di Robert Mulligan
(USA, 1962)
Sinossi
Siamo nel 1932 a Macomb, una cittadina dell’Illinois. Atticus Finch è un avvocato rimasto vedovo con due figli cui badare: la piccola Jane-Louise, detta Scout, di sei anni e Jem, di dieci. Nei pressi della loro casa si trova quella dei Radley il cui figlio Arthur, soprannominato Bu, sofferente per problemi mentali, è considerato dai bambini come una specie di ‘uomo nero’. Quando Tom Robinson, un uomo di colore, viene accusato di aver violentato Mayella Ewell, una ragazza bianca, Atticus, convinto progressista, è l’unico avvocato della città disposto a difenderlo: in questo modo si attira le antipatie della maggior parte della popolazione bianca. Malgrado Atticus riesca a provare l’innocenza di Tom, sbugiardando la testimonianza di Mayella e di suo padre Bob, la giuria del processo, composta esclusivamente di bianchi, condanna l’uomo che, successivamente, durante un disperato tentativo di fuga, viene ucciso dalla polizia. Alcuni mesi dopo, Bob Ewell, volendo vendicarsi dello smacco subito al processo, assale Scout e Jem: in aiuto dei due bambini interviene proprio Bu che, durante la colluttazione, uccide Bob. Atticus e lo sceriffo della contea decidono di far passare l’omicidio per un semplice incidente.
Presentazione critica
Il titolo originale del film, To Kill a Mockingbird – letteralmente ‘uccidere un usignolo’ – rende molto meglio l’idea di fondo del film di quanto non riesca a fare il titolo in italiano, Il buio oltre la siepe. Il titolo originale, infatti, si riferisce a una frase di Atticus che, raccontando ai suoi figli la prima volta in cui prese in mano un fucile, ricorda anche la raccomandazione fattagli dal padre di non sparare mai agli usignoli, uccelli, questi, che allietano con il loro canto la vita degli uomini senza chiedere nulla in cambio. L’allusione è al pericolo di esporre coloro che sono ingenui e indifesi a un confronto troppo diretto con la società che, spesso, proprio nei loro confronti, può essere più crudele che con altri. Il titolo in italiano, invece, punta soprattutto al tema della paura nei confronti della diversità, causata dalla presenza di quegli steccati ideologici che trasformano automaticamente l’ignoto in qualcosa di potenzialmente pericoloso. I due temi sono, in effetti, profondamente intrecciati: la presenza di una legge morale superiore, che impedisce di profanare l’ingenuità e la purezza originaria di chi è senza peccato (i bambini), nel corso del film si scontra continuamente con una realtà che invade con brutale violenza la loro vita. La necessità di mettere Scout e Jem al riparo dalle brutture della realtà deve riuscire, secondo Atticus, a convivere allo stesso tempo con l’esigenza di dar loro la possibilità di giudicare liberamente su qualsiasi tema, anche il più scabroso. La sfida del protagonista – e del film che, ovviamente, si regge per buona parte sull’intensa interpretazione di Gregory Peck – sta proprio nel trovare il giusto mezzo per dare ai propri figli un’educazione che, pur preservando le loro identità, li renda capaci di calarsi nei panni anche di chi è più lontano dalla loro condizione: di qui l’invito a guardare le cose anche sotto una prospettiva diversa da quella che è più familiare. Significativa, a tal proposito, è l’intera sequenza del processo al quale i bambini assistono dalla galleria (cioè da quell’area che il tribunale riserva alla gente di colore), mentre Atticus tenta di convincere la giuria a guardare al caso di Tom non con la visione dei bianchi ma unicamente con quella di semplici esseri umani. L’impresa è a dir poco impossibile: in un’America sconvolta dalla depressione economica causata dal crack finanziario del 1929 (la cui eco emerge tra le pieghe del film da brevi ma significativi accenni: il contadino che paga Atticus con prodotti della terra perché troppo povero, il compagno di scuola di Scout che divora avidamente l’arrosto di manzo perché a casa sua si mangiano solo conigli selvatici e scoiattoli), i conflitti sociali ed etnici diventano la valvola di sfogo di un generalizzato sentimento di frustrazione. Nei momenti di crisi la caccia al diverso è l’unica possibilità che rimane alla maggioranza per confermare l’appartenenza a un gruppo – etnico, sociale o religioso che sia – fortemente sottoposto a spinte centrifughe e forze disgreganti. La casistica dei comportamenti discriminanti va dal tentativo di linciaggio ai danni di Tom da parte degli uomini del paese – tentativo al quale Atticus si oppone mettendo a rischio la propria vita – a quello dei compagni di scuola di Scout che la guardano con sospetto perché suo padre è considerato dai loro genitori un amico dei ‘musi neri’, a quello di una zitella che raccomanda ai bambini di non avvicinarsi alla casa dei Radley perché convinta che Bu sia un pericoloso maniaco. Sarà invece proprio Bu a salvarli dal vero pericolo, quello costituito da un ‘rispettabilissimo’ bianco che vuole vendicarsi di Atticus per essere stato da questi smascherato come impostore. Robert Mulligan è uno tra gli autori americani degli anni Sessanta che meglio hanno saputo coniugare l’impegno sociale con il piacere di narrare storie adatte a un pubblico il più vasto possibile. Questa rara abilità è dovuta, come emerso anche da Il buio oltre la siepe, a un uso sapiente di personaggi ‘minori’: i bambini, le donne, la gente di colore, gli emarginati protagonisti dei film di Mulligan, con il loro sguardo ingenuo riescono a smascherare, meglio di chiunque altro, l’ipocrisia della società, a proporsi come alternativi al conformismo che li circonda, facendosi portatori di quei valori di fraternità e uguaglianza che, pur essendo alla base delle leggi che governano un paese, spesso restano, tristemente, lettera morta. Fabrizio Colamartino