Il contrasto alle mutilazioni genitali femminili

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Il contrasto alle mutilazioni genitali per la tutela della salute e dell’integrità psicofisica delle bambine e delle ragazze: un inquadramento normativo 


La mutilazione genitale femminile (Mgf) è definita dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) come una pratica tradizionale dannosa che comporta la rimozione totale o parziale dei genitali femminili esterni, o altre lesioni agli organi genitali femminili, per ragioni non legate ad aspetti medici. Di solito, vengono eseguite da un circoncisore tradizionale con una lama e senza anestetico. L’Organizzazione mondiale della sanità afferma che le mutilazioni genitali femminili non comportano benefici di alcun tipo, ma possono causare enormi rischi (a breve e/o lungo termine) per la salute psicofisica della donna: dolore intenso, sanguinamento eccessivo, difficoltà a urinare, infezioni, infertilità, problemi psicologici, diminuzione del piacere sessuale, complicazioni durante il parto, maggior rischio di decessi neonatali.

La questione tuttavia non attiene unicamente all’aspetto fisico e alla salute: la mutilazione genitale femminile è a tutti gli effetti una violazione dei diritti umani di bambine, ragazze e donne, soprattutto perché praticata senza il consenso delle destinatarie. Si tratta di una forma molto grave di discriminazione di genere che si riflette su una serie infinita di aspetti della vita, generando ulteriore disuguaglianza.

In allegato la principale normativa nazionale e internazionale sul tema del contrasto alle mutilazioni genitali femminili.