ripresi a loro insaputa. Rifiutato dalle major, il film viene comprato da Joe Burstyn (all’epoca il principale distributore di film italiani negli Usa) che lo fa circolare. Così Little Fuggitive – Il fuggitivo vince un Leone d’Argento alla Mostra del Cinema di Venezia e, nonostante il suo minimalismo e un copione che raggiunge a fatica le 2000 parole, riceve una nomination all’Oscar per la sceneggiatura. Engel lascia ai suoi attori la massima libertà di azione suggerendo solo gli elementi di base della scena che si sta per girare. Riesce così ad ottenere dai due giovanissimi protagonisti il massimo della naturalezza possibile e a tracciare un ritratto non solo di una fase dell’età evolutiva particolarmente critica, ma anche di una società che sta iniziando a mutare la forma delle modalità del divertimento collettivo. Un’ultima annotazione va riferita alla colonna sonora. Eddy Manson utilizza l’armonica a bocca (oggetto che Joey porta con sé come “ricordo” del fratello) per suggerire, quando necessario, atmosfere western che fanno diretto riferimento alla passione che il bambino nutre per quel mondo e, in particolare, per i cavalli.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

Quando l’arma è a doppio taglio

La trama di questo film si snoda attorno alle vicende del piccolo protagonista, Joey un bambino di sette anni e del fratello maggiore Lenny dodicenne. Inizialmente saremmo portati a pensare che si tratti della solita situazione nella quale un fratello minore vuole emulare le gesta del fratello più grande ed entrare nella cerchia dei suoi amici. Storie di ordinaria gelosia e insofferenza tra fratelli: il piccolo che fa il grande con i grandi per essere accettato e il grande che lo vede unicamente come un peso e un ostacolo alla sua voglia di emancipazione. Davanti agli amici Lenny, infatti, tratta Joey con sufficienza e con irritazione e si dimostra insofferente quando la madre gli affida il piccolo perché deve assentarsi. Il dover badare al fratellino durante l’assenza della madre comporta per Lenny la rinuncia ad un progetto preparato da tempo come regalo per il compleanno: passare una giornata in compagnia degli amici al parco dei divertimenti di Coney Island. Poco per volta il film mostra uno spaccato diverso, forse oggi, almeno agli occhi degli adulti di oggi, incomprensibile: Joey e Lenny, così come i loro coetanei, godono infatti di una notevole autonomia e, insieme, sono investiti delle responsabilità e poteri che ogni regime di libertà comporta. Gli adulti del film intervengono solo quando è strettamente necessario: la mamma prima di partire rilancia alcune raccomandazioni elementari e poi telefona a metà del suo soggiorno fuori casa, per controllare che tutto sia in ordine, senza preoccuparsi più di tanto della condizione dei suoi figli. La sua presenza si rivela quindi discreta, pragmatica e volta all’essenziale. Se, al giorno d’oggi, questo atteggiamento appare riprovevole è solo perché oggi l’autonomia dei più piccoli tende ad essere negata e sostituita da un accudimento che risponde più ad un bisogno dell’adulto che del bambino. Lungi dall’essere abbandonati a se stessi e senza riferimenti valoriali, approfittando letteralmente del fatto che nessuno arriva a togliergli le castagne dal fuoco, Lenny e Joey cercano di cavarsela da soli, di prendere in mano la propria vita entrambi con strategie e scelte diverse e personali. Ricevuto il sacrificante incarico, Lenny non piagnucola, ma si mette immediatamente in moto per trovare il modo per aggirare l’ostacolo, inventandosi uno stratagemma alquanto originale, mettere in scena la propria (finta) morte (dimostrando pertanto d’essere consapevole della differenza che sussiste tra realtà e finzione, tra mascheramenti e verità, tra violazione e osservanza della regola). L’errore del preadolescente sta, piuttosto, nell’aver escogitato un piano ingenuo che non tiene conto delle possibili e prevedibili conseguenze e che agita un’arma pericolosa e a doppio taglio: il senso di colpa. Egli, infatti, fa sentire Joey una peso, una zavorra ai suoi piedi, e lo tratta ancor più malamente quando quest’ultimo gli porge il regalo del compleanno, con tanto di bigliettino scritto con affetto e con l’intento di rinsaldare il legame tra i due. L’idea di far fuori il fratello minore diventa, ai suoi occhi, l’unica possibile soluzione per raggiungere un desiderio agognato ma messo in pericolo dalla restrizione imposta dalla madre. Approfittando della passione del fratellino per le pistole, Lenny improvvisa così una sparatoria, complici gli amici, in cui Joey, maneggiando un fucile, spara e crede di ammazzare il fratello maggiore. Allo sparo Lenny si accascia e un amico e complice dello scherzo cosparge il petto della finta vittima con ketchup per simulare il sangue. L’inquadratura del viso di Joey che guarda attonito l’esito imprevisto e nefasto del suo gesto sembra dar ragione alla teoria secondo la quale un evento traumatico si fissa indelebilmente nell’anima di chi lo ha commesso. Anche il coro degli amici che gli intimano di scappare perché ciò che è accaduto non è affrontabile proietta lo spettatore nell’immaginare per il povero Joey un futuro di isolamento, di pena e di struggimento eterno. Se poi si aggiunge che subito all’inizio della sua fuga egli si imbatte casualmente in due ignari poliziotti, una premonizione fin troppo patente del suo destino, tutto lascia supporre che nei giorni a venire una punizione sarà sempre lì ad attenderlo e non ci sarà posto al mondo dove la sua colpa potrà essere cancellata. In effetti il piccolo scappa, addirittura prende un treno, guarda caso, per Coney Island. Ed è proprio a partire da queste prime scene al Parco dei divertimenti, nelle quali Joey è un infaticabile sperimentatore di tutte le attrattive del luogo, che il minore diventa protagonista non solo del film ma della sua vita. Con i soldi che ha preso da casa, approfitta di quel paese dei bengodi e non si tira indietro davanti alle luccicanti offerte di giochi e di golosità che il luogo offre. Quella che poteva essere una fuga per scappare invano dalla sua colpa, si rivela in realtà un’opportunità tanto inaspettata quanto divertente. Il piacere provato da Joey, difatti, è tale che, una volta terminati i denari presi da casa, trova il modo di procurarsene ancora raccogliendo in spiaggia i vuoti delle bottigliette di vetro e riscuotendone la cauzione. Il paradosso della situazione si mostra se andiamo a vedere cosa nel frattempo succede a colui che ha architettato il finto omicidio per liberarsi del fratellino. Tornato a casa, Lenny non trova Joey e comincia a preoccuparsi quando vede che di lui non c’è più traccia. A questo punto la situazione si inverte: ora è Lenny a macerarsi nel senso di colpa e il progetto di andare a divertirsi con gli amici sfuma nella ricerca disperata del fratello. Chi avrebbe dovuto crogiolarsi nel senso di colpa e vagare nella disperazione se la sta spassando beatamente al parco dei divertimenti e chi voleva liberarsi del fratello per divertirsi è ora angosciato e dopo aver girovagato a vuoto passa il resto del tempo a casa ad aspettare improbabili notizie. Quando Lenny riesce a sapere dove si trova Joey lo raggiunge a Coney Island: la ricerca del fratello si colora di toni che vanno dal penoso al grottesco con il continuo incubo per Lenny dell’ora in cui la madre dovrebbe fare ritorno. Il procedere inesorabile dell’orologio che segna le ore che passano è per lui più minaccioso dei poliziotti incontrati da Joey all’inizio della sua fuga. In questo modo, quando, dopo varie peripezie, i due fratelli si reincontrano nessuno dei due ha più motivi né voglia di scagliarsi contro l’altro: Lenny è sollevato all’idea di evitare le conseguenze del suo stupido gesto e Joey ha trascorso due giornate talmente soddisfacenti da non voler guastarsi la festa con liti e battibecchi. Al suo ritorno la madre trova i due ragazzini compiti seduti davanti alla televisione e insinua amichevolmente che i due abbiano passato così tutto il tempo della sua assenza. A volte non sapere è meglio per tutti.

Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici

Quando Morris Engel, all’età di 86 anni, morì a New York il 5 marzo 2005 i necrologi sul Los Angeles Times includevano un omaggio di François Truffaut il quale aveva dichiarato al magazine del New Yorker: “La nostra Nouvelle Vague non sarebbe mai esistita se non fosse stato per il giovane americano Morris Engel che ci mostrò la strada per la produzione indipendente con il suo bel film Little Fuggitive”. Questo esplicito riconoscimento ci stimola ad associare il film di Engel a I quattrocento colpi non tanto per le scelte tematiche (le vicende che vedono coinvolto Antoine Doinel e la stessa composizione della sua famiglia sono diverse) quanto piuttosto per la “libertà” di stile e la scelta del giovanissimo Jean-Pierre Léaud nonché per lo sguardo rivolto a personalità in formazione mai prima così libero da retoriche come in questi due film. Si può poi fare riferimento, anche per rilevare modalità di narrazione completamente diverse, a Mamma ho perso l’aereo. Anche nel film di Chris Columbus un bambino si trova da solo a confrontarsi con una situazione inattesa (in questo caso la partenza dei genitori) e a dover trovare nuove modalità di rapporto con la realtà. Una realtà che, in questo caso, viene trasfigurata con i toni della commedia hollywoodiana. Potrebbe rivelarsi utile anche una riflessione, se i film vengono proiettati a un pubblico adolescente o adulto, sui diversi percorsi che hanno intrapreso successivamente i tre giovanissimi attori. Elena Galeotto, Giancarlo Zappoli

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