di Atom Egoyan
(Canada, 1997)
Sinossi
Mitchell Stevens, un avvocato di mezza età, si reca in un villaggio della Columbia Britannica colpito da una terribile tragedia: uno scuolabus, dopo essere uscito di strada, è precipitato in un lago ghiacciato, trascinando con sé tutti i bambini della piccola comunità che erano a bordo. Deciso a far ottenere un risarcimento alle famiglie delle piccole vittime, Stevens ne convince i genitori a intentare causa. Tutti gli accordano la loro fiducia tranne Billy Ansell, convinto che il processo serva soltanto a rinnovare un dolore troppo grande per poter essere lenito da qualunque risarcimento. Stevens – che nel caso sta riversando anche la sua frustrazione di genitore con una figlia che si droga ed è sieropositiva – conta molto sulla testimonianza dell’unica supersite, l’adolescente Nicole, rimasta paralizzata in seguito all’incidente: la ragazzina, legata al padre da un rapporto incestuoso, in un primo momento acconsente a testimoniare. Tuttavia, dopo aver assistito all’ennesimo tentativo da parte di Ansell di persuadere suo padre a rinunciare al processo, affermerà il falso, facendo crollare il castello accusatorio di Stevens e le speranze della comunità di ottenere il risarcimento.
Presentazione critica
Con questo suo film del 1997, il regista canadese Atom Egoyan sembra porsi come obiettivo una sorta di indagine sulle possibilità di fronte alle quali si trova un genitore che debba affrontare il dolore causato dalla perdita di un figlio. I componenti della piccola comunità colpita dalla sciagura, alla richiesta dell’avvocato di diventare il rappresentante della loro rabbia di genitori, reagiscono con comportamenti molto diversi. C’è chi, come i coniugi Otto – una coppia hippy che ha perso il figlio adottivo – si chiude nella contemplazione del proprio dolore e si lascia convincere a intraprendere la strada del processo per sfogare la propria rabbia punendo i responsabili dell’incidente. C’è chi, come i Walker, si fa coinvolgere passivamente, per ignoranza. Chi, come Sam – il padre di Nicole – è costretto a farlo per farsi perdonare dalla figlia sopravvissuta un’adolescenza negata, prima da un rapporto incestuoso, adesso dall’invalidità. Lo stesso Stevens, poi, cerca in questo processo, più che un successo professionale, una sorta di palcoscenico dal quale mostrare al mondo la propria riabilitazione come padre che ha probabilmente la sua parte di colpe nel fallimento esistenziale della figlia. Il suo comportamento, per tutta la durata del film, è ambiguo, sospetto a causa dell’ostinazione con cui – proprio lui che conosce cosa sia il dolore per la perdita di un figlio – continua a perseguitare i componenti della comunità, tentando di dare una soluzione razionale al loro dolore, stabilendo una sorta di graduatoria della sofferenza (è costretto a scavare nel passato delle famiglie per presentare in tribunale solo quelle la cui moralità sia comprovata). Questo desiderio di elaborare il lutto collettivamente, cercando inutilmente in un risarcimento da parte della società un palliativo al dolore, si scontra, tuttavia, con la figura di Billy Ansell, l’unico tra i genitori che si oppone al processo: l’uomo, apparentemente rude, descritto dagli altri come violento e insensibile, in realtà è un padre affettuoso, l’unico tra le persone colpite dalla disgrazia ad aver compreso che alla base del tentativo di Stevens non c’è soltanto un desiderio di giustizia ma anche un motivo di rivalsa personale. È il solo disposto ad accettare il proprio dolore per intero, a non aver bisogno di pretesti per esprimere la propria rabbia (significativo è il violento scontro verbale che ha con Stevens). La sua è una sofferenza sorda che, probabilmente, lo accompagnerà per tutta la vita, un rumore di fondo continuo, simile a quello della sua chitarra elettrica che, in una delle prime sequenze del film, abbandonata in un angolo, risuona con un sibilo sinistro e lacerante. L’unica che riesca a comprendere la reale natura di quest’uomo è Nicole: la decisione della ragazzina di schierarsi dalla sua parte è, anche, l’attuazione di una punizione nei confronti del padre, che ora non prova più per lei gli stessi sentimenti di prima. Il rapporto che Sam pretende di ristabilire con Nicole, infatti, è quello che potrebbe esistere normalmente tra padre e figlia, ma che non può più realizzarsi poiché le basi su cui avrebbe potuto stabilirsi sono state minate per sempre dall’incesto. Così come tutta la comunità tenta di curare il dolore attraverso un’impossibile catarsi collettiva che dovrebbe passare attraverso il processo, allo stesso modo Sam tenta di risarcire Nicole di quell’affetto che le ha sempre dato come amante e che adesso vorrebbe darle in quanto genitore, ma che alla ragazzina non basta più in quanto è ora ridotto a semplice pietà per un’invalida. La dimensione nella quale vive Nicole, ormai, è distante da quella reale, concreta, persino meschina degli adulti: assomiglia al mondo meraviglioso della fiaba di Robert Browning “Il pifferaio di Hamelin”, un “dolce domani” pervaso da una misteriosa armonia, nel quale è impossibile tentare di razionalizzare tanto la gioia quanto il dolore. Straordinariamente complesso per costruzione narrativa, articolato liberamente su un alternarsi di flashback e narrazione al presente, Il dolce domani è un film corale, che affida interamente allo spettatore e alla sua capacità di inferire tra un’immagine e l’altra, tra una situazione e l’altra, nei rapporti tra i personaggi, un legame indiretto, mai completamente mostrato ma, proprio per questo, ancor più forte e sorprendente. Fabrizio Colamartino